Il riferimento normativo che affrontiamo oggi è l’art. 174, comma 14 del Codice della Strada, che riguarda la presunta responsabilità oggettiva dell’azienda di trasporto per il fatto del conducente che non rispetta gli orari di servizio e i tempi di sosta. Spesso, in questi casi, la ditta viene multata per l’infrazione del sottoposto, anche se la multa presupposta è stata regolarmente pagata.
Ma la giurisprudenza sta pian piano assumendo un’interpretazione molto più restrittiva ed equa della norma. È il caso della sentenza n. 767/2023 della giudice di pace di Reggio Emilia, pubblicata lo scorso 17 gennaio 2024.
IL FATTO
Nel caso specifico la Prefettura di Reggio Emilia aveva emesso un’ordinanza/ingiunzione nei confronti di un impresa di trasporto per una multa inflitta a un suo autista, comminando così una seconda sanzione al datore di lavoro. A questo provvedimento si era opposta l’azienda (difesa dall’avv. Iacovacci Roberto) che aveva fatto ricorso alla giudice di pace della città emiliana, chiedendo l’annullamento e il pagamento delle spese processuali.
I motivi erano i seguenti: a) la carenza di motivazione dell’ordinanza prefettizia; b) l’insussistenza della violazione di cui all’art. 174/14 CdS per mancanza di corresponsabilità nell’operato del conducente; c) l’esistenza della discriminante di cui all’art. 12 Regolamento. CEE 561/2006 (che recita: «A condizione di non compromettere la sicurezza stradale e per poter raggiungere un punto di sosta appropriato, il conducente può derogare alle disposizioni sui tempi di guida e di riposo…»); d) l’indebita attribuzione della violazione dell’art. 174/14 CdS; e) il rispetto del principio dell’onere della prova incombente sull’amministrazione che eroga la sanzione.
Da parte sua la Prefettura di Reggio Emilia si costituiva in giudizio, chiedendo la conferma del provvedimento impugnato e la condanna alle spese.
LA DECISIONE
La giudice dimostrava di avere pochi dubbi e dava ragione al ricorrente per quanto riguarda «la carenza dei presupposti relativi alla violazione contestata».
Secondo l’organo giudicante, infatti, l’impresa di trasporto aveva dato un’adeguata formazione al conducente, come da documenti presentati in tribunale, e aveva organizzato il lavoro seguendo le regole della normativa di riferimento, ovvero in sostanza «aveva fatto tutto quanto era nella sua disponibilità per evitare che il conducente commettesse infrazioni».
In altre parole, l’azienda aveva tenuto un «comportamento diligente nel garantire la sufficiente formazione all’autista responsabile» e perciò non poteva essere ritenuta corresponsabile.
E questa conclusione, secondo la giudice reggiana, è in linea con il recente orientamento del ministero dell’Interno che, attraverso alcune circolari, ha indicato come indirizzo generale la possibilità di valutare il comportamento tenuto dalla impresa di autotrasporto e gli adempimenti operati dalla stessa nell’ambito della formazione dei conducenti e nell’impartire loro adeguate disposizioni.
LE CONSEGUENZE
Con queste motivazioni il magistrato reggiano ha così accolto il ricorso e annullato l’ordinanza della Prefettura , compensando tra le parti le spese di giudizio. Una decisione che – come accennavamo – sta prevalendo in sede giudiziale, sempre laddove si dimostri documentalmente la correttezza dei comportamenti del datore di lavoro trasportista.