Una signora russa si vede il furgone sequestrato dalla polizia. All’interno ci sono diverse migliaia di bottiglie vuote utilizzate per un’attività di riciclo. Dopo qualche tempo il furgone viene restituito al legittimo proprietario, ma nel vano di carico non c’è più nulla. A quel punto Yelena Dzugayeva – così si chiama la titolare dell’impresa – ricorre dopo altri gradi alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, con una sentenza depositata lo scorso 12 febbraio, le dà ragione.
La polizia, da parte sua, ha provato a giustificarsi adducendo la motivazione che il carico non fosse determinabile. Ma per i giudici di Strasburgo non è stato sufficiente, perché in ogni caso anche se il numero di bottiglie non era preciso, ciò non esclude l’obbligo dello Stato di tutelare la proprietà dei cittadini. In pratica, secondo la Corte, nel momento in cui le autorità hanno sequestrato i beni, hanno anche assunto un obbligo di gestirli diligentemente. Da qui la condanna a un risarcimento di 3.000 euro.
Da notare che la questione in termini di principio può avere incidenza anche nel nostro ordinamento. La Cassazione, infatti, ha più volte escluso in relazione ai beni dati in custodia dallo Stato a un terzo la sussistenza di una responsabilità per mancato adempimento dell’obbligazione accessoria di custodire.