Per arrivare all’azzeramento delle emissioni ci vuole più tempo e più alternative tecnologiche. Se fino a ieri, cioè, la transizione energetica veniva riferita a una data certa, lontana non più di dieci anni, adesso sarebbe opportuno riconsiderare questa tempistica e fornire maggiore spazio alla ricerca per individuare ulteriori tecnologie utili a decarbonizzare la mobilità. Massimo Milani, deputato di Fratelli d’Italia e segretario della Commissione Ambiente della Camera, non ha dubbi che questo processo di cambiamento sia già in atto. E, incontrato tra i padiglioni di Ecomondo a Rimini, indica come traiettoria emblematica in tal senso quella della Germania: «Fino a qualche anno fa aveva contribuito a far nascere e crescere un pensiero ambientalista in parte estremista, senza comprendere che questa posizione avrebbe potuto creare danni alla propria economia. Adesso che effettivamente l’industria automotive tedesca è entrata in crisi e che, essendo per dimensioni molto più grande della nostra, si sta portando dietro molti fornitori di componentistica italiana, ci si rende conto che l’obiettivo di chiudere la produzione dei motori endotermici nel 2035 è impossibile. E tutte le case automobilistiche e la stessa ACEA – l’associazione dei produttori di veicoli europei – hanno chiesto al nuovo Parlamento e alla nuova Commissione europea di rivedere queste norme proprio perché l’elettrico non riesce a prendere piede. E quindi, secondo le stesse case o bisogna ulteriormente incentivare questa tecnologia oppure è opportuno rivedere gli obiettivi. Però – faccio notare – che se chi produce veicoli elettrici chiede incentivi per venderli, è evidente che il mercato non li vuole. E allora non resta che ripianificare il percorso».
In che modo?
Il primo modo è quello di percorrere la strada della decarbonizzazione affidandosi ad alimentazioni ulteriori rispetto all’elettrico. La strada più immediatamente percorribile è il motore ibrido, che è già in grado di abbattere in modo importante le emissioni di CO2. In Italia, invece, abbiamo una tradizione di biocarburanti e il gas per autotrazione. E poi c’è l’idrogeno, una soluzione che molti costruttori di veicoli stanno verificando sia in forma di combustione, sia in forma di produzione di energia elettrica.
E all’elettrico come dovremmo guardare?
Almeno al momento attuale l’applicazione del motore elettrico a tutti i mezzi pesanti è inattuabile. E proprio per questo ritengo che rinunciare al motore endotermico nell’arco di dieci anni sia oggettivamente impossibile, anche perché in questo lasso temporale bisognerebbe risolvere non soltanto il problema della capacità produttiva, ma soprattutto quello di aumentare la rete di distribuzione elettrica e disseminare colonnine di ricarica sull’intero territorio.
Attualmente in Cina il 49% dei camion elettrici non ricarica la batteria, ma la sostituisce. Non si potrebbe fare altrettanto anche in Italia?
È una tecnologia che si sta sperimentando sulle piccole vetture, in attesa che venga approvata una normativa europea. In ogni caso è un’opzione e quando si parla di «neutralità tecnologica» si fa riferimento proprio a questa condizione: avere cioè la mente aperta per poter perseguire tutte le possibili strade, senza volerne definire una soltanto.
La battaglia che ci sta indicando può essere vinta a livello europeo soltanto se si hanno degli alleati. Ce ne sono secondo lei?
Il problema non è trovare Stati che la pensano come noi, perché il problema non è quale scelta adottare. L’importante è variare, è lasciare aperte tutte le possibili strade e far sì che l’industria continui a investire in Ricerca & Sviluppo e che si favorisca così l’innovazione per riuscire a concepire ogni possibile alternativa. Quale sarà la più efficiente lo vedremo dopo. Quindi, chiunque crede che esista un’alternativa all’assoluto professato finora, potrebbe essere un potenziale alleato. L’obiettivo è quello di rimuovere l’obbligo di mettere fine ai motori endotermici nel 2035 e mi auguro che il nuovo Parlamento arrivi a farlo entro i prossimi due anni.
Rimane un fatto: almeno rispetto al mondo dei camion, l’età media di un veicolo è di 13,9 anni. Cosa si può fare nel breve termine per ridurre questa anzianità?
Bisogna lavorare innanzi tutto sulle grandi flotte, sia pubbliche che private. E a tal proposito bisogna ricorrere, un po’ come già si fa in ambito privato, al noleggio a lungo termine, perché in questo modo si ottiene la possibilità di rinnovare una percentuale considerevole del parco molto più rapidamente. Attualmente, invece, soprattutto le pubbliche amministrazioni utilizzano l’acquisto e tendono a portare il mezzo a fine vita, mentre invece abbiamo la necessità sia per incentivare la produzione, sia per avere motori sempre più efficienti che il ricambio avvenga in tempi più brevi. E questo obiettivo lo si può ottenere soltanto con il noleggio. Mi spiace dirlo, perché da politico rappresento più di altri la pubblica amministrazione, ma è proprio in ambito pubblico che abbiamo i mezzi più vecchi. Se oggi si va in giro per una qualunque città è probabile imbattersi con camion al servizio di pubbliche amministrazioni che hanno almeno otto anni di vita e autobus che arrivano a dodici. E in qualche caso anche molti di più…