Quando, giovedì 22 giugno, una donna di 60 anni è stata investita e uccisa da una betoniera nel centro di Milano, il sindaco, Giuseppe Sala, ha deciso che bisognava fare subito qualcosa: solo dall’inizio dell’anno, erano già cinque i ciclisti che avevano perso la vita in città, travolti da mezzi pesanti che per le loro dimensioni e la loro conformazione non permettono all’autista di avere una completa visuale intorno al mezzo. È il problema dell’«angolo cieco», quella porzione di spazio non visibile neppure con i grandi specchi retrovisori laterali montati all’esterno della cabina.
Una direttiva europea in arrivo
Non che manchino le strumentazioni in grado di coprire i punti non visibili, dai sensori alle telecamere, tanto è vero che la stessa Unione Europea ha già approvato una Direttiva che – nell’ambito di una serie di misure per la sicurezza – ne prevede l’introduzione entro il 2024 su tutti i mezzi pesanti di nuova immatricolazione, proprio per ridurre i pericoli per pedoni e ciclisti che dell’«angolo cieco» sono le principali vittime. Solo che il sindaco di Milano ha deciso di muoversi più rapidamente e la sua Giunta, nel luglio scorso, ha approvato una delibera che, a partire dal 2 ottobre, imponeva ai veicoli pesanti (quelli per il trasporto di nove o più persone con più di 5 tonnellate di massa e quelli per le merci oltre le 12 tonnellate), per entrare in centro, durante la settimana, attraverso uno dei 188 varchi dell’Area B (praticamente all’interno delle tangenziali), di montare – insieme a un adesivo per segnalare il pericolo dell’angolo cieco (come si è limitata a fare Parigi dal 2020) – appositi sensori capaci di rilevare la presenza di pedoni e ciclisti sulla parte anteriore del veicolo o sul lato del marciapiede. Dati i tempi stretti, la delibera prevedeva la possibilità di entrare nell’Area B, anche soltanto dimostrando di aver già acquistato o ordinato i sensori, ma di non averli ancora materialmente montati. Poi la misura si sarebbe dovuta estendere, dopo un anno, nell’ottobre 2024 al trasporto persone sotto le 5 tonnellate e al trasporto merci dalle 3,5 alle 12 tonnellate.
Una misura demagogica
Una delibera che gli autotrasportatori hanno subito tacciato di essere demagogica e di dubbia efficacia. La sicurezza non è in discussione, ha protestato il presidente di Anita, Riccardo Morelli, «ma i divieti di circolazione non possono e non devono rappresentare la soluzione al problema». Più dettagliata la protesta di Unatras, che ha chiesto l’intervento del ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, lamentando da una parte la mancanza di «un confronto con le rappresentanze della categoria», dall’altra la ristrettezza dei tempi concessi, che «in mancanza di specifiche tecniche univoche sui requisiti dei sensori, avrebbero messo in difficoltà fornitori e trasportatori».
Assotir ha tentato la via del dialogo, incontrando a fine settembre l’assessora alla mobilità del Comune di Milano, Arianna Censi, alla quale il presidente della sezione lombarda dell’associazione, Pietro Castelli, ha ribadito «le perplessità, sia di ordine tecnico che pratico», su una misura che, «più che coraggiosa, appare essere il risultato delle pressioni mediatiche, dettata dall’esigenza di fare qualcosa, comunque, per placare le folle». Tanto più ha fatto notare che «dal 2 ottobre, non ci sarà alcun veicolo – nemmeno quelli del Comune – con i sensori installati, bensì un numero cospicuo di camion e bus con affissi degli adesivi di segnalazione degli angoli ciechi». Con il rischio, poi, che «dato il carattere ‘posticcio’ dell’installazione degli apparati – di creare qualche ulteriore preoccupazione sull’affidabilità complessiva del risultato».
Anche perché si tratta di strumenti non ancora previsti dalla normativa e dunque non ancora omologati. E proprio l’imbarazzo della scelta può creare più di un problema. Sul mercato, infatti, ci sono sistemi diversi nelle apparecchiature e nei costi: si va dalle poche centinaia di euro dei sensori sonori (che spesso nella confusione del traffico neppure si sentono) a meccanismi più complessi con rilevazioni video che possono arrivare anche a 5 mila euro. Quale scegliere per entrare in città? E una strumentazione di basso costo quanto può garantire davvero la sicurezza? Tanto più che – come hanno fatto notare i rappresentanti delle case costruttrici nel corso di uno dei numerosi incontri svoltisi nei giorni caldi della polemica – si tratta di dispositivi che, se non appositamente verificati, potrebbero anche creare problemi ai sistemi elettronici del veicolo.
Ma, soprattutto – lamentano le associazioni – come può un ente locale imporre un dispositivo che vale ovviamente solo sul suo territorio, mentre magari il Comune o la Provincia confinante possono imporre altri requisiti. Non è, dunque, il governo centrale a dover decidere un criterio uniforme su tutto il territorio nazionale? Non a caso sulla materia è intervenuta l’Unione europea, proprio per dettare regole uniformi.
Il TAR dà ragione agli autotrasportatori
Un pasticcio, insomma, per risolvere il quale Assotir alla fine ha deciso di presentare ricorso al TAR, obiettando che le apparecchiature previste devono essere omologate, mentre in Italia non esiste ancora un loro sistema di omologazione e che i «dispositivi supplementari» dei veicoli possono essere resi obbligatori solo dal ministero dei Trasporti, sentito quello dell’Interno. Obiezioni che il TAR ha accolto, annullando delibere e ordinanzecomunali, e sostanzialmente riconoscendo che i Comuni non possono imporre limitazioni alla circolazione per ragioni di ordine pubblico e sicurezza, ma solo per la prevenzione dell’inquinamento e la tutela del patrimonio artistico e ambientale. Insomma, disposizioni di questo genere spettano al governo, che evidentemente seguirà l’iter della Direttiva europea, facendo in modo che alla fine tutto sia in regola.
Ma il Comune di Milano non ci sta. Arianna Censi ha annunciato ricorso «perché noi riteniamo questa misura essenziale per proteggere i ciclisti e pedoni e dare più sicurezza a coloro che utilizzano in maniera sempre più frequente le due ruote o si muovono a piedi» e si è rivolta al governo perché adotti «già domani un provvedimento sui sensoriperché è necessario che venga fatto al più presto». Sostenuta in questo dalle associazioni della «mobilità dolce» (pedoni e ciclisti). «Le collisioni stradali causate dall’angolo cieco non sono incidenti né fatalità: sono problemi che possono essere risolti con soluzioni tecnologiche e formazione alla guida degli autisti», hanno dichiarato Ilaria Lenzi e Massimo Lafronza di «Città delle persone», piattaforma di attivisti che riunisce, tra gli altri, Cittadini per l’Aria, Sai che puoi?, Fiab Milano Ciclobby Onlus, Genitori Antismog.
Orari diversi per i mezzi d’opera?
Più dialogante, dopo il successo del ricorso, il segretario generale di Assotir, Claudio Donati, il quale ribadendo la priorità delle questioni della sicurezza stradale si è detto pronto a riprendere il dialogo. «Se la Giunta lo desidera», ha detto, «restiamo comunque disponibili a un confronto per individuare altre soluzioni al problema sicurezza, che è un problema che esiste». Come? Per esempio – poiché sono i mezzi d’opera quelli che coinvolti nella maggior parte degli incidenti – concordando «un cambio degli orari di accesso ai cantieri presenti in città da parte dei mezzi pesanti. Oggi», ha spiegato Donati, «i cantieri possono essere riforniti dal mattino al pomeriggio, quindi in una fascia oraria dove ci sono tanti ciclisti in giro per le strade della città, oltre che tante auto e tanto traffico. Possiamo pensare, allora, a orari nuovi per i mezzi pesanti in servizio nei cantieri, non per tutti i mezzi pesanti in generale: possiamo consentire l’accesso ai cantieri solo in orario serale o notturno, quando ci sono meno ciclisti, meno pedoni, meno auto in circolazione».
Intanto, però, molti trasportatori si sono dotati delle apparecchiature indicate dal Comune, affrontando la spesa per l’acquisto e il montaggio. E adesso, si chiede Donati, «tutti quei trasportatori che hanno dovuto acquistare i sensori (costo da mille a dieci mila euro, stime del Comune di Milano), in base a una norma improvvida e sbagliata, a chi devono chiedere conto? Noi ci attiveremo, come Associazione, nel richiedere eventuali indennizzi, ma è evidente lo spreco di risorse e di tensioni inutilmente e colpevolmente sprecate».
In attesa che scatti la più completa e uniforme normativa europea.