Siamo sempre di più e quindi mangiamo di più o comunque scambiamo sempre più cibo. Su scala mondiale, il commercio di prodotti agroalimentari cresce ormai da 15 anni (2003-2018) con un incremento medio annuo del 3,5%. Secondo le stime di Luca Lanini, professore all’Università Cattolica di Piacenza, uno dei maggiori esperti italiani di logistica del food, la metà di questi flussi viaggia in mare. «Questo tipo di trasporto – spiega – funziona molto bene, grazie a container ormai all’avanguardia sia sul refrigerato che per il grocery». È il resto, vale a dire tutta la filiera che si attiva dall’arrivo al porto, dal campo, dallo stabilimento o dalla piattaforma logistica primaria fino alla tavola, a dover fare i conti con antiche e nuove criticità, trend in evoluzione e con abitudini e consumi in grande cambiamento.
UN GIRO D’AFFARI IN CRESCITA
Anche in Italia i numeri non cambiano di molto. Perché anche da noi il giro d’affari legato al cibo è in crescita: la produzione agricola è aumentata dello 0,6% nel 2018, spinta in alto dall’incremento del 16,2% del vino, in parte compensato dalla pessima performance dell’olio d’oliva. Anche l’industria alimentare (+2,7%) e quella agroalimentare (1,8%) sono cresciute in termini di volume nel 2018, con un trend riconfermato anche nei primi mesi del 2019, nel corso dei quali sembra rianimarsi anche il carrello degli italiani. Dopo un deciso rallentamento del 2018, nei primi mesi di quest’anno si registra un incremento dello 0,8% della spesa delle famiglie per i prodotti agroalimentari: in parte è da attribuire all’aumento dei prezzi, ma in alcuni comparti sono in crescita anche i volumi acquistati (ortaggi trasformati, frutta fresca, salumi, pesce fresco e decongelato). Anche le esportazioni di agroalimentare hanno evidenziato una crescita considerevole (+5,3%) nel primo trimestre del 2019, anche se successiva al rallentamento registrato nel 2018 (+1,2%). In particolare si nota un exploit dell’export verso il Regno Unito con un +14% dovuto probabilmente alle scorte pre-Brexit, così come rimangono vivaci i mercati di Germania e Usa, anche se su quest’ultimo paese pesa la scure dei dazi autorizzati dal Wto.
PIÙ PASSAGGI E MENO VOLUMI
Tutto ciò evidenzia come il settore sia molto legato ai trend del commercio internazionale. In più si avvale di una logistica complessa, fatta di segmenti diversi – dal fresco al grocery fino all’ortofrutta che non può essere trasportata con altra merce – che deve fare i conti con molti passaggi, a volte determinati dalla cosiddetta cold chain, ovvero la catena del freddo (pensiamo ai surgelati), e con una vastissima platea di destinatari primari e secondari: dal campo o dal container alle piattaforme logistiche di smistamento, ai livelli intermedi di lavorazione, fino ai grandi hub per poi partire per una distribuzione capillare che arriva alla grande distribuzione, al comparto cosiddetto Horeca (hotel, ristoranti, caffè) fino ai negozi di prossimità, ai mercati o al consumatore finale. Attualmente, gli alimenti trasportati in regime di ATP sono il 40% del totale, che corrispondono ai 200mila certificati ATP rilasciati dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Quindi ai 200mila mezzi refrigerati come minimo ne andrebbero aggiunti altri 300.000 per avere un’idea del parco veicoli complessivo impegnato a movimentare il food. Un parco che, secondo Anfia, è destinato a crescere del 2,5% all’anno da qui al 2030.
Il caso di Bofrost
QUANDO LA BLOCKCHAIN CARICA ANCHE IL TRASPORTO
Anche il San Daniele gioca la carta della blockchain. Ma il sistema che il consorzio del celebre prosciutto friulano sta testando per seguire tutte le informazioni e il processo produttivo di una delle eccellenze del cibo italiano si ferma sulla soglia dello stabilimento. Se oltre quella soglia il prosciutto sarà trasportato male, a temperature troppo elevate, stoccato in magazzini inadeguati, il consumatore, almeno per il momento, non potrà saperlo. Quello del San Daniele non è il primo esperimento di blockcahin – nuovissima tecnologia che permette di avere dati inalterabili lungo tutta la filiera – che non contempla la fase della distribuzione. Ne abbiamo altri, per esempio, nel vino, altra eccellenza bisognosa di controllo costante di qualità, ma che, (per ora) non va oltre l’imbottigliamento. Fa eccezione, almeno in parte, Bofrost che sta testando un progetto sperimentale di blockchain sulla filiera del merluzzo e dei carciofi contemplando anche il trasporto. «Riusciamo a tracciare anche le fasi salienti del trasporto degli alimenti – dice Fabio Roncadin, responsabile Logistica di Bofrost Italia – con particolare attenzione al mantenimento della catena del freddo. Nel caso dei filetti di merluzzo nordico, per esempio, è possibile conoscere da quale nave, in quale periodo e con quale attrezzatura è stato pescato il pesce, oltre a geolocalizzare il luogo di pesca sulla mappa. Dopodiché si passa alla fase di surgelazione, con l’indicazione della data di conferimento a Bofrost, momento in cui viene controllata la temperatura (-18°C) sia lungo tutto il trasporto sia allo scarico e sono prelevati campioni per i controlli di qualità. Lo stoccaggio avviene all’interno di appositi magazzini a -26°C, in cui si conservano i materiali per le procedure di smistamento, confezionamento spedizione e consegna in modalità FIFO (‘first in, first out’). Attraverso il QR code il cliente può conoscere la data di confezionamento e spedizione. La consegna al cliente finale avviene con appositi mezzi con cui è garantito il rispetto della catena del freddo: in qualsiasi momento, infatti, si può controllare la temperatura di trasporto nel termometro presente sul lato destro dell’automezzo».
Per gli spicchi di cuori di carciofo, la procedura è analoga: «Si parte dal campo – continua Roncadin – con l’indicazione dei periodi di coltivazione e di raccolta e la zona geografica di provenienza, si prosegue con la surgelazione, effettuata all’origine e, come per il merluzzo, è possibile tracciare le date di conferimento a Bofrost, confezionamento e spedizione, con controllo della temperatura lungo tutto il viaggio del prodotto». Come? La consegna dei prodotti al cliente finale avviene con mezzi e personale dipendenti direttamente da Bofrost. Ragion per cui la catena non si interrompe.
Accanto a grandi nomi come Number 1, realtà nata da uno spin off di Barilla e specializzata nella logistica del secco, e Stef, multinazionale francese leader nel refrigerato e arrivata in Italia grazie all’acquisizione di aziende di dimensioni ridotte, si trovano molte piccole e medie imprese, spesso consorziate per garantire maggiore capillarità. Il caso DIF (Distribuzione Italiana Freschi) sta facendo scuola. Si tratta di un network nato intorno a un’azienda di grandi dimensioni, come la Torello Trasporti, con l’obiettivo di rispondere meglio alle esigenze del mercato sotto il segno della logistica collaborativa. «Oggi l’agroalimentare – spiega Lanini – deve fare i conti con la diminuzione dei volumi e l’aumento dei passaggi». Stoccaggi sempre più ridotti si associano a tempi di consegna strettissimi, dovuti anche all’exploit dell’e-commerce: non solo cibo pronto a domicilio, ma anche ortofrutta a chilometro zero, surgelati e spesa consegnata sul pianerottolo. «La criticità di mercato – commenta Marco Comelli, segretario generale di OITA (Osservatorio Italiano traporto alimentare) – deriva dal fatto che sono cambiati i modelli distributivi degli alimenti e quindi oggi i soggetti che possono trovarsi a trasportare food sono cresciuti. Il destinatario non è più solo un grande centro commerciale, ma spesso nemmeno un negozio di vicinato. Oggi ci sono le superette (i minimarket dei centri urbani, ndr), che privilegiano lo spazio a scaffale e non hanno magazzino, per cui i rifornimenti sono difficili e spesso arrivano mischiati. C’è poi tutta la problematica della consegna diretta al privato, che non è soltanto la food delivery dei piatti pronti. Basta pensare alla consegna della spesa, che dal punto di vista logistico normativo è un vero rompicapo».
Le strategie della committenza
LA GDO INVESTE SUL GREEN
Conad si rivolge a Stef, che a sua volta opera con aziende come LC3 dotate di una flotta al 60% alimentata a LNG. Ma pure Coop va nella stessa direzione e anche rispetto al settore non-food vuole alzare i requisiti ambientali richiesti nei tender, visto che oggi il 30% dei loro fornitori opera con veicoli ancora Euro 3
Il green si allarga. Colora i giovani, ma tinge in maniera netta anche le scelte di consumo delle persone. Rispetto alla committenza gli orientamenti sono duplici: da una parte, c’è quella che pretende di essere verde e lo richiede anche ai suoi fornitori, perché intende investire sull’immagine della logistica per riformulare la propria; dall’altra, c’è quella meno sensibile all’ambiente, ma è comunque legata al territorio e proprio per questo i tempi e la capillarità della distribuzione diventa nelle sue strategie fattori imprescindibili. L’autotrasporto, posto di fronte a queste scelte diverse, cerca di trovare la maniera di conciliarle, in modo altrettanto diversi.
«Lavoriamo con le stesse ditte e cooperative da anni – racconta Benedetto Facchiolla, presidente di Finoliva Global Service, realtà che raccoglie tutto l’olio prodotto in Puglia, Calabria e Sicilia da 5.000 piccoli produttori – che si occupano della raccolta del prodotto in autobotti e dell’invio verso le piattaforme primarie gestite da nostri partner, quali Alce Nero e Moltabano Agricola. In seguito si occupano della distribuzione presso i clienti finali, che sia la GDO o altre realtà. E anche sull’estero ci rivolgiamo da anni agli stessi spedizionieri di fiducia». Insomma l’impressione è che il sistema abbia sviluppato ingranaggi rodati in grado di assicurare puntualità e capillarità. Fa in parte eccezione la grande distribuzione, impegnata in questi anni ha superare varie prove e a porsi nuovi obiettivi. Prova ne sia che la spesa nel carrello torna lentamente a crescere, ma non ovunque. I grandi brand, infatti, soffrono ancora, anche perché i consumatori medi guardano sempre più spesso ai discount. Così, messa in difficoltà, la GDO utilizza anche la logistica come strumento per riacquistare capacità competitiva e per rifarsi il look. Ecco perché chiede sempre più trasporto sostenibile, ecco perché mostra sempre più interesse a calcolare e a comunicare la propria impronta allo scopo di convincere il consumatore più green di condividere un progetto comune. Conad, per esempio, da un paio di anni, stando ai bilanci di sostenibilità, ha affidato a Green Router la misurazione dell’impronta ambientale degli hub e a Stef la logistica. «Collaboriamo con Stef da fine 2017 – racconta Dario Cingolani, direttore commerciale di LC3 di Gubbio, forte di una flotta alimentata per circa il 60% a LNG e per il resto composta soltanto da Euro VI – ma stiamo notando che anche altre realtà chiedono camion più sostenibili. Abbiamo avviato collaborazioni con Lidl, Eurospin e Coop Italia e tutte sono caratterizzate da trasporti più green».
Anche l’altro gigante della grande distribuzione, infatti, sta prestando sempre più attenzione alla sostenibilità dei trasporti. «I tender – ci conferma Giuseppe Bertini, direttore della logistica di Coop Italia – comprendono un “pacchetto di viaggi” per la durata di un anno, ma i contratti generalmente vengono rinnovati», anche se la flotta green dei propri fornitori sta diventando un requisito sempre più essenziale. «Nel reparto non food – spiega Bertini – che comprende articoli per la casa, tecnologie e abbigliamento i tender sono centralizzati, nel senso che cerchiamo fornitori nazionali in grado di ottimizzare i viaggi riempiendo sempre, per nostro conto o per terzi anche il ritorno. Ebbene qui ci siamo accorti che c’è da lavorare visto che il 30% dei nostri vettori ancora usa mezzi Euro 3. E solo il 3% ha scelto l’alimentazione a LNG. Abbiamo avviato una riflessione interna per introdurre nei tender requisiti più stringenti sui mezzi dei fornitori e sulla loro impronta ambientale». Trasportatori all’ascolto: ritenetevi informati.
LA COLD CHAIN
Un rompicapo diventa anche quello di garantire il mantenimento della stessa temperatura durante tutto il percorso e i molti passaggi intermedi. «Questo problema oggi è ancora più sentito – aggiunge Comelli – per via dell’e-commerce: gli alimenti spesso viaggiano nel collettame, anche quelli che in teoria dovrebbero viaggiare in veicoli o in contenitori a temperatura controllata. Per non parlare di vino, olio, conserve, grocery che spesso vengono spediti insieme a libri, vestiti e Dvd». La parcellizzazione del mercato, soprattutto sull’ultimo miglio, sta creando più di un pensiero tra gli operatori che cercano soluzioni per garantire la tracciabilità su tutta la filiera, fino al consumatore. Una delle possibilità è l’applicazione della tecnologia della blockchain, una catena di trasmissione dati “bloccata”, in cui le informazioni sono inalterabili e in grado di seguire tutte le fasi di lavorazione e di trasporto. Purtroppo, però, sono pochissimi gli esperimenti che prendono in considerazione anche la fase distributiva, perché in genere si fermano sulla porta dello stabilimento di produzione. Soltanto Bofrost (si veda articolo a p. 26), tra le aziende prese in considerazione, riesce per il momento a estendere il controllo telematico fino alla consegna sulla porta di casa, in virtù del fatto che la flotta dei camioncini impegnati sull’ultimo miglio fa direttamente capo alla casa madre. «Come OITA vogliamo che ci sia la garanzia di qualità dall’origine alla tavola – continua Comelli – e che altri alimenti siano sottoposti al regime ATP. Le resistenze sono diffuse, anche se spesso non aperte, ma per prodotti come vino e olio oggi non vengono garantite condizioni di trasporto controllate».
Le strategie dell’offerta di trasporti: Umberto Torello, presidente di Transfrigoroute Italia
«GLI INVESTIMENTI PER IL TRASPORTO GREEN? NON SEMPRE LA COMMITTENZA LI RICONOSCE»
Servono veicoli a basse emissioni, sedi diffuse, efficienti infrastrutture digitali, competenze sempre maggiori. Tutto cose che servono per trasformare il trasporto del freddo da fattore di costo da comprimere, a valore aggiunto sia per la qualità del prodotto, sia per la velocità e l’affidabilità della distribuzione
Per attuare una logistica sempre più collaborativa e green è necessario dialogare sia a monte che a valle della filiera. È questa la ricetta proposta dall’ultimo congresso di Transfrigoroute International, riunitosi a Napoli alla fine di settembre con la partecipazione di imprese italiane e straniere della cold chain. Quali sono stati i temi più dibattuti? «Abbiamo deciso di concentrare l’attenzione – ha spiegato a Uomini e Trasporti il presidente di Transfrigoroute Italia, Umberto Torello –su tre tematiche di forte attualità per il trasporto refrigerato: le alimentazioni alternative per i veicoli frigoriferi, l’e-commerce e la distribuzione urbana e il rapporto tra gli attori della cold chain. Ed è proprio attorno a questi aspetti che si concentrano i trend del trasporto a temperatura controllata. I costruttori di veicoli frigoriferi sono alla costante ricerca di innovazioni che consentano di ridurre l’impatto ambientale delle nostre attività, soprattutto in ambiti delicati quali quello della urban distribution. D’altro canto, lo sviluppo del commercio elettronico sta rivoluzionando non solo le abitudini dei consumatori, ma anche il nostro modo di fare impresa, con nuove sfide in termini di efficienza, efficacia e sostenibilità ambientale ed economica. È quindi fondamentale che tutti i protagonisti della catena del freddo (dalla fase della produzione a quella del consumo) collaborino per assicurare la qualità del prodotto e l’integrità della filiera».
Quali sono le strategie dei vettori italiani ed europei per rispondere a queste esigenze del mercato?
Le nostre imprese sono chiamate a rispondere alle nuove esigenze di un mercato, che impone stringenti tempi di consegna e massima copertura del territorio. Da un lato, tale cambiamento esige enormi investimenti in azienda, non solo dal punto di vista materiale, con nuovi veicoli e nuove sedi distribuite su tutto il territorio, ma anche in termini di risorse immateriali, come le infrastrutture software e hardware, piuttosto che un empowerment in termini di competenze. I trasportatori si devono quindi tenere in costante aggiornamento e incrementare gli investimenti. Tutto questo comporta un esborso notevole che deve essere riconosciuto dalla committenza. Il trasporto e la logistica non possono più essere visti come un costo da comprimere il più possibile per abbattere il prezzo finale del prodotto, ma al contrario devono essere considerati un valore aggiunto per la qualità del prodotto, la velocità della distribuzione e l’affidabilità della cold chain. È per questo che abbiamo voluto concentrare il congresso di Transfrigoroute International sul rapporto tra gli attori della filiera: il dialogo e la collaborazione tra imprese, anche di diversi settori, sono di estrema importanza.
Il caso DIF può essere un modello?
DIF – Distribuzione Italiana Freschi – è un network che riunisce le aziende italiane specializzate nel trasporto a temperatura controllata (0/+4°C) di prodotti alimentari confezionati. Il network dispone di un hub centrale – a Piacenza, presso il polo Logistico Le Mose – e punti di raccolta territoriali distribuiti in varie regioni italiane: si tratta di luoghi in cui arriva la merce e da cui parte la distribuzione su tutto il territorio nazionale. Grazie a un’organizzazione su base regionale, DIF riesce a coprire grandi distanze in tempi brevi e, quindi, a garantire la propria presenza in gran parte d’Italia. Il network assicura la corretta conservazione della merce fresca in ogni passaggio. Il lavoro di tutti gli affiliati è coordinato dal network attraverso l’utilizzo di tecnologie ideate per la tracciabilità in tempo reale dei veicoli e dei prodotti in consegna. Insomma, DIF incarna quei valori di condivisione propri della logistica collaborativa.
Un’altra sfida per il mercato del food è rappresentata dalla distribuzione urbana e dall’e-commerce. Quali sono le richieste della domanda in questo ambito e come sta rispondendo l’offerta di trasporto?
Il consumatore esige non solo prodotti di qualità e in perfetto stato conservativo, ma anche tempi di consegna celeri. Questo è vero soprattutto nell’ambito della distribuzione urbana, dove i moderni stili di vita e le mutate abitudini alimentari hanno rivoluzionato anche il trasporto e la logistica all’interno delle città. Basti pensare ai cibi bio, al chilometro zero, alla crescente attenzione del consumatore per gli aspetti etici della produzione e della distribuzione. A ciò si aggiungano le stringenti regole per il traffico commerciale in ambito cittadino, con requisiti ambientali per i veicoli e restrizioni alla circolazione. I vettori, in Italia e in Europa, già da tempo si sono adattati a queste novità, investendo in veicoli a sempre minor impatto ambientale per la distribuzione urbana, ma anche in sistemi informatici che garantiscano la velocità e la puntualità delle consegne, nonché la capillare copertura del territorio.
In particolare in ambito urbano si richiedono trasporti green. Si tratta di investimenti molto importanti da parte dei vettori. Vengono riconosciuti dalla committenza?
I veicoli refrigerati per loro natura consumano di più rispetto ai normali veicoli per il trasporto merci. Ciò comporta nuove sfide soprattutto in ambito urbano, dove le emissioni relative al trasporto sono prese di mira dai decisori e devono pertanto essere abbattute per contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività commerciali. D’altro canto, in generale i mutati equilibri geopolitici e le nuove sensibilità ambientali fanno presagire interventi pubblicistici volti alla riduzione degli incentivi legati al rimborso dell’accisa sul gasolio. Sono queste tutte leve che inducono le imprese a investire in veicoli più efficienti dal punto di vista ambientale, ma anche in sistemi IT a supporto dell’efficacia del trasporto e della distribuzione. Come ho già sottolineato, gli sforzi di adeguamento delle imprese di trasporto e logistica devono trovare riconoscimento nella committenza, e purtroppo ancora oggi questo nostro impegno è scarsamente riconosciuto. Per questo il dialogo e la condivisione a monte e a valle del trasporto sono fondamentali.
Tra le criticità del settore, a proposito, vanno inclusi sia i controlli, perché – conclude Comelli – «sono troppo lenti ed effettuati con poco personale specializzato», sia la distribuzione delle competenze: se l’ATP fa capo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’HACCP (l’insieme di procedure mirate a garantire la salubrità degli alimenti) è in capo al ministero della Salute e spesso le due amministrazioni agiscono in modo autonomo. Così da accrescere, se possibile, la complessità del settore. Insomma, ci sono i trend mondiali, dai quali come Italia siamo condizionati, ma poi abbiamo limiti specifici nazionali, intrecciati come al solito a contorsioni burocrate.