Dallo scorso 1° ottobre i veicoli Euro 3 adibiti al trasporto merci sopra alle 7,5 tonnellate non possono più richiedere il rimborso di parte dell’accisa sul gasolio. Una bella botta: sono 214,18 euro ogni mille litri di carburante e, dato che un veicolo pesante percorre in media intorno ai 100 mila chilometri l’anno, consumando un litro di gasolio ogni 3 chilometri, ecco che il consumo medio annuo è di quasi 35 mila litri e dunque la maggiore spesa è di oltre 7 mila euro l’anno. Per ogni veicolo.
Niente paura, però. Siamo in Italia e per di più c’è la pandemia. Dunque, è possibile che la tagliola già scattata sia spostata in avanti di 18 mesi, per non gravare troppo sulle imprese già abbastanza martoriate dal calo di attività generato dal lockdown. E che lo stesso avvenga per gli Euro 4, la cui esclusione dal beneficio è prevista dal prossimo 1° gennaio. Richiesta da Unatras alla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, lo scorso 4 maggio, insieme a una serie di misure legate alla crisi causata dal Covid-19, la proroga di fatto si è tradotta solo in un ordine del giorno approvato a fine maggio dalla Camera con cui si impegna il governo a spostare l’esclusione del beneficio per gli Euro 3 al 1° aprile 2022 e per gli Euro 4 al 1° giugno dello stesso anno.
proroga sì, proroga no?
Tanto le richieste di rimborso vanno presentate trimestralmente e quindi quelle relative a ottobre, novembre e dicembre di quest’anno partiranno dal 1° gennaio del 2021. C’è, perciò, il tempo perché la norma venga modificata e la proroga concessa, magari nella legge di Bilancio per il prossimo anno. Anche se da parte del governo non ci sono ancora segnali e in molti, anche tra le associazioni di rappresentanza, temono che l’esclusione degli Euro 3 e degli Euro 4 – inserita nel quadro delle politiche per la sostenibilità – venga legata al pacchetto di incentivi pari a 298,8 milioni in tre anni (2019-2021) in parte già stanziati, in parte promessi, proprio per rinnovare – con o senza rottamazione – il parco circolante più vecchio d’Europa dall’alto dei suoi 13,6 anni (stime Unrae).
E gli Euro 3 di anni ne hanno fra i 15 e i 20, essendo stati immatricolati tra il 2001 e il 2006, quando lasciarono spazio agli Euro 4 prodotti tra il 2006 e il 2011 e, dunque, anch’essi con almeno dieci anni di vita. Con tutte le conseguenze in termini di maggiore inquinamento e minore sicurezza, che poi fanno di questi veicoli l’obiettivo di misure restrittive non solo da parte del governo centrale.
intanto, tunnel e regioni li bloccano
Dallo stesso 1° ottobre, infatti, c’è il divieto di transito per gli Euro 3 e gli Euro 4 al di sopra delle 3,5 ton, attraverso il tunnel del Fréjus, misura adottata da tempo – dal gennaio 2019 per i veicoli sopra le 7,5 ton e dal settembre dello stesso anno per quelli sopra le 3,5 ton – dal traforo del Monte Bianco. C’è da dire che anche il Fréjus avrebbe voluto partire a luglio, ma anche in questo caso la pandemia ha portato a uno slittamento di tre mesi.
Da anni poi, gli Euro 3 hanno difficoltà a circolare in molte Regioni. Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte – nell’ambito dell’«Accordo bacino padano» per limitare l’inquinamento – hanno varato una serie di divieti che varia nel tempo e nello spazio. Inizialmente l’impegno comune era di bloccare gli Euro 3 dal 1° ottobre al 31 marzo di ogni anno, dal lunedì al venerdì e dalle 8,30 alle 18,30, nei Comuni con più di 30 mila abitanti (per gli Euro 4 dovevano partire da questo ottobre, ma la data è slittata all’11 gennaio 2021, causa Covid). Ma dopo un anno la Lombardia ha dato un giro di vite: niente Euro 3 dalle 7,30 alle 19,30 dei giorni feriali in 209 Comuni (la cosiddetta Fascia 1) e in quelli di Fascia 2 sopra i 30 mila abitanti. Risultato: un veicolo Euro 3 che circola in Emilia o in Veneto da aprile a settembre non può sconfinare e per circolare in Lombardia (ma anche in Emilia) deve comunque consultare una cartina che è un rebus.
Un mese dopo l’accordo padano, il Lazio ne ha seguito l’esempio lanciando dal 1° novembre 2019 un piano antismog che ricalca le limitazioni per gli Euro 3 decise al Nord. Piano immediatamente applicato a Roma e nel circondario con il blocco per tutto l’anno, dal lunedì al venerdì, dell’accesso degli Euro 3 all’anello ferroviario interno. Circolare nelle grandi città con un Euro 3, peraltro, è diventato quasi impossibile. Prima di Roma era stata Milano a vietarne la circolazione in modo permanente. Ma limitazioni pesanti ci sono anche a Torino, a Venezia, a Napoli, a Salerno, in una giungla di divieti che scoraggerebbero anche il più paziente degli autisti.
quanto ci rimetto?
Poi c’è da considerare che gli Euro 3, dotati di motori fabbricati secondo tecnologie di venti anni fa e logorati dall’uso, hanno consumi assai più consistenti di un veicolo di ultima generazione. Lo ha sottolineato, intervenendo a K44 Risponde – il Tg streaming diffuso settimanalmente sui siti e sui social di Uomini e Trasporti e di Trasporto Europa – Eugenio Zaninoni, presidente del Coap di Piacenza: «L’Euro 3 fa tre chilometri, mentre gli Euro 6 – con 500 CV e anche più – arrivano tranquillamente a 3,5-3,7. E parlo di mezzi che viaggiano anche a pieno carico».
In cifre, c’è una differenza di almeno il 20%, il che vuol dire che un veicolo Euro 6 per fare quei 100 mila chilometri l’anno di media, non consuma i 33 mila litri di gasolio stimati per un Euro 3, ma soltanto 28.500. Con il carburante a 1.262,69 per mille litri (rilevazione ufficiale del 5 ottobre) vuol dire una spesa di 42 mila euro con un Euro 3, contro i 36 mila con un Euro 6, dai quali bisogna togliere anche 6 mila di rimborso dell’accisa, arrivando così a un costo (medio) del carburante per un veicolo Euro 6 di 30 mila euro l’anno: 12 mila in meno che per un Euro 3.
Per non parlare dei costi di manutenzione di un mezzo vetusto che spesso ha bisogno dell’officina e del fatto che un’impresetta non può neanche più ammortizzarne la spesa per risistemare il bilancio. Insomma, anche se l’esclusione dal beneficio della riduzione dell’accisa dovesse essere rinviato di qualche mese, il de profundis per gli Euro 3 (e a stretto giro per gli Euro 4), fra divieti crescenti e costi sproporzionati sembra sempre più vicino. Ma come mai, nonostante tutte queste negatività, in Italia girano ancora 159 mila Euro 3 al di sopra delle 3,5 ton, che vuol dire quasi un quarto del circolante? Oltre ai 97 mila Euro 2 (1997-2001), ai 56 mila Euro 1 (1993-1997) e agli 88 mila Euro 0 (prima del 1992) per un parco di oltre 400 mila veicoli con più di 15 anni d’età?
CAMION PER CHI È ALLA SOGLIA DELLA PENSIONE
Eugenio Zaninoni, presidente della Coap di Piacenza, non ha dubbi: un veicolo Euro 3 è meno sicuro, visto l’inferiore livello di tecnologia di cui dispone, è soggetto a maggiori costi di manutenzione e soprattutto consuma almeno il 20% in più di un camion attuale: 3 km/l circa del primo a fronte di un 3,5-3,7 del secondo. Insomma, non convengono a nessuno, se non a chi «ormai prossimo alla pensione non vuole andare a imbarcarsi in finanziamenti a lungo termine».
ma allora chi li usa?
In realtà con il passare degli anni il numero di Euro 3 sopra le 3,5 ton diminuisce, ma molto lentamente: sempre secondo stime Unrae, dal 25,8% del 2017 (168.434) al 23,3 del 2019 (159.605). Considerando anche i veicoli di generazioni precedenti, il circolante è sceso dal 64% (423,144) al 59,0 (401.410). E allora, chi sono i proprietari di questi mezzi obsoleti e cosa li trattiene dal sostituirli con un prodotto di nuova generazione? Il principale indiziato è il conto proprio. Si tratta di un universo largamente inesplorato, su cui l’improbabile mondo delle statistiche sull’autotrasporto nazionale non riesce a gettare neanche una sbirciatina. L’unico dato disponibile sono le ton/km (fonte Istat) che mostrano come il conto terzi lasci a chi trasporta per sé il 20% del totale, dove la maggiore capacità e percorrenza del primo finisce per nascondere l’intera attività sul breve raggio con carichi leggeri dei secondi.
Quanti siano i veicoli Euro 3 in conto proprio non è dato sapere, ma certamente si annidano nella fascia più bassa della portata – fra le 3,5 e le 9 ton – che a dati Aci-Anfia è forte di quasi 140 mila veicoli. Non è un caso che il conto proprio concentri i suoi viaggi in tratte al di sotto dei 50 chilometri, con il 74% delle ton/km trasportate. È proprio questo chilometraggio ridotto, che difficilmente raggiunge annualmente i 15-20 mila chilometri (50 km per 365 giorni – compresi, dunque, ferie e festivi – fa 18.250), a vanificare i risparmi consentiti dai mezzi più moderni. E, al di sotto delle 7,5 ton non c’è neppure il vantaggio dello sconto sull’accisa, che spetta anche a chi trasporta per sé.
Insomma, il grosso degli Euro 3 sembra concentrarsi in un conto proprio fatto di artigiani e agricoltori che si muovono nei dintorni della propria sede e, comunque, fuori dei centri urbani maggiori. Il che vuol dire che fra i trasportatori in conto terzi la presenza di Euro 3 è abbastanza ridotta, soprattutto nelle imprese più strutturate. Ma anche i più piccoli si rendono conto della scarsa convenienza di restare affezionati all’Euro 3: «Ormai sono mezzi di chi è prossimo ad andare in pensione», spiega Zaninoni, «e di conseguenza non vuole andare a imbarcarsi in finanziamenti a lungo termine. Le flotte invece, secondo me, di Euro 3 se pure ne hanno ancora, ne hanno ben pochi».
LE CAMPAGNE AGRICOLE, L’HABITAT DEGLI EURO 3
Uno dei settori in cui l’Euro 3 ancora trova spazio è l’agricoltura. O meglio le raccolte di alcuni prodotti, molto concentrate a livello temporale e che richiedono una distribuzione rapida e concentrata. Parliamo in particolare di barbabietole e pomodori. In realtà la prima campagna è praticamente estinta in Italia (nel 1948 c’erano 62 zuccherifici, oggi solo due), la seconda prospera con quasi 5 milioni di tonnellate di prodotto da indirizzare a un’industria della trasformazione (pelati, polpa, conserve) che deve riceverli il prima possibile.
la filiera del pomodoro
Ma, conto terzi o conto proprio, c’è una filiera dove l’Euro 3 – se non una tipologia più vetusta – trova ancora spazio ed è in quei settori agricoli che richiedono una raccolta e una distribuzione rapida e concentrata. Come la barbabietola e il pomodoro. Ma mentre la prima è praticamente estinta in Italia (nel 1948 c’erano 62 zuccherifici, oggi sono solo due), la coltivazione del pomodoro prospera con quasi 5 milioni di tonnellate (secondo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti), il 90% delle quali alimenta un’industria della trasformazione (pelati, polpa, conserve) che ha bisogno di ricevere il prodotto praticamente appena staccato dalla pianta. Una delle principali industrie conserviere nazionali ha addirittura fatto realizzare una macchina mobile per trasformare il pomodoro in polpa sul campo dove viene raccolto, solo 20 minuti dopo essere stato staccato dalla pianta, anziché dopo alcune ore.
Non solo è urgente la consegna, ma il periodo stesso della raccolta si racchiude in meno di due mesi. «L’intera produzione è concentrata in 45-60 giorni», afferma il direttore dell’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav), Giovanni De Angelis, che fa discendere da questa ristrettezza di tempi anche il caporalato che affligge la raccolta del pomodoro: «Per il pomodoro, il problema della manodopera irregolare è principalmente legato alle criticità derivanti dalle esigenze di trasporto delle persone nei campi e dell’alloggio», ha spiegato in una recente intervista. «Spesso è necessario reclutare i braccianti in poche ore, con le complessità che ne derivano, in particolar modo sotto l’aspetto logistico e organizzativo».
Anche il trasporto soffre di tale concentrazione di tempi. Ha fatto notizia due anni fa la multa di 6.204 euro inflitta a un camionista che, proprio perché impegnato nella raccolta del pomodoro, aveva guidato per un mese senza rispettare i tempi di guida e di riposo. In questa situazione non stupisce di trovare spesso veicoli vecchi e macilenti, da sfruttare a esaurimento solo per due mesi l’anno. Che senso ha cambiare il veicolo con uno più nuovo, sicuro ed ecologico?
Il fatto è che con la barbabietola e il pomodoro una volta i trasportatori guadagnavano e guadagnavano bene. «Soltanto 40-45 anni fa», ricorda Zaninoni, «con una campagna di due mesi il trasportatore ci si ripagava il mezzo, perché i prezzi erano molto più alti. Oggi una cosa del genere è impensabile». Ma i prezzi, oggi, sono praticamente imposti ai produttori dalla Grande distribuzione organizzata. «Le aste al ribasso, sono pratiche sleali da combattere», ha osservato De Angelis. «Anche se non tutta la distribuzione fa ricorso a queste pratiche di acquisto, gli effetti che ne derivano si ripercuotono sull’intero sistema favorendo fenomeni speculativi».
il vecchio cronotachigrafo
Toccando anche il segmento del trasporto in cui – come insegna la supermulta di due anni fa – c’è chi è disposto a correre il rischio pur di lavorare in una filiera sempre meno remunerativa. Per chi sceglie questa strada accidentata l’Euro 3 è un complice prezioso, grazie al cronotachigrafo analogico di vecchio tipo, quello con i dischi di carta più facile da manomettere per mostrare di aver rispettato i tempi di guida e di riposo. Zaninoni ne lega l’uso (e l’abuso) proprio alla filiera del pomodoro: «Il tachigrafo con i dischi», spiega, «è più facilmente gestibile, quando si fanno le campagne, perché si dipende dagli stabilimenti che dettano i tempi secondo le loro necessità e se ne fregano del trasportatore, dei suoi orari, dei tempi di guida e di lavoro giornaliero».
Questo potrebbe in parte spiegare anche come mai di Euro 4 ne circolino solo poco più di 30 mila: sono veicoli immatricolati dal gennaio 2016 e guarda caso proprio a maggio dello stesso anno divenne obbligatorio il tachigrafo digitale, senza dischi di carta e con una memoria meno accessibile.
Certo, del vecchio cronotachigrafo non ne approfitteranno solo i trasportatori di pomodoro. Probabilmente anche qualche padroncino cercherà di ricavarne vantaggi. Forse anche qualche impresa più strutturata avrà ancora in rimessa un Euro 3 con il vecchio tachigrafo da utilizzare al momento giusto. Fatto sta che le stesse associazioni di rappresentanza non tirano su muri a difesa dei vecchi mezzi. Silvio Faggi, segretario generale di Fiap, anzi, sottolinea che questa storia del vecchio cronotachigrafo è «una forma di concorrenza sleale rispetto a chi essendo più controllabile è costretto a rispettare le regole».
Negli ultimi giorni solo CNA-Fita ha continuato a protestare per l’aggravio dei costi causato dalla cancellazione dello sconto sull’accisa. Ma più che per ottenere una proroga del beneficio, per chiedere un confronto sulle risorse destinate al rinnovo del parco, ritenendo insufficienti quelle stanziate. «Se le imprese non acquistano veicoli nuovi», ha osservato in una nota, «non è per mancanza di rispetto dell’ambiente, bensì per oggettive difficoltà economiche. Senza interventi robusti, la sostituzione dei camion immatricolati Euro 3 richiede oltre 20 anni». Non è un caso che l’ultima tranche messa a bando – 22 milioni per rottamare il vecchio e acquistare il nuovo – sia andata esaurita nel giro di poche ore, con richieste pari al 120,3% dello stanziamento.
Lo scorso luglio l’Unione europea ha avviato la seconda fase delle consultazioni pubbliche in vista dell’introduzione dello standard Euro 7 che, secondo le prime indiscrezioni dovrebbe partire dal 2026. Se non cambia il ritmo delle rottamazioni di Euro 3 e antecedenti (12 mila ogni dodici mesi), in quell’anno ci sarebbero ancora più di 420 mila veicoli vetusti. Quando l’Europa sarà, probabilmente, all’Euro 10.
CAMION VECCHIO FA TACHIGRAFO TAROCCABILE
Il principale motivo per cui in tanti ancora si tengono stretti dei veicoli Euro 3 vecchi di vent’anni, che consumano tanto e si rompono spesso, è perché comunque sono ancora equipaggiati con il vecchio cronotachigrafo analogico, facile da manomettere così da eludere i tempi di guida e di riposo imposti dalle normative.