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A dispetto delle promesse il decreto Semplificazioni non contempla la parola «autotrasporto»

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Doveva essere la panacea di tanti mali o, in qualche modo, lo strumento con cui lenire, tramite una nuova legge sui tempi di pagamento, alcune delle ferite subite dall’autotrasporto a causa dell’emergenza sanitaria. Invece, con il decreto legge 76/2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 luglio e anche noto come «decreto Semplificazioni», il governo ha deciso – appunto – di non complicarsi la vita e ha tralasciato completamente il settore del trasporto merci su strada. La cosa stupisce per almeno due aspetti: il primo riguarda molto banalmente la volumetria di questo decreto che, come tanta copiosa normativa prodotta in questi giorni emergenziali, è quanto mai prolisso e verboso, annoverando 63 lunghi articoli che parlano di tanto altro; il secondo attiene all’effetto sorpresa, nel senso che in realtà le trattative tra ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e associazioni di categoria dell’autotrasporto erano servite a concordare dei contenuti. E la ministra Paola De Micheli aveva promesso di affidare al decreto Semplificazioni almeno una nuova normativa sui tempi di pagamento e poi, magari, anche un’estensione delle revisioni ai privati per i rimorchi e i semirimorchi, un chiarimento definitivo sul fatto che l’autotrasporto non deve pagare il contributo all’Autorità di regolazione dei Trasporti. Tutte cose cadute nel nulla. 

A dire il vero qualche sospetto che il nulla avesse preso il sopravvento aveva punto qualche giorno fa il presidente di AnitaThomas Baumgartner, che evidentemente valutando bozze del decreto, dopo essersi lamentato che non contenesse «traccia di interventi rilevanti per il settore», aveva scritto una lettera alla ministra, firmata da cento aziende iscritte all’associazione, alzando addirittura la posta e aggiungendo alla lista delle richieste anche l’abolizione del calendario dei divieti di circolazione, la digitalizzazione delle lettere di vettura e l’utilizzo di mezzi più lunghi come già avviene in altri paesi europei. 

Ma non è servito neanche questo a nulla. Così, proprio ieri, dopo aver letto e riletto finanche le note a pie’ pagina del decreto e aver toccato con mano che effettivamente la parola «autotrasporto» non vi era contemplata, la Fiap, l’associazione che già nel corso della gestione delle trattative aveva mostrato una qualche contrarietà su alcune tematiche affrontate, ha deciso di convocare per il 27 luglio il proprio Consiglio nazionale spiegando però fin d’ora di aver dato prova «in questi ultimi mesi di un grande senso di responsabilità e, anche difendendo pubblicamente le proprie idee, di grande unità all’interno del coordinamento Unatras». Ora, però, aggiunge è «il nostro settore che esige rispetto. Gli ‘Eroi’ sono stanchi e forse hanno bisogno di qualche giorno di riposo». Facendo così intendere una qualche voglia di fiero riscatto.

Di tutt’altra natura, invece, la reazione di Amedeo Genedani, presidente di Unatras oltre che di Confartigianato Trasporti, che contattato da Uomini e Trasporti ha preferito glissare, trincerandosi dietro un «confidiamo nelle promesse della ministra». Quali siano queste promesse, però, per adesso non è dato sapere. Certo è che a chi magari sta attendendo la conversione in legge del decreto Semplicazioni per poter colmare le lacune ricordate, dobbiamo pure rammendare che spesso, a maggior ragione i governi con maggioranze risicate, quando entrano in Parlamento battono la strada della fiducia, eliminando così ogni ipotesi di emendamento e di modifica. E l’autotrasporto lo sa bene: nella legge di conversione del decreto Rilancio sarebbe dovuto comparire l’incremento dei fondi per portare il rimborso forfettario per le spese non documentate da 48 a 51 euro. Poi però quel decreto è stato approvato con la fiducia e questa (risibile) integrazione è caduta nel nulla.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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