Il Coronavirus ha messo sul tavolo anche un altro dei temi temporali che affliggono l’autotrasporto: i tempi di guida e di riposo. I controlli minuziosi anche alle frontiere interne dell’Unione europea, ma anche – all’interno del Paese – le procedure sanitarie al carico e allo scarico hanno creato code, intasamenti, ritardi che hanno sostanzialmente fatto saltare le norme che regolano ferreamente i tempi di guida e di riposo in tutta Europa. Tempi troppo rigidi per poter essere rispettati nel caos creato in tutto il continente dalle misure di controllo contro il contagio. La norma italiana – agganciata al Regolamento europeo 561/2006 – prevede, infatti, che un conducente possa guidare quotidianamente fino a un massimo di 9 ore, che possono diventare 10 solo due volte alla settimana; il massimo di ore settimanale è di 56 e quello bisettimanale di 90, in modo che chi ha lavorato di più nei primi sette giorni possa guidare di meno nella seconda.
Ma il vero problema, di fronte alle code e ai ritardi è nelle interruzioni: bisognerebbe farne una di 45 minuti dopo ogni 4 ore e mezza di guida (ma può essere scomposta in una prima sosta di almeno 15 minuti e una seconda di 30). Regolamentati anche i riposi settimanali (due riposi di 45 ore in due settimane consecutive) e giornalieri che possono essere regolari, frazionati o ridotti. Nel primo caso il tempo di riposo è unico e deve essere di 11 ore (con 13 ore di turno), nel secondo può essere diviso in un primo riposo di 3 ore e un secondo di 9, nell’arco delle 24 ore (con 15 ore di turno), nel terzo è di 9 ore per un massimo di 3 volte alla settimana (con 15 ore di turno). In caso di doppio autista il riposo giornaliero prevede 9 ore di pausa nell’arco di 30 ore. Norme dettagliate e giornata frazionata, come si vede, evidentemente difficile da applicare se si finisce in una coda lunga oltre 50 chilometri come quella che si è formata al Brennero mercoledì 11 marzo.
DEROGA ALL’ITALIANA
Per questo, di fronte all’emergenza, i singoli Paesi europei si sono organizzati. Danimarca, Belgio e Spagna hanno deciso per prime di sospendere la norma sui tempi di guida nel periodo più duro del contagio: dal 13 marzo la prima, dal 14 le altre due. Poi – in assenza di una misura europea che avrebbe richiesto troppo tempo per la ratifica dei singoli stati (l’Unione si è limitata a creare un sito dove ogni paese può comunicare le deroghe decise) – si sono accodate Austria, Bulgaria, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Polonia, Regno Unito, Romania, Svezia, Ungheria, per tutte le merci e Belgio, Croazia, Germania e Olanda limitatamente ad alcuni generi merceologici (farmaci, rifiuti, alimentari, beni essenziali). Tutti, in pratica, hanno aumentato – in alcuni casi in maniera consistente, specialmente nel pacchetto più lungo – il tetto delle ore di guida. E in Italia?
Sollecitata, a metà marzo, da una lettera di Unatras (l’emergenza sta creando «notevolissime difficoltà» alle imprese di autotrasporto), la ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, ha annunciato in un’intervista radiofonica che avrebbe firmato a breve «il decreto che sblocca i tempi di guida per gli autotrasportatori». Era il 23 marzo. Pochi giorni dopo, con una dura nota, i sindacati Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti si dichiaravano «irritati e contrariati» delle richieste degli autotrasportatori per «modifiche che se accolte metterebbero a repentaglio la salute e la sicurezza dei lavoratori» e minacciavano «proteste nazionali ed europee».
Non è servito, nell’incontro tra associazioni e governo del 7 aprile, precisare la richiesta: da 9 a 11 ore giornaliere, da 56 a 60 le settimanali da 90 a 100 quelle bisettimanali, come nella maggior parte degli altri Paesi europei (per le giornaliere, Spagna e Svezia non hanno posto limiti) e comunque per un periodo limitato e con regolare registrazione sul cronotachigrafo. I sindacati sono tornati alla carica (si vogliono «destrutturare le garanzie e le tutele minime dei lavoratori») e il fronte dei fautori delle deroghe ha cominciato a sgranarsi, con alcune imprese di trasporto container e le stesse rappresentanze genovesi di Confartigianato, Fai e Fiap che hanno espresso «una certa perplessità circa le reali necessità di chiedere tale deroga».
ARRIVA IL PACCHETTO MOBILITÀ
È cominciato così un braccio di ferro che con il passare dei giorni e l’attenuarsi dell’emergenza diventa sempre più debole e sempre più inutile. Non solo perché le deroghe in quasi tutti i paesi che le avevano concesse sono ormai rientrate, ma soprattutto perché il Pacchetto Mobilità dell’Unione europea – che modificherà anche le norme sui tempi di guida e di riposo – ha fatto un altro importante passo avanti ed è ormai in dirittura d’arrivo. Lo scorso 8 giugno la Commissione Trasporti del Parlamento europeo ha approvato il testo concordato lo scorso dicembre tra il Parlamento stesso e il Consiglio dei ministri dei Trasporti. Ora non resta che attendere il voto dell’Aula, previsto per luglio, poi questa prima parte del Pacchetto verrà pubblicata sulla Gazzetta europea, diventerà legge europea e dopo 20 giorni entreranno in vigore, in particolare, proprio le norme sui tempi di guida e di riposo. Non che le prossime regole cambino molto: il periodo di riferimento rimane quello delle 90 ore di lavoro in due settimane, ma nei trasporti internazionali sarà possibile derogare alla normativa.
Ciò significa che, nel trasporto nazionale, i conducenti che nella settimana di lavoro hanno riposato il minimo previsto (24 ore), nella settimana successiva devono prendere un riposo regolare (45 ore o più), mentre quelli impegnati nel trasporto internazionale possono prendere due periodi di riposo ridotti per due settimane consecutive, a condizione che prendano due periodi di riposo compensativi (due volte 21 ore) la settimana successiva, collegati al periodo di riposo regolare con rientro a casa.
45 ore
È la lunghezza del cosiddetto «riposo lungo», quello che il pacchetto mobilità in approvazione nella seconda settimana di luglio prevede che non si potrà più trascorrere in cabina
MA È CONTRO IL DUMPING
Una deroga che negli ultimi mesi probabilmente avrebbe fatto comodo ai vettori italiani che lavorano nell’internazionale, ma che in realtà è stata costruita – insieme al resto della normativa in materia di trasporti internazionali – per esplicitare la sua efficacia non tanto sulla produttività dei trasportatori o sul benessere dei conducenti, quanto nella lotta al cabotaggio abusivo. Quel «riposo regolare a casa», infatti, non è una facoltà, ma un obbligo. Il Pacchetto prevede che l’autista impegnato nel trasporto internazionale rientri nel paese d’origine almeno una volta al mese e un mezzo – i cui legami sentimentali o funzionali con la terra natia sono assai poco rilevanti – almeno ogni due. Per di più viene esplicitato che il cosiddetto riposo lungo – quello di 45 ore – non può essere consumato in cabina; pratica alla quale ricorrono spesso i vettori dell’Est europeo per prolungare il cabotaggio anche oltre i termini consentiti (un massimo di tre operazioni entro una settimana, ma adesso con l’obbligo di uscire dal Paese e non rientrarvi per almeno quattro giorni). Certamente ne guadagnerà la salute di molti conducenti, ma anche i vettori occidentali che da anni cercano di contrastare la concorrenza sleale dei Paesi dell’Est che già godono di condizioni di favore per quanto riguarda tassazione, contributi previdenziali, salari e prezzo del carburante.
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