Apprezzabile negli intenti, ma preoccupante per contenuti e tempistiche e fortemente impattante sul mondo dell’autotrasporto. È questa la reazione generale delle principali associazioni di operatori del trasporto su strada al pacchetto «Fit for 55» lanciato ieri dalla Commissione Europea per ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 (anche se per i veicoli commerciali leggeri la riduzione sarebbe del 50%, rispetto al 31% finora previsto) e rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050. Più specificamente da tutti emerge un’estrema cautela nel giudizio su alcune parti delle proposte comunitarie.
IRU: «Gli operatori su strada pagheranno due volte le emissioni con tassazione energetica e scambio di emissioni»
«Gli obiettivi vincolanti per gli Stati membri dell’UE di realizzare una rete di infrastrutture di carburante alternativo con requisiti specifici per il trasporto commerciale su strada e i veicoli pesanti – ha commentato Raluca Marian, delegata generale della delegazione permanente presso l’UE di IRU, l’organizzazione mondiale del trasporto su strada – sono un gradito passo in avanti, perché così si creano nuove opportunità per l’industria del trasporto su strada di passare a tecnologie di carburante alternativo economicamente valide e di essere in grado di fare rifornimento in tutta Europa».
«Quello che non va – ha però aggiunto – è che la Commissione sta cercando di rendere più costoso il trasporto su strada, con un aumento complessivo squilibrato dei costi per il settore senza cambiamenti migliorativi. Mentre la tassazione dell’energia basata sul contenuto energetico e sulle prestazioni in materia di emissioni di CO2 potrebbe essere positiva, combinarla con lo scambio di emissioni nel trasporto su strada significa che gli operatori commerciali del trasporto su strada pagheranno due volte le emissioni. E questo, oltre a essere ingiusto, è un approccio inefficace per ridurre le emissioni di CO2 nei trasporti».
La principale preoccupazione dell’IRU è il notevole aumento dei costi dovuto a tutte le misure annunciate e la loro mancanza di neutralità tecnologica: «Il quadro riveduto per la tassazione dell’energia aumenterà l’onere fiscale per i combustibili più comunemente utilizzati nel trasporto commerciale su strada – sottolinea la Marian – Inoltre, le aziende di trasporto su strada faranno pagare alla pompa il conto dello scambio di emissioni. L’industria è ansiosa di passare a carburanti alternativi, ma non tutti i segmenti del trasporto commerciale di merci su strada e passeggeri possono facilmente farlo perché, a breve e medio termine, le tecnologie alternative del carburante non saranno operative per i servizi pesanti e a lunga distanza».
«Se le infrastrutture e i veicoli a combustibile alternativo (elettrici o a idrogeno) non vengono implementati in tutta l’UE con la rapidità prevista e i carburanti e le tecnologie tradizionali diventano esponenzialmente più costosi, la concorrenza sarà fortemente distorta, soprattutto per gli operatori dei trasporti che non possono passare rapidamente alle alternative – conclude la Marian – Per noi l’intero settore del trasporto commerciale su strada deve essere in grado di passare ad alternative economicamente valide. Pertanto, i tempi di attuazione delle misure come lo scambio di emissioni e la tassazione dell’energia devono essere adeguatamente sincronizzati con la sufficiente disponibilità di veicoli a combustibile alternativo e infrastrutture di rifornimento e ricarica».
UETR: «Un nuovo sistema ETS separato per il trasporto su strada aumenterebbe i prezzi del carburante
Anche l’Associazione europea degli autotrasportatori, esprime estrema cautela nella valutazione del «Fit for 55». Se infatti accoglie con favore la proposta di regolamento sulla realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi, l’approccio pragmatico dell’UE alle infrastrutture elettriche e il riferimento alla presenza di punti di ricarica per camion nelle aree di parcheggio, desta allarme «la proposta di un nuovo sistema ETS separato per il trasporto su strada, perché aumenterebbe i prezzi del carburante e avrebbe un impatto sui consumatori. I piccoli trasportatori supportano la mobilità sostenibile, ma gli investimenti già effettuati devono essere presi in considerazione – ora più che mai alla luce della crisi Covid-19 e delle esigenze urgenti legate alla ripresa. Nei prossimi 10 anni si manterranno nelle flotte un numero significativo di veicoli a motore a combustione interna e diesel e, se non verranno sostenuti da aiuti, i vettori non avranno altra scelta che trasmettere i maggiori costi ai clienti e quindi ai consumatori».
«Il nuovo sistema deve accompagnare e aiutare le piccole imprese sulla strada della mobilità a basse emissioni – conclude l’UETR – attraverso l’uso mirato dell’intero importo dei ricavi derivanti dall’ETS. Si tratta di un approccio realistico per un’implementazione efficace dei veicoli GNL, idrogeno o elettrici verso un’economia a zero emissioni nette. L’efficacia del fondo sociale per il clima proposto per mitigare pienamente gli impatti sociali ed economici deve infatti ancora essere verificata».
ANFIA: «Sforzo insostenibile per la filiera automotive italiana»
Un ulteriore particolare preoccupante viene evidenziato da Anfia, l’associazione nazionale filiera industria automobilistica, e cioè il nuovo target per auto e furgoni di riduzione delle emissioni del 100% al 2035. «La previsione di un target simile – afferma l’associazione – segna l’abbandono delle più avanzate tecnologie di propulsione su cui oggi la maggior parte delle aziende della componentistica italiana sono ancora prevalentemente concentrate, senza considerare il fondamentale contributo che le stesse potrebbero dare alla decarbonizzazione attraverso l’utilizzo di carburanti rinnovabili a basso contenuto di carbonio».
«Anche la proposta di non prevedere meccanismi di flessibilità nella transizione, tra cui quelli per i piccoli costruttori – continua Anfia – evidenzia una scelta ideologica che non tiene conto delle molteplici specificità del settore automotive, penalizzando fortemente le nicchie d’eccellenza come quella costituita dalle oltre 5.000 imprese della filiera industriale italiana, che avranno così necessità di una forte riconversione produttiva».
CONFTRASPORTO-CONFCOMMERCIO: «Un colossale autogol»
Molto decisa la posizione di Conftrasporto-Confcommercio «Ci pare un disegno autolesionistico – denuncia il presidente Paolo Uggè, che guida anche la Federazione degli Autotrasportatori Italiani – Siamo a favore della transizione green, ci mancherebbe, e siamo proiettati verso la sostenibilità sia sul fronte del trasporto su gomma che su quello marittimo che sul piano della logistica più in generale – precisa – Ma in Europa mi pare si siano fatti prendere un po’ troppo la mano».
«Gli ultimi dati dell’Ispra, che non mi risulta dipendente da case costruttrici o legato al mondo dell’autotrasporto – aggiunge Uggè – dicono che per l’inquinamento i veicoli pesanti partecipano con una percentuale relativamente bassa (il 7,1 %), mentre altri settori hanno un’incidenza più elevata. E questo in un momento in cui, pur avendo viaggiato durante tutta la pandemia per rifornire i cittadini dei beni essenziali, l’autotrasporto registra una flessione considerevole, come rileva l’Istat».
«Perché allora si opera per colpire il settore del trasporto su gomma pesante? – prosegue Uggè – I Paesi principali produttori industriali che utilizzano fonti che in Europa sono considerate altamente inquinanti e competono con la nostra economia (mi riferisco in modo particolare agli USA, Cina e India), come mai possono continuare a produrre nel modo che ritengono più utile alla loro economia? Forse l’inquinamento è così ‘smart’ da rispettare i confini nei quali è prodotto?».
«L’Europa, con quest’ultimo obiettivo, da raggiungere in meno di dieci anni, fa un autogol colossale, danneggiando l’economia europea proprio nel momento in cui questa ha bisogno di rilanciarsi. Ma i nostri parlamentari dove sono?» conclude il presidente di Conftrasporto-Confcommercio.