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Il TAR di Lecce «affonda» il rilancio del porto di Taranto

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Nel mese di luglio dovevano partire i lavori per aumentare l’altezza dei fondali. I “famosi” dragaggi utili a portare a 16,5 metri la profondità degli attracchi e quindi il transito delle grandi navi portacontainer. Dovevano partire, ma almeno per ora non partiranno. È la conseguenza di un’ordinanza del TAR di Lecce che ha accolto il ricorso presentato dal Consorzio Terminal Rinfuse contro il mancato rinnovo della concessione da parte dell’Autorità portuale, relativo a un’area di 46.695 metri del molo polisettoriale e che di fatto sospende un intero pacchetto provvedimenti. Perché, oltre agli atti dell’Authority che non hanno rinnovato la concessione, c’è anche il decreto con cui il Consiglio dei ministri aveva nominato quale commissario straordinario per l’esecuzione delle opere Sergio Prete, già commissario dell’Authority. Ma a essere bloccato a questo punto è – come riferisce la stessa Authority – «l’intero accordo generale per lo sviluppo dei traffici containerizzati» e quindi come detto la realizzazione delle relative opere. In tutto si parla di investimenti di circa 200 milioni, che costituivano il presupposto del rilancio e della riconversione del porto di Taranto ad attività diverse rispetto alla siderurgia e che soprattutto avevano convinto anche la Evergreen a riconsiderare i suoi intenti di abbandonare lo scalo pugliese, il porto di Rotterdam a stringere accordi proprio con Taranto, il TCT (Taranto Container Terminal), società partecipata in maggioranza da Hutchinson, a trasformare la mobilità dei dipendenti in Cassa Integrazione. 

Insomma, tutti segnali di risveglio che adesso rischia di riportare indietro le lancette della storia.

Alle origini di un conflitto
Indietro, in particolare, al conflitto ultradecennale che sul porto si è sempre consumato tra terminal rinfuse e sviluppo di altri traffici a partire dal lontano 1998, quando cioè venne concesso al Consorzio Terminal Rinfuse Taranto spa di occupare una vasta area del porto per stoccare merce. Contrasto proseguito quando nel 2005 il ministro delle Infrastrutture Lunardi nominò quale presidente dell’Autorità portuale Antonio Caramia, che era a capo del consorzio del Terminal Rinfuse. Contrasto reiterato quando il TAR bloccò la nomina e l’anno dopo si arrivò al sequestro giudiziario dell’area in concessione. 
Una situazione difficile che Sergio Prete, consapevole del fatto che le rinfuse in questione (polveri di carbone) mal si conciliano con altri traffici, aveva cercato di risolvere spostando il Terminal Rinfuse in un’altra area, anche perché quella occupata attualmente sarebbe stata interessata dai lavori e quindi avrebbe reso inagibile per qualche tempo la banchina. 
Ma evidentemente questo progetto che si era concretizzato con la revoca a febbraio della concessione, non è piaciuto al Consorzio delle Rinfuse che ha presentato ricorso con tutto ciò che ne è seguito. 
I giudici amministrativi di Lecce hanno motivato la loro decisione facendo riferimento al fatto che il Consorzio utilizzava l’area dal 1998 e che il provvedimento che revocava la concessione «non esprime i motivi di pubblico interesse che hanno indotto l’amministrazione a cambiare» le cose e a dividere l’area in modo diverso. Prete ha commentato laconicamente che «se non c’è un pubblico interesse che riguarda lo sviluppo, perché, allora, gli investimenti nel porto sono anche richiamati dalla legge 171 dell’ottobre scorso sulla bonifica e il rilancio dell’area di Taranto?». 
I commenti
Quasi tutti i commenti sono a metà tra lo sbigottimento e l’indignazione. Giancarlo Russo, della Terminal Container Taranto, si limita a dire: «Semplicemente vergognoso». 
  Franco Castellano della Uil Trasporti fa un’analisi più articolata, ma soprattutto sottolinea come non sia possibile che l’unica via per lo sviluppo per questa città venga bloccata dal Tar di Lecce. «A mio avviso non ha ben valutato la situazione. Siamo in presenza di un Sito di interesse nazionale bloccato per l’interesse di un privato». 
Luigi D’Isabella, segretario della Cgil di Taranto, si dice preoccupato invece delle lungaggini che adesso si determineranno: «È una fase in cui occorrono certezza e celerità nella realizzazione dei programmi di investimento per centinaia di milioni. I nostri competitor internazionali non aspettano. Queste lungaggini comportano gravi danni per gli investimenti e per l’occupazione. La farraginosità dei procedimenti giudiziari sono i maggiori ostacoli per gli investimenti di operatori italiani ed esteri».
Ricordiamo che dalla sospensiva del Tar di Lecce non vengono investite le opere legata alla Piastra Logistica, altro grande progetto su cui si sta lavorando sul porto di Taranto per il quale sono stati stanziati 219 milioni di euro.
Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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