La Corte d’Appello di Trento ha accolto il ricorso di otto conducenti di Arcese Trasporti che richiedevano il rimborso delle spese sostenute con l’utilizzo di mezzi propri per spostarsi per motivi di lavoro tra le sedi di Rovereto e Sommacampagna della ditta trentina. Le sentenze emesse dalla Corte il 30 marzo scorso ribaltano il giudizio di primo grado del Tribunale di Trento e condannano l’azienda di Arco al pagamento delle competenze arretrate in favore dei suoi dipendenti (circa 75.000 euro, secondo il Sindacato di base multicategoriale di Trento, con variazioni individuali tra i 6.000 e i 14.000 euro, oltre a 50.000 euro circa di spese legali).
LA VICENDA – Gli otto lavoratori ricorrenti hanno un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato con Arcese come «conducenti di autotreni o autoarticolati di portata superiore a 80 quintali». Nel 2003, la multinazionale trentina apre una nuova unità produttiva nella zona industriale di Rovereto, sede da cui di fatto partono la maggioranza degli autisti negli ultimi 18 anni. Ma dalla primavera del 2014 Arcese attrezza un nuovo «piazzale di sosta tecnica» degli automezzi pesanti a Sommacampagna, in provincia di Verona, situato a pochi chilometri dall’interporto della città scaligera, a causa della chiusura dello scalo ferroviario di Trento Interporto. Pur mantenendo la sede di lavoro a Rovereto, gran parte degli autisti viene quindi dirottata a Sommacampagna e il trasferimento tra le due location per assumere servizio ed effettuare la prestazione lavorativa avviene con l’autovettura personale. Si parla di circa 140 km tra andata e ritorno con circa due ore di lavoro suppletivo (per il viaggio in auto propria da Rovereto a Sommacampagna e viceversa), da aggiungersi a quello da prestare con il camion. Questi viaggi con mezzi propri erano stati chiesti dall’azienda per evitare la continua movimentazione di TIR da Rovereto allo scalo intermodale veronese e ritorno, contenendo così i costi del carburante e le emissioni inquinanti. E fino a qui nessuna discussione.
LA QUERELLE – I problemi sono sorti quando, per risarcire gli autisti delle spese per gli spostamenti, era stato firmato un accordo aziendale tra l’impresa e CGIL-CISL-UIL che prevedeva che per il trasferimento venissero corrisposti «ai lavoratori che oggi parcheggiano a Rovereto 11,50 euro per le giornate del lunedì e del venerdì per ogni settimana lavorata a Sommacampagna». Questi 23 euro complessivi, però, secondo gli autisti coinvolti non potevano coprire le spese di trasferimento e, visto il rifiuto del datore di lavoro a riconsiderare gli importi, la questione è finita in giudizio.
L’AZIONE GIUDIZIARIA – Il primo processo al Tribunale di Rovereto, il 19 maggio 2020, si era però concluso con sentenza favorevole ad Arcese «dal momento che il disagio ed i costi patiti dagli autisti per il fatto di dovere (talora) intraprendere il trasporto da Sommacampagna anziché da Rovereto – diceva la sentenza – trovano ristoro nell’importo pattuito con la RSU in data 13/5/2014». Si arrivava così all’appello che invece ha, come accennato sopra, dato ragione ai dipendenti.
LE MOTIVAZIONI – “La nozione di orario di lavoro – spiega la sentenza – comprende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia sul posto di lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, da intendere come durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative, assumendo espresso e alternativo rilievo non solo il tempo della prestazione effettiva, ma anche quello della disponibilità del lavoratore e quello della sua presenza sui luoghi di lavoro“. In pratica diventa orario di lavoro anche quell’attività cui il lavoratore è obbligato ”nell’interesse e su richiesta del datore di lavoro, anche se non rispondente alla prestazione tipica delle mansioni assegnate”. Venendo al caso specifico, il tempo per spostarsi al piazzale di Sommacampagna da Rovereto e ritorno è dunque orario di lavoro e, del resto, proprio per questo è stata prevista la cifra di 23 euro indicata in busta paga come lavoro straordinario. Ma questa somma – afferma la Corte – copre solo il tempo di spostamento da Rovereto a Sommacampagna e viceversa, non «il diritto al rimborso spese per l’uso del mezzo proprio, ovvero il costo sostenuto dal lavoratore per il soddisfacimento di esigenze aziendali». La Corte ha quindi ritenuto che l’accordo firmato «non sia idoneo, sotto più profili, a disciplinare il diritto, qui controverso, al rimborso delle spese per l’uso del mezzo proprio». «Non vi è alcuna disposizione contrattuale o di legge – dicono i giudici – come pretenderebbe l’azienda, che consenta di affermare che il dipendente autista sia tenuto a sostenere in proprio costi per esigenze aziendali consistenti nel suo invio a prendere servizio in luogo diverso dalla sede contrattuale di lavoro». In sostanza, le spese per l’uso dell’auto nello spostamento tra Rovereto e Sommacampagna non devono essere a carico dei conducenti, ma dell’impresa, «in quanto appunto costo sostenuto dal lavoratore per il soddisfacimento di esigenze aziendali, consistenti nel suo spostamento in sede diversa da quella di lavoro».
LE CONCLUSIONI – Gli autisti – sentenzia la Corte – hanno perciò diritto al rimborso spese, diritto non riconosciuto con l’accordo aziendale del 13 maggio 2014. Il rimborso è stato così valutato secondo le tabelle chilometriche ACI pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, più interessi e spese processuali di ambo i gradi (Tribunale di Rovereto e Corte d’Appello).