I dati ricavati dai cronotachigrafi non possono essere usati per elevare sanzioni relative al superamento dei limiti di velocità. È quanto stabilisce una recente sentenza del giudice di pace di Arezzo, in un procedimento contro una multa elevata durante il trasporto merci ad un autotrasportatore di un’azienda laziale. La sentenza conferma la tendenza della giurisprudenza in materia, di cui peraltro avevamo parlato diffusamente con l’avv. Roberto Jacovacci in una puntata di K44 Risponde.
La vicenda era iniziata il 28 maggio 2020 quando, alle 21.30, sull’A1, al casello di Monte San Savino (Arezzo), la locale Polizia Stradale aveva controllato controllato un veicolo pesante. Esaminando i dati registrati nel cronotachigrafo analogico, gli agenti avevano multato il conducente per eccesso di velocità (ex art.142, c.8 e 11, CdS) per la somma di 1.241 euro. La Polstrada aveva anche sanzionato l’azienda come titolare di licenza per 793 euro.
Il camionista presentava immediato ricorso al Prefetto di Arezzo, che però lo dichiarava inammissibile in quanto proposto da soggetto carente di legittimazione. Ma autista e impresa impugnavano anche questa decisione, denunciando a loro volta l’illegittimità della stessa.
La questione finiva dunque sotto l’attenzione del giudice di pace aretino, che accoglieva la domanda del conducente – che aveva presentato da solo il ricorso in prima istanza – e non quella dell’azienda, che non si era opposta dal principio e nei cui confronti i verbali di multa erano dunque divenuti definitivi.
Esaminando la questione nel merito, il giudice di pace dava invece ragione all’autotrasportatore, il quale aveva obiettato che “il Regolamento UE 165/2014, che riguarda obblighi e requisiti inerenti costruzione, installazione, uso e prove dei cronotachigrafo e costituisce una fonte di diritto prevalente rispetto alla legge italiana, proibisce che i dati ricavati dai cronotachigrafo possano essere usati per elevare sanzioni relative al superamento dei limiti di velocità”.
Più specificamente, a novembre 2020 la Commissione Europea aveva “bacchettato” l’Italia proprio su questa fattispecie, prevista dal nostro ordinamento e in particolare dall’art. 142, comma 6 (“per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova [anche] le registrazioni del Cronotachigrafo”). Infatti le uniche infrazioni che possono essere sanzionate, secondo l’art. 41 del Regolamento UE, sono il superamento dei tempi limite di guida, l’inosservanza del periodo minimo previsto per il riposo giornaliero o settimanale, l’inosservanza dei periodi minimi di interruzione e la mancata installazione di un tachigrafo conforme. Come si può vedere non si parla di superamento del limite di velocità come infrazione cui sia possibile risalire – e quindi sanzionare – attraverso la lettura dei dati del cronotachigrafo.
A dire il vero, anzi, la Commissione Europea con la sua contestazione aveva invitato l’Italia ad adottare entro due mesi di tempo ogni provvedimento utile ad adeguare la normativa interna a quella comunitaria senza peraltro che dall’Italia sia ancora stata data risposta.
Il giudice di pace ha dunque deciso di disapplicare il comma 6 dell’art. 142 CdS per contrasto con la normativa europea e di accogliere le richieste del camionista – ma non quelle dell’impresa – annullando l’ingiunzione del Prefetto.
In pratica, l’autista non dovrà pagare la multa e l’azienda invece sì. La sentenza si inserisce dunque nella recente tendenza giurisprudenziale sul tema e sicuramente troverà applicazione anche in altre cause, almeno finché il legislatore italiano non provvederà a risolvere il contrasto tra Codice della Strada e regolamento comunitario.