Napoli come Genova? Nonostante le dimensioni ridotte rispetto allo scalo ligure (12 km di costa e tre terminal container per un traffico di 600 mila TEU nel 2023), i problemi delle attese per gli autotrasportatori sembrano gli stessi. Come a Genova, sono periodicamente ricorrenti e, come a Genova, i vettori li addebitano alla disorganizzazione del sistema.
«Il problema non è la normalizzazione degli spazi, bensì il modo in cui vengono gestite le richieste e soprattutto il flusso da parte dell’armamento»
Ciro Russo, segretario FAI di Napoli
Code di cento camion
A metà maggio per parecchie giornate si sono create code di oltre cento camion, rimasti bloccati per ore al terminal Conateco (Consorzio napoletano terminal container, controllato da MSC), quello che movimenta l’80% delle merci del porto. «I nostri autisti», lamenta Attilio Musella, segretario di CNA-Fita Campania, «sono costretti a fare orari stressanti e lunghissimi. I nostri camion fanno ore e ore di fila, sia per il ritiro che per la consegna del container. Si provoca un danno economico alle aziende perché le ore di attesa non vengono pagate, ma anche un danno sociale e ambientale considerando che ci sono centinaia di camion in fila in attesa di effettuare operazioni di carico e scarico».
E come a Genova, i trasportatori hanno scritto all’Autorità portuale, alla Capitaneria, alla Guardia di Finanza e alla stessa Conateco, evidenziando «le falle e la scarsa operatività», aggiunge Musella. Invano. E il 13 maggio è scattato un fermo dell’autotrasporto di container nel porto, per chiedere un intervento contro l’intasamento al carico dei veicoli pesanti, che ha portato a un incontro altrettanto infruttuoso.
In questo clima, la notizia della congestion fee applicata ai committenti dagli autotrasportatori genovesi è diventata un modello da imitare e il 15 giugno è scattata la procedura anche per iniziativa delle associazioni campane. Il risultato non si è fatto attendere. «Ora sono aperti due tavoli permanenti», spiega Ciro Russo segretario FAI di Napoli, «che hanno come attori tutta la filiera portuale: agenti marittimi, spedizionieri, Guardia di Finanza, Autorità portuale. E anche prefettura, che significa che la questione riguarda anche l’ordine pubblico».
Retroporto e digitalizzazione
Di fronte a questo vasta platea, secondo Assospena, associazione degli spedizionieri doganali, i terminalisti si sarebbero dichiarati pronti a realizzare un retroporto per destinare i contenitori export. Soprattutto il terminale Flavio Gioia, che sembra già operativo, anche se restano ancora da definire le regole per l’utilizzo degli spazi. «Ma il problema», obietta Russo, «non è la normalizzazione degli spazi, bensì il modo in cui vengono gestite le richieste e soprattutto il flusso da parte dell’armamento».
Per questo sono anche emerse proposte, riferisce sempre Assospena, «per migliorare la gestione dei tempi di apertura nave, booking e documenti, oltre a ottenere informazioni in tempo reale sui flussi di traffico in porto, consentendo di scegliere orari meno congestionati. Per quanto riguarda l’import, sarà necessario regolare il flusso dei grandi lotti, utilizzando anche orari notturni».
Insomma, anche a Napoli si guarda al Port community System. Anche Russo ritiene che con la tecnologia la situazione migliorerà. «Ma attenzione, la digitalizzazione serve solo per uscire dal porto, quando io già ho ritirato il container. Il paradosso è che io sono costretto a fare due file. Dopo tre-quattro ore, quando ho preso il container dal terminal automatico, devo uscire dal varco doganale e lì devo essere sottoposto a un altro controllo. Quindi non è che si migliora molto».