C’è un solo organismo capace di resistere al Coronavirus: l’Autorità per la Regolazione dei Trasporti, in breve ART. A metà aprile, in piena pandemia, con il Paese fermo e il governo affannato a concedere proroghe, sospensioni e rinvii per favorire le imprese al collasso, l’organismo guidato da Andrea Camanzi, ha fatto candidamente presente che «non essendo stati disposti per legge provvedimenti che differiscano o sospendano la richiesta di versamento del contributo annuale» si invitava a provvedere al pagamento del contributo 2020 per il funzionamento dell’Autorità, tanto più che «proprio nei trasporti, prima che in altri settori, sono attesi segnali di ripresa in ragione della funzione essenziale di servizio a favore di imprese, utenti e passeggeri».
In attesa del decreto legge con cui riportare anche l’ART alla realtà, annunciato dalla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, in un question time alla Camera a fine aprile (tramite differimento dei versamenti per tutti al 30 novembre), l’analisi di Camanzi è definita «frettolosa» dal presidente di Assologistica, Andrea Gentile, che ha chiesto «un immediato intervento del ministero competente, affinché si ponga rimedio a questa richiesta, fuori tempo e fuori luogo, semplicemente sospendendola». Alla ministra De Micheli, ma anche al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è rivolta pure Confetra, dopo aver bollato la decisione con un tweet tra l’amaro e l’irritato: «In Italia tutti gli oneri fiscali e amministrativi, per tutte le imprese, sono rinviati dal DL Cura Italia. Tranne la gabella per l’ART. Complimenti!». Sulla stessa linea Federlogistica, il cui presidente Luigi Merlo ha ribadito che «la sospensione in questo anno così difficile è giusta» e ha chiesto di modificare la mission dell’organismo rendendone l’attività più di supporto che sanzionatoria: invece oggi l’ART «è costretta ad applicare la legge, ma con sanzioni enormi, come un bazooka contro un moscerino».
Il meno amato dagli operatori
Quale che sia l’attuale mission dell’ART, quel che è certo è che l’organismo nato nel 2013 è tra i meno amati dagli operatori e non solo da quelli che si occupano di merci. È lo stesso Rapporto annuale del 2019 presentato dall’ART al Parlamento ad ammettere l’abbondanza di contestazioni all’obbligo del contributo che le imprese (con fatturato superiore ai 3 milioni l’anno) sono chiamate a versare per finanziare l’attività dell’organismo (lo 0,6 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio e dunque un minimo di 1.800 euro). Il capitolo dedicato al contenzioso esordisce significativamente con queste parole: «Sin dalla prima applicazione della norma (…) numerose imprese avevano adito al TAR Piemonte (L’ART ha sede a Torino, NdR) chiedendo la declaratoria di illegittimità dei provvedimenti deliberativi dell’Autorità in materia di autofinanziamento».
Il rapporto prosegue elencando i settori ricorrenti, sia attraverso singole imprese, sia attraverso le associazioni di rappresentanza: logistica, spedizione trasporto espresso, gestione di terminal portuali e di handling aeroportuale, in quanto non appartenenti alla categoria (prevista dalla legge istitutiva) dei «gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati». Ma ricorsi sono stati presentati anche nel settore passeggeri, sia dal trasporto pubblico locale, che dal trasporto ferroviario, dal noleggio con conducente e dal trasporto di linea interregionale.
E hanno presentato ricorso anche i concessionari autostradali e i gestori di linee aeree. Con i primi l’ART ha avuto ragione, ma ai secondi (22 ricorrenti tra cui Alitalia, Ryanair, Easyjet, Ethiopian Airlines, Meridiana, Lufthansa, Turkish Airlines) il 17 ottobre dello scorso anno il Consiglio di Stato ha dato ragione, respingendo il ricorso presentato dall’ART contro la sentenza nello stesso senso del TAR Piemonte. E altre sentenze avverse l’organismo torinese ha collezionato contro l’associazione dei gestori ferroviari privati, contro l’organizzazione dei terminalisti Assiterminal.
La pantomima dell’autotrasporto merci
Un mare di scartoffie, insomma, invade, da sette anni gli uffici del TAR Piemonte. Ma è nei confronti dell’autotrasporto merci che l’azione dell’ART ha collezionato il maggior numero di ricorsi. Sembra quasi una pantomima: dal 2014, verso la fine di ogni anno l’ART delibera il contributo e avvia le richieste alle imprese, le associazioni di categoria (insieme o separatamente, ma anche singole aziende) si oppongono davanti al TAR Piemonte che respinge la richiesta di contributo; l’ART si appella al Consiglio di Stato che gli dà torto.
«Quasi» una pantomima, perché c’è stata qualche variazione: nel 2017 la Corte costituzionale – alla quale si era rivolto il TAR Piemonte – ha dato ragione alle imprese e alle associazioni: l’autotrasporto merci non svolge un «servizio regolato» e dunque non è soggetto al pagamento. Sulla base di questa sentenza sia il TAR (sede dei ricorsi delle imprese) che il Consiglio di Stato (sede degli appelli dell’ART) hanno di fatto bocciato il contributo per gli autotrasportatori. Per tutta risposta, l’anno dopo (siamo nel 2018), l’ART è riuscito a infilare in qualche modo nel famoso «Decreto Genova» – votato nel clima arroventato del crollo del ponte Morandi – un comma per allargare la platea dei suoi finanziatori a tutti gli «operatori economici operanti nel settore dei trasporti».
Poi la pantomina è ripresa: richiesta di contributo per il 2019 (sulla base della nuova formulazione della platea di contribuenti), ricorso delle associazioni al TAR Piemonte, sentenza del TAR (il 29 gennaio scorso) che dà ragione agli autotrasportatori (perché il problema non è l’ampiezza del settore, ma l’attività di regolazione che non riguarda l’autotrasporto merci), appello dell’ART al Consiglio di Stato, che intanto si trova di fronte ancora un appello dell’ART per il contributo 2017, quello su un ricorso di Assotir (naturalmente accolto dal TAR) che pone un problema di costituzionalità del contributo. La discussione è prevista per il prossimo 12 novembre.
Ma la stessa ART non ci deve far molto conto. Pur riaffermando il diritto a incassare il contributo dell’autotrasporto merci, già lo scorso anno aveva deciso di sospendere la riscossione coattiva fino alla sentenza del TAR e, a febbraio di quest’anno, ha fermato «in via cautelativa» il pagamento del contributo 2020 per le imprese del trasporto merci su strada. Sia ben chiaro: non per il Coronavirus, ma in attesa della decisione del Consiglio di Stato. Ancora più rivelatore, forse, il fatto che nella relazione al bilancio previsionale per il 2020, l’organismo ha accantonato una bella somma alla voce «eventuali rimborsi» a causa del contenzioso in corso: sono 6,9 milioni di euro, più di un quarto del bilancio annuo di 25 milioni. Forse anche negli uffici di Camanzi si sono accorti di essere uno degli organismi meno amati dagli operatori.