Affollata riunione ieri, venerdì 7 febbraio, al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove erano state convocate ben 30 associazioni di categoria per individuare le strategie con cui l’Italia, entro il 31 marzo, dovrà rispondere all’Austria in quella lunga ed estenuante partita che fronteggia Roma a Vienna, tutta giocata sul terreno dei valichi alpini e condotta a colpi di divieti di circolazione imposti dal governo austriaco ai veicoli pesanti italiani. Un gioco vario e – va riconosciuto – anche molto fantasioso. Perché Vienna (con il supporto a tratti del Tirolo) si è inventata di tutto: divieti per bloccare il transito notturno, divieti settoriali (riferiti cioè a precise tipologie di merci), divieti invernali nella giornata del sabato e anche filtraggi, stabilendo cioè un dosaggio massino ai transiti quantificato in 300 camion all’ora.
Il costo della partita
Quali conseguenze provocano tutti questi divieti? Le associazioni di categoria dell’autotrasporto al riguardo non hanno dubbi: di fatto stimano un dimezzamento della capacità di trasporto, che nella traduzione in denaro sonante da Uniontrasporti – società consortile in house di Unioncamere e delle Camere di commercio – equivale a 370 milioni di euro ogni anno, 1,8 miliardi negli ultimi cinque, bruciati in tempo perso, in produttività scemata e in gasolio bruciato inutilmente.
La prima mossa italiana: il ricorso alla Corte UE
Una situazione annosa a cui l’Italia aveva cercato di contrastare usando le carte bollate. Lo scorso 30 luglio 2024, infatti, ha presentato un ricorso contro l’Austria davanti alla Corte di Giustizia europea, supportando la sua azione con un parere favorevole della Commissione europea, convinta che «alcune misure in vigore in Austria limitino il trasporto di merci» e, di conseguenza, «la libera circolazione delle merci» prevista dai trattati comunitari. In pratica l’argomento è molto semplice: all’interno del territorio europeo, in cui non possono esistere vincoli nella mobilità delle merci, un divieto come quello austriaco non può accesso.
La replica austriaca: il controricorso basato sulla salute
Un argomento sulla carta vincente che però Vienna si rifiuta di accettare. Prova ne sia che, per replicare all’iniziativa italiana, si è affidata a un controricorso, presentato il 19 dicembre 2024, con cui ha spostato il piano delle argomentazioni dalla mobilità alla sanità. In pratica, gli austriaci sostengono che i troppi camion in transito lungo i valichi alpini finiscono per deteriorare la qualità dell’aria che respirano i cittadini di quella regione e in questo modo li fanno ammalare. E la salute, non soltanto nel buon senso popolare, ma anche nell’interpretazione dei trattati comunitari fornita dalla Corte di Giustizia UE, viene «prima di tutto», nel senso che sulla scala dei principi europei prevale rispetto alla libera circolazione. Anche sul piano della mobilità, comunque, contesta che la strada sia necessaria e che debba per forza arrivare ad assorbire il 73% dei traffici merci sul Brennero, perché ritiene più sfruttabile l’alternativa ferroviaria.
La controreplica italiana da presentare entro fine marzo
Come replicherà l’Italia? È questo in definitiva l’interrogativo a cui l’incontro al ministero ha cercato di rispondere. Il tempo per organizzare una strategia non è molto, perché come detto l’Italia ha tempo fino al 31 marzo per presentare le sue deduzioni. Nella discussione sono emersi essenzialmente due argomenti.
Il primo constata che, se fosse rimosso anche il solo divieto notturno per i camion, il traffico diventerebbe più fluido e quindi si conterrebbe anche l’impatto ambientale, giacché è evidente che una coda di veicoli inquina di più rispetto a mezzi che fluiscono velocemente.
Rispetto invece alla ferrovia, indicata da Vienna come una possibile alternativa alla strada, Roma vorrebbe dimostrare che questo argomento diventerà concreto soltanto dopo il 2032, quando cioè sarà ultimato il nuovo tunnel ferroviario del Brennero e quindi si andrà ad accrescere la capacità di trasporto di questa modalità. Al momento attuale, invece, la ferrovia assorbe già un quantitativo di merci molto vicino al massimo consentito e quindi chiederle di fare di più è praticamente impossibile.