In un contesto in cui tutto si proroga, l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) continua a reclamare i contributi per il proprio funzionamento anche alle aziende di autotrasporto e di logistica. A dispetto della pandemia e a dispetto di una sentenza della Corte Costituzionale del 2017 che asseriva il contrario. Adesso però a fornire un argomento concreto alle sue richieste arrivano una serie di sentenze pronunciate dal Consiglio di Stato nella prima settimana del 2021 – quella a cui faremo riferimento è datata 5 gennaio – in cui si dice a chiare lettere che l’obbligo di versare il contributo interessa anche l’autotrasporto e la logistica, anche se di fatto è divenuto concreto soltanto a partire dal 2019. Ciò significa – lo diciamo subito – che per tutti gli anni precedenti a tale data nulla era dovuto all’ART e quindi chi eventualmente avesse versato contributi avrà diritto a ottenere indietro i suoi soldi; ma dal 2019 in avanti e quindi anche rispetto al presente scatta l’obbligo indiscriminato.
Chiariamo però una serie di aspetti. Innanzi tutto, bisogna ribadire che l’obbligo di versamento non è un trattamento riservato ai soli autotrasportatori, ma interessa pure vettori marittimi e aerei, terminalisti portuali e imprese di logistica.
A creare una qualche confusione e quindi a indurre il Consiglio di Stato a individuare un prima e un dopo rispetto al 2019 sono state le diverse normative che si sono stratificate nel corso degli anni. Ripercorrerle tutte in questa sede è impossibile, ma possiamo individuare uno snodo decisivo. Perché è vero, come ricordato, che la Corte Costituzionale nel 2017 aveva circoscritto al minimo il perimetro dei soggetti tenuti a versare il contributo, ritenendo tali soltanto i gestori delle infrastrutture e dei servizi per i quali l’Autorità forniva la propria regolazione. E da qui derivava il mancato obbligo delle imprese di autotrasporto e di logistica a versare il contributo all’ART, in quanto appaiono come «meri beneficiari di una regolazione e non come destinatari diretti di obblighi conformativi derivanti dalla medesima».
Tutto cambia dopo il decreto legge n. 109 del 2018, anche noto come decreto Genova, perché a partire da quel momento il Consiglio di Stato ritiene scatti l’obbligo di contribuzione anche le categorie imprenditoriali ricordate, vale a dire per i vettori marittimi e aerei, per i terminalisti portuali e per le imprese di logistica. O meglio, per essere ancora più precisi, il Consiglio di Stato, anche riferendosi alle imprese di autotrasporto, sostiene che un potere di regolazione dell’ART esisteva già prima, ma non c’era un obbligo contributivo, venuto in essere solo a partire dal 2019. Per argomentare tale affermazione i giudici amministrativi ricordano che l’articolo 37, comma 2, lett. a), del d.l. n. 201 del 2011 richiede la necessità di garantire, tramite la regolazione, la mobilità delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti, cosa che giustifica l’inclusione delle imprese del settore nell’ambito dei soggetti beneficiari della regolazione.
In più, l’art. 37 del d.lgs. n. 112 del 2015, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico, attribuisci all’ART le funzioni di regolazione dell’accesso equo e non discriminatorio agli impianti di servizio, ossia «scali merci, scali di smistamento e aree di composizione dei treni, ivi comprese le aree di manovra; aree, impipanti ed edifici destinati a alla sosta al ricovero ed al deposito di materiale rotabile e di merci; infrastrutture portuali, marittime e di navigazione interna collegate ai servizi ferroviari». Ancora, il Regolamento (UE) n. 1315/2013 dedicato agli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete Transeuropea dei trasporti, impone un’azione regolatoria sull’accesso ai terminali merci presenti all’interno di porti e aeroporti, prescrivendo che sia consentito a tutti gli utenti/operatori in modo non discriminatorio e con l’applicazione di tariffe trasparenti.
A questo riguardo il Consiglio di Stato sostiene che, «in un settore che si caratterizza per l’intermodalità, la necessità regolatoria emerge quando questa consente ai clienti del processo logistico un’offerta integrata ed ottimizzata di servizi». E in effetti l’ART – si legge nella sentenza – ha adottato delibere rilevanti in materia di accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture, agli scali merci e di smistamento ed ai servizi ferroviari. In pratica l’argomento vincente dei giudici amministrativi è dato dal fatto che «i servizi di trasporto di merci regolati sono principalmente quelli connotati da servizi logistici integrati, cioè i servizi di autotrasporto merci integrati con porti, stazioni ferroviarie, aeroporti e nodi di scambio intermodale (interporti). Infatti, l’attività di trasporto si va a connettere con le infrastrutture viarie e logistiche che consentono il carico, lo scarico, il trasbordo, etc., delle merci, in modo che il trasporto possa continuare anche attraverso modalità differenziate». Quindi rispetto a quelle reti infrastrutturali su cui vige potere di regolazione dell’ART. Potere di regolazione che l’Autorità aveva già manifestato con una serie di delibere ricordate nella sentenza, come quella finalizza a garantire l’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture portuali, quella finalizzata a definire lo schema di concessione e il sistema tariffario di pedaggio relativi alle tratte autostradali, individuando anche la «predisposizione di adeguate aree di sosta (rispetto alla superficie complessiva) riservate ai veicoli per l’autotrasporto di merci» come pure l’«impiego di Intelligent Transportation Systems (ITS), anche al fine di efficientare la logistica e perseguire l’ottimizzazione dell’utilizzo dell’infrastruttura da parte dei veicoli pesanti e dei veicoli leggeri».
In definitiva, gli autotrasportatori, come gli operatori della logistica e le altre aziende ricordate, «possono ritenersi assoggettabili a contributo solo dal momento in cui, a seguito della modifica normativa, il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria, ossia dall’anno 2019».