Armando de Girolamo è già stato presidente Assoferr, l’associazione degli operatori ferroviari e intermodali costituita da imprese nazionali ed estere, che sviluppano un volume d’affari annuo di 3,5 miliardi di euro e un indotto diretto di oltre 5.000 dipendenti. Lo era stato dal 2008 al 2010, gli anni iniziali della crisi, ma anche l’ultimo periodo in cui, sia pure tra mille difficoltà il trasporto ferroviario delle merci oscillava tra i 70 e i 60 milioni di treni-km contro i 48 attuali. Un ritorno, il suo – confortato dall’unanimità del Consiglio direttivo – che cade in un altro momento particolare per il trasporto merci su ferro: da una parte i due anni di pandemia e l’esplosione del conflitto in Ucraina hanno segnato negativamente il ciclo economico generale e le sue prospettive; dall’altra, si registra una ripresa del combinato strada-rotaia dopo anni di stagnazione se non di rallentamento.
Quali sono le dimensioni di questa ripresa?
I dati di settore rilevano una crescita, in termini di treni-km, del 12% circa nel 2021 rispetto al 2020, l’8% circa rispetto al 2019, anno precedente la pandemia. Dal 2015 c’è stato l’avvio di una politica di rilancio del settore basata su una strategia chiara: investimenti infrastrutturali finalizzati nel medio lungo periodo al recupero di competitività della modalità ferroviaria, realizzazione dei grandi tunnel di base sulle direttrici alpine e programmi di ultimo miglio. Non solo, ma anche incentivi per avviare la ripresa del settore pure nel breve periodo: alle imprese ferroviarie (sconto traccia), al mercato (Ferrobonus), per la formazione del personale e l’ammodernamento dei carri. Sono quindi dimensioni importanti per le quali occorre considerare oltre alla dimensione, anche la durata nel tempo. Nel settore dei trasporti, e in quello ferroviario in particolare, che richiede investimenti a medio e lungo termine, è la durata unita alla dimensione l’elemento credibile per essere competitivi sul mercato e per consentire che alla rinnovata capacità produttiva dell’infrastruttura si accompagni la sostenibilità economica della scelta ferroviaria. In tal senso abbiamo sempre richiesto come Assoferr che le misure incentivanti, quali il Ferrobonus e lo sconto traccia, per avere un effetto compiuto devono essere strutturali, a lungo termine. Inoltre, è necessario investire nel consolidamento del sistema ferroviario più virtuoso, ecosostenibile rispetto ad altre modalità. Se davanti alle oggettive criticità e complessità che il sistema ferroviario porta con sé, si pensa che il mercato, così com’è impostato, decida tout-court di scegliere il treno anziché altre modalità (tutto strada e navale) è un’utopia, poiché alla fine la scelta del mercato è effettuata in base all’economicità del trasporto.
A cosa attribuisce l’aumento della domanda di trasporto merci su rotaia e come può influire sulle prospettive economiche del paese?
Da un lato, le trasformazioni del tessuto industriale e distributivo del nostro Paese, non ultimo la consapevolezza del mondo dell’autotrasporto di puntare sulla multimodalità in alternativa al tutto strada, dall’altro, gli enormi investimenti e adeguamenti da parte di RFI, consentono di offrire – e lo sarà ancor di più nei prossimi anni – capacità e servizi adeguati. Non dimenticando la difficoltà che il mondo dell’autotrasporto sta vivendo per la carenza di autisti a livello internazionale. Tutto iò deve portare a una visione nuova del sistema logistico italiano con più spazi per la sicurezza e la qualità di vita degli autisti (riduzione di lunghe percorrenze stradali), con altrettanti benefici per il pianeta e la collettività (minori emissioni di CO2, meno incidenti, minore usura del manto stradale). Oggi in Italia la quota di mercato del cargo ferroviario è del 13%, al di sotto della media europea (19-20%), assai inferiore al dato di Svizzera e Austria (intorno al 35%) e molto più bassa di quella degli Stati Uniti (46%). Il raggiungimento della soglia del 30% entro il 2030, come ci impone l’Unione europea, richiede gli investimenti che il governo, attraverso il gestore dell’Infrastruttura ferroviaria nazionale, sta mettendo in atto.
Nonostante la crescita del trasporto intermodale – o forse proprio per quella – le infrastrutture non sembrano in grado di sopportare l’aumento della domanda a causa di strozzature infrastrutturali e tecniche. Quanto tempo ci vorrà per rimuovere i principali ostacoli al pieno sviluppo del combinato?
Come detto, governo e RFI stanno compiendo sforzi molto importanti ma, in talune tratte, persistono oggettive difficoltà tecniche di adeguamento, che richiederanno ancora qualche anno. Contiamo e speriamo di avere quanto prima la nostra parte di rete TEN-T completamente operativa, a cui possano afferire linee secondarie. Alla stessa stregua ci aspettiamo sempre, laddove tecnicamente possibile, che tutti i terminal pubblici e privati possano essere adeguati per un efficiente scambio modale, cioè sia tramite il trasporto combinato che convenzionale. È necessario intervenire in tempi rapidi per far sì che i terminal di scambio modale esistenti possano dare il massimo della qualità e aumento della quantità del servizio prestato. Quest’azione non può essere limitata nei confronti di alcuni interventi legati a singole strategie, ma in una logica di sistema Italia complessivo.
Il governo punta, con il PNRR, a sostenere lo shift modale e puntare alla transizione ecologica, secondo il programma europeo Fit for 55. Ma sono sufficienti gli stanziamenti previsti? E dove dovrebbero essere indirizzati?
Lo sviluppo del trasporto merci intermodale su ferro è l’obiettivo fissato nell’art. 1 comma 392 della Legge 30 dicembre 2021, che ha recepito, in Italia, il cosiddetto «Pacchetto climatico Fit for 55». L’obiettivo di realizzare uno shift modale capace di far crescere la quota del trasporto ferroviario che sappia valorizzare’intermodalità e multimodalità è davvero sfidante e deve essere un obiettivo del sistema-Paese. Come al tempo stesso deve essere fondamentale la facilità di gestione di tali fondi. Purtroppo, assistiamo da anni all’inefficacia di tante misure, non solo sul ferroviario, a causa di un’eccessiva rigidità burocratica. Riteniamo che questi fondi debbano essere celermente messi a disposizione per il raggiungimento degli obiettivi fissati rispetto anche a una scelta chiara e inequivocabile che eviti di determinare le solite contraddizioni come la tela di Penelope, dove la mattina si agisce a favore dello sviluppo della modalità ferroviaria e la notte si interviene per sostenere le altre modalità. Le misure importanti sono quelle già indicate prima, ma non in maniera esaustiva. Quindi: cosiddetta norma merci, Ferrobonus, incentivi per la formazione, digitalizzazione, ricerca e innovazione, istituzione di sistemi premiali per lo spostamento di traffico dalla strada alla rotaia e – last but not least – gli adeguamenti infrastrutturali e tecnologici di rete, raccordi e terminal. L’ultimo miglio ferroviario, infatti, rappresenta spesso una quota che oscilla tra il 20 e il 30% del costo complessivo. Da solo è in grado di liberare risorse (tempi e costi) a beneficio della performance complessiva del settore ferroviario.
Nella sua dichiarazione d’esordio lei ha dato rilievo alla digitalizzazione del sistema. Per quale motivo ritiene che possa costituire un elemento di spinta nella crescita del trasporto merci su rotaia? Non sono prioritari gli interventi infrastrutturali sia rete e terminal?
Gli investimenti infrastrutturali sono avviati da tempo e sono quindi da monitorarne l’attuazione ed eventuali correttivi se necessari. Molto resta invece da innovare sul materiale rotabile merci che, in combinazione con la digitalizzazione, ritengo sia la sfida più grande. Si sta per esempio lavorando sulla progettualità del DAC (Digital Automatic Coupling) che è in fase di standardizzazione e test di esercizio. Processi quali quelli di digitalizzazione sono sempre lunghi e difficili in quanto spesso rappresentano vere e proprie rivoluzioni settoriali. Di fatto non si tratta di rendere i carri solo automaticamente accoppiabili tra loro ma di dotarli, tramite l’elettrificazione, della possibilità di integrare la sensoristica già oggi presente in molti casi e di fornire informazioni e dati utili alla gestione del treno in tutte le sue fasi di gestione. Si pensi anche ai potenziali servizi che potrebbero essere sviluppati tramite l’interfacciamento con portali di rilevamento e comunicazione dati all’interno di terminal e industrie. Non tutto forse riusciamo oggi a immaginare. Le potenzialità delle innovazioni sono infinite. La tecnologia, il mercato, la realizzabilità e molti altri fattori e variabili saranno gli elementi discriminatori che ci diranno realmente cosa si potrà fare o non fare o cosa sarà conveniente fare e non fare.