«Picchi di arrivi nave, schedule nave sistematicamente disattese, spicchi di contenitori ai piazzali, picchi di arrivi ai gates portuali, disfunzioni del sistema telematico nazionale con blocchi operativi». Le parole che descrivono la crisi della movimentazione dei container nel porto di Genova non sono di un autotrasportatore esasperato dalle attese, né di un giornalista alla ricerca di scoop. Le ha pronunciate Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, principale rappresentanza degli spedizionieri marittimi, per descrivere davanti all’Autorità di sistema, i problemi del principale porto container italiano, dove 4-5 ore di attesa ai varchi dei terminal più trafficati sono considerate – per così dire – la normalità dei picchi.
Saltano i secondi viaggi
«Per così dire», perché quantificare i ritardi è difficile. «Se facciamo la media del pollo, come fanno i terminal», precisa Giuseppe Tagnochetti, storico rappresentante di TrasportoUnito in Liguria, «i picchi di carico e scarico non si vedono perché vengono nascosti nei numeri generali che ovviamente registrano tempi più bassi quando i terminal sono vuoti. Ma le 4-5 ore di attesa sono quelle dei giorni di difficoltà e sono certificate. E durante la settimana di giornate così ce ne sono parecchie».
È da notare che le punte d’attesa ai terminal, di cui parlano i rappresentanti degli autotrasportatori, siano molte vicine a quelle censite all’inizio di quest’anno da Districò, portale di servizi di Federtrasporti, che ha calcolato l’arco d’impegno reale dei conducenti alla guida, fissando le attese in quattro ore esatte. Ma la questione non è che il conducente si annoia o che è costretto a girare i pollici, bensì che quelle troppe ore di attesa «normali» sono un fattore economico rilevante. «Il problema», spiega ancora Tagnochetti, «è che con 4-5 ore di attesa non posso andare in consegna e per ripartire devo aspettare la mattina dopo, quando però avrei altri viaggi. Fino a qualche anno fa si facevano due viaggi al giorno, con la congestione di questi giorni siamo arrivati a fare un viaggio ogni due giorni e le tariffe sono sempre le stesse».
Senza considerare che spesso gli autisti a causa delle attese sono costretti a sforare le ore di guida, oltre che diventare un rischio per la circolazione. «Dopo che l’autista ha fatto un viaggio a Roma o in Puglia», spiega Attilio Musella, segretario di CNA-Fita Campania, «arriva e deve stare 4 o 5 ore in fila per fare una semplice operazione di scarico o ritiro del contenitore: questo può diventare un pericolo per la viabilità stradale».
Porti tirrenici in crisi
Benvenuti nel mondo dei porti gateway, quelli che scaricano ai loro terminal i container provenienti da tutto il mondo e destinati all’Italia e al centro Europa. Nei nostri porti ogni anno ne sbarcano circa 7 milioni (non contando quelli che fanno transhipment, che proseguono via mare e spesso si conteggiano in entrata in altro porto) che all’85-88%, cioè intorno ai 6 milioni (stime Confetra) proseguono a bordo di tir.
Ciò che colpisce è la sproporzione tra traffico adriatico e tirrenico: il primo scarica meno di due milioni di TEU, il secondo quasi sei, concentrati nell’arco ligure fino a Livorno con 4,5 milioni di cassoni e per il resto quasi tutti tra Napoli e Salerno con un altro milione di pezzi. Non è un caso, allora, che i disagi si concentrino in queste due aree, che lì si segnalino i ritardi più gravi e il maggior danno per le imprese di autotrasporto. Non è un caso che ai primi di giugno, stanchi di doverci rimettere in proprio perdendo viaggi, gli autotrasportatori di Genova – subito imitati da quelli Napoli – abbiano applicato una tassa sul traffico, una congestion fee, tra i 120 e i 180 euro a container, aggiungendola alla fattura per i committenti, a risarcimento dei danni subiti.
La congestion fee
Scattata il 3 giugno a Genova e il 15 a Napoli, la tassa ha incontrato subito la decisa opposizione dei committenti, rappresentati da Fedespedi e Spediporto (in pratica le associazioni degli spedizionieri) che hanno chiesto la sospensione della misura (richiesta respinta dai trasportatori) e l’intervento dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale che ha aperto un tavolo di confronto (come pure a Napoli) per tentare di risolvere il problema. Ma Spediporto ha anche lanciato una ciambella agli autotrasportatori. Nell’incontro con l’Autorità , Botta ha riconosciuto la necessità di «cambiare i modelli operativi e la politica delle soste e detention per favorire un decongestionamento della situazione e una nuova impostazione delle politiche di ritiro e consegna dei contenitori» e chiedendo una «carta dei servizi», con «regole chiare e penalità per chi non le rispetta». Insomma, disponibili a discutere su come migliorare la situazione, ma niente sovrattassa. Con una stoccatina finale: il passo avanti «potrà avvenire se tutte le parti in causa si presenteranno con serietà e voglia di trovare soluzioni concrete, senza che si debba agitare lo spauracchio del congestion». Dove quel «tutti» chiama in causa gli altri due protagonisti del quadrato portuale: compagnie di navigazione e terminalisti.
Terminalisti sotto accusa
Soprattutto i terminalisti. Perché è su di loro che gli autotrasportatori puntano il dito. «Il disservizio è reale», denuncia Patrizio Loffarelli, responsabile portualità di Assotir, «e il trasporto continua a pagare l’inefficienza dei concessionari. Lo dico più chiaramente: sono i terminalisti che provocano le attese». Come? Organizzando le operazioni di carico e scarico esclusivamente in base alle loro esigenze, per esempio di turnazione del personale. «Chiaramente», osserva Loffarelli, «non pagando le soste hanno meno attenzione al piazzale e non offrono una programmazione adeguata: gli autotrasportatori hanno tre fasce standard di carico e scarico, ma non sono distribuite per tutti i quattro turni di lavoro, bensì sono la mattina presto, a ora di pranzo e in tarda serata. Ma se non c’è personale sufficiente succede come al supermercato, puoi anche avere cento casse, ma se tutti vanno a far spesa a mezzogiorno, l’intasamento è inevitabile».
Il problema è che i lati del quadrato portuale non sempre s’incontrano, dal momento che non c’è una relazione economica che li leghi tutti insieme: il committente ha rapporti commerciali con tutti gli altri, la compagnia di navigazione e il terminalista li hanno tra di loro e con il committente, ma non con il trasportatore che stabilisce relazioni soltanto con il committente. Dunque può chiedere i danni solo a lui, che però potrebbe rivalersi sul terminalista. «Ma non lo fa», scuote la testa Loffarelli, «perché non gli interessa».
Dal 2011 esiste, in realtà , una norma che prevede un indennizzo di 40 euro per ogni ora di attesa oltre le prime due, ma è poco applicata e soprattutto non è rivendicata in virtù del principio che l’autotrasportatore non fa causa al committente per timore di perdere il lavoro. Figuriamoci in una situazione con tanti interlocutori come quella dei gateway portuali.
Aspettando i PCS
Per questo, tutti guardano alle 16 Autorità di sistema che dovrebbero fissare le regole e farle rispettare. Ma le Autorità preferiscono mediare anziché imporre. «Ci vorrebbe una legge come in Spagna», protesta ancora Loffarelli, «e allora le Autorità portuali sarebbero costrette a prendere posizione, a organizzare». Ma è una strada che non sembra portare da nessuna parte. «Autotrasporto e committenza», ricorda Tagnochetti «hanno scritto almeno tre lettere agli ultimi tre ministri dei Trasporti, chiedendo un incontro in cui discutere la questione, allargandolo ad autorità portuali, terminalisti e chiunque il ministero volesse invitare, per discutere di questo problema. Non se ne è fatto nulla. Non resta che prendere la strada della mediazione, che è efficace dove i problemi sono semplici, non certo in quei porti tirrenici congestionati di container. Lì la questione s’ingarbuglia.
La speranza, allora, è in quei Port Community System che dovranno diventare la piattaforma comune della digitalizzazione del trasporto merci in tutti gli scali portuali italiani collegandosi con le Amministrazioni pubbliche coinvolte e con la Piattaforma logistica digitale nazionale, ma soprattutto con le imprese di trasporto e di logistica che con i porti lavorano. Finanziati con i fondi del PNRR, sono stati assegnati lo scorso novembre, con un «avviso pubblico» nella misura di un milione per ciascuna delle 16 Autorità portuali italiane, sono tutti pronti e attendono che si allineino interporti e imprese, per le quali è in preparazione un bando di cofinanziamento da 175 milioni.
Quando tutto sarà a regime, finalmente, si potranno evitare tanti passaggi burocratici ancora affidati alla documentazione cartacea, snellendo le operazioni e permettendo di organizzare meglio le operazioni di carico e scarico. Ma attenzione: «meglio» non è «ottimo». «Certamente con i PCS si farà un grande passo avanti. Funzioneranno meglio, per esempio, le prenotazioni degli slot», spiega Loffarelli. «Il camionista potrà trasmettere tempestivamente al terminalista l’orario d’arrivo previsto; ma se il terminalista a quell’ora è pieno e gli risponde che lo slot si aprirà il giorno dopo, il camionista l’attesa la farà a casa. Il che è più comodo: eviterà il congestionamento, ma l’attesa rimarrà la stessa. Il servizio, invece, deve essere ottimizzato, utilizzando la tecnologia per restringere i tempi, non soltanto per migliorare la circolazione».
Se ne sono resi conto anche gli spedizionieri. A fine giugno Botta ha scritto una lunga lettera di conciliazione agli autotrasportatori, dove si legge una frase assai significativa: «Abbiamo ben compreso che per rendere un porto efficiente non bastano solo poderosi investimenti in infrastrutture materiali (banchine, dighe, strade, ferrovie, ecc..) ma servono servizi, procedure, personale e infrastrutture tecnologiche in grado di sostenere logiche e volumi profondamente diversi da quelli di 20 anni fa. Altrimenti rischiamo seriamente di costruire cattedrali nel deserto».