Da una parte la trattativa, la diplomazia al lavoro. Dall’altra la tensione montante. No, non parliamo di Ucraina, ma della situazione che sta vivendo in questo ore il mondo dell’autotrasporto, che vede da una parte l’impegno della viceministra Teresa Bellanova che ha incontrato due volte nell’arco di pochi giorni gli esponenti di Unatras (e solo quelle, visto che Trasportounito – esclusa dal tavolo – ha parlato di «inviti selettivi») per cercare di trovare le possibili soluzioni per arginare un malessere amplificato dall’inarrestabile ascesa del prezzo del gasolio; dall’altra le proteste e le manifestazioni di gruppi di autotrasportatori organizzatisi in modo praticamente spontaneo e che soltanto in Sicilia vede schierata l’associazione Aias che fa capo a Giuseppe Richichi.
Nulla di fatto al tavolo delle trattative
Dopo l’incontro del 17 febbraio, il tavolo delle trattative aperto dalla viceministra Bellanova ha concesso il bis il 22 febbraio, ma anche in questo caso – lamenta Unatras – non ha ancora prodotto risultati tangibili. Quelli che – recita il comunicato dello stesso raggruppamento unitario – «si attendevano Unatras e gli autotrasportatori che autonomamente hanno deciso di attuare azioni di protesta». Come a dire che i metodi operativi sono distinti, ma tutto sommato esiste una sorta di comunanza di intenti.
In ogni caso, Unatras non fa marcia indietro, ma anzi ribadisce «la propria disponibilità a proseguire il confronto con le istituzioni, tenendo aperto il dialogo con le imprese per individuare le iniziative più efficaci e opportune per raggiungere le soluzioni auspicate dalla categoria». Almeno per ora. Perché, malgrado la distanza che Unatras conferma rispetto a chi manifesta o si affida ad «azioni di violenza», in ogni caso «non esclude il ricorso al fermo nazionale dei servizi, ma sempre nel rispetto delle regole e dei codici di autoregolamentazione».
I luoghi della protesta
Mentre quindi il fronte diplomatico non segna ancora sostanziali passi in avanti, la protesta inizia è diventata tangibile in molte regioni. Principalmente in Sicilia e in Puglia, in modo particolare nella provincia di Foggia, ma ha interessato diversi altri contesti, come per esempio l’area di Fondi, nel Lazio, in cui ha sede il principale mercato ortofrutticolo italiano. Un movimento a macchia di leopardo, presente comunque in quasi tutte le regioni del Sud. Il segretario di Fai Sicilia, Salvatore Bella, parla di una «situazione ormai incontrollabile» e una «rabbia degli autotrasportatori portata all’esasperazione dal caro carburante». E auspica che da Roma giungano segnali positivi perché, in caso contrario, «la situazione non potrà che peggiorare sfociando in una guerriglia sociale con gravi danni anche alla filiera agroalimentare perché i prodotti deperibili non potranno essere spediti».
Giunge non a caso, in questo clima, lo stanziamento di 10 milioni, deciso dalla regione Sicilia, per consentire agli autotrasportatori dell’isola di recuperare almeno parzialmente i costi di attraversamento dello Stretto di Messina, divenuti più cari sempre a causa del rincaro dei costi del carburante.
Le ragioni del malessere
Quali siano le ragioni della protesta è abbastanza evidente. L’aumento dei costi del carburante è partito da lontano, ma ha ricevuto un’accelerazione repentina nei primi mesi del 2022. Molti autotrasportatori, intorno a dicembre, avevano anche ritrattato le tariffe dei propri servizi di movimentazione e spesso avevano ottenuto degli aumenti. Ma adesso ovviamente, malgrado l’incremento abbia raggiunto percentuali intorno al 30%, non possono recarsi nuovamente dai committenti a batter cassa. Anche perché, soprattutto nel settore agrialimentare, quello maggiormente interessato dalle proteste, un eventuale e ulteriore innalzamento delle tariffe di trasporto andrebbe a impattare anche sui prodotti finiti creando non pochi disagi a chi già fa i conti gli aumenti del costo della vita generati dal caro energia e dall’impennata dei prezzi delle materie prime. Ecco perché guardano quindi al governo affinché adotti misure in grado di minimizzare il più possibile i rincari in corso.
Che praticamente è anche ciò che desiderano le associazioni di categoria, che pure a livello locale esprimono una sorta di solidarietà per chi manifesta, prendendo però le distanze dal metodo utilizzato. Esemplare, al riguardo, l’analisi del presidente siciliano di Confartigianto Trasporti, Salvatore Di Piazza, che ricorda come ad aumentare non sia stato soltanto il carburante, ma anche l’adblue, gli pneumatici e una serie di altre voci che di fatto «ricadono interamente sui già scarsi margini di profitto delle imprese del trasporto». In pratica, molti camion oggi circolano, continuado a trasportare merci, senza però guadagnare un euro. Di Piazza quantifica il rincaro dovuto all’aumento del gasolio in 535 milioni di euro e sottolinea come l’abbiano sopportato soprattutto le micro e piccole imprese dell’autotrasporto merci.