Il nome «Tesla» attira attenzione. Prova ne sia che in questi giorni prima Il Sole 24 Ore e poi tanti organi di informazione hanno pubblicato notizie su un possibile interessamento della società di Elon Mask a produrre nel nostro paese. Le cose curiose sono diverse. Innanzi tutto, la novità sarebbe relativa all’oggetto della produzione, concentrato non tanto sulle vetture ma sui camion (o anche furgoni). L’altro motivo di curiosità è che a sollecitare Tesla sarebbe direttamente il governo – per la precisione il ministro dell’Industria Adolfo Urso – interessato a stabilire contatti con diverse realtà del mondo automotive nel tentativo di innalzare il quantitativo della produzione di veicoli nel nostro paese.
La trattativa con Chery è quella più avanzata
Oltre a Tesla, infatti, con cui peraltro i colloqui sarebbero iniziati già nella scorsa estate, ci sarebbero dialoghi in corso anche con Chery. Anzi, Reuters definisce questa trattativa come quella più avanzata, anche in virtù del fatto che è già presente indirettamente tramite DR Automobiles, l’azienda molisana che lo scorso anno ha sfiorato il 3% di penetrazione sul mercato. In più, siccome sta sbarcando sul mercato italiano con il Suv Omoda 5 (atteso nel secondo trimestre) e con lo Sport utility Jaecoo 7 (in arrivo a luglio), in molti sostengono che, avendo mire di arrivare a 10 mila veicoli immatricolati già nel 2024 per poi salire nel corso degli anni, Chery potrebbe avere interesse a produrre in Italia (o comunque in Europa) per aggirare possibili dazi europei. Il Sole 24 Ore riferisce addirittura di diversi sopralluoghi avvenuti nel corso dell’ultimo mese presso «ex aree industriali del Sud proposte da funzionari del Mimit come possibili localizzazioni».
Per Byd un possibile diversivo all’Ungheria
Altre fonti, invece, aggiungono a questi nomi quelli di Byd e di Great Wall Motors, due noti marchi cinesi. Il primo, in particolare, diventato famoso per aver superato Tesla come numero di veicoli elettrici prodotti, aveva manifestato la volontà di insediare uno stabilimento produttivo in Europa, per la precisione nel sud dell’Ungheria. Quindi, anche qui il successo commerciale potrebbe concretizzare i propositi di localizzare in Italia un sito di produzione.
Obiettivo produttivo: un milione di vetture e 300 mila furgoni
Dietro a tutti questi movimenti c’è l’obiettivo dichiarato del governo di portare la produzione di veicoli a 1,3 milioni (un milione di vetture e 300 mila furgoni) in modo da riuscire a tutelare l’industria automobilistica nazionale di fronte alle prove richieste dalla transizione e a fornire possibile ossigeno alle nostre realtà di componentistica. E quindi indirettamente anche di puntellare il Pil che, mettendo insieme all’auto anche la componentistica e gli allestitori (un mondo di 5.135 imprese con 268 mila occupati diretti e non), trae dall’automotive il 5,2% del suo valore.
D’altra parte, secondo le stime di Federmeccanica e dei sindacati dei metalmeccanici, in Italia il processo evolutivo in corso rischia di cancellare 73 mila posti di lavoro entro il 2035 e di questi 63 mila già entro il 2030.
Ma 1,3 milioni di pezzi in un anno sono comunque tanti. Ed ecco perché il governo sta cercando non soltanto di attirare nuovi produttori, ma anche di far crescere Stellantis, quello che al momento attuale fa praticamente la parte del leone in termini produttivi. Per la precisione lo sforzo richiesto al gruppo guidato da Carlos Tavares è di arrivare al milione di veicoli entro la fine del decennio. In questo modo, quindi, l’impegno produttivo da strappare ad altri costruttori si dovrebbe orientare sui 300 mila pezzi.
Ma quali sono al momento attuali le produzioni automotive insediate in Italia? Come siamo messi in confronto ad altri paesi europei?
Stellantis arriva da sola a 750 mila unità
Oggi, vale a dire nel 2023, in Italia Stellantis produce all’incirca 520.000 autovetture e 230.000 furgoni. Quindi complessivamente 750 mila unità. A questo dato si può anche aggiungere una percentuale interessante, quella che quantifica in un rotondo 63% la quota di questi veicoli che, una volta prodotti, prende la strada dell’estero. Vale a dire, vengono esportati e quindi costituiscono una voce di rilievo per la nostra bilancia commerciale.
Italia: nell’automotive molto dietro a Romania, Slovacchia e Cekia
I dati che solleticano l’impegno italiano provengono semmai dal confronto con altri paesi europei. Perché se si restringe il quadro alla sola produzione di vetture – lo stabilimento di Atessa, in Abruzzo, è infatti il maggior sito produttivo di van a livello europeo e di fatto produce da solo il triplo di quanto non faccia l’intera Germania – ci si accorge che il mezzo milione realizzato nella nostra penisola sono meno della metà della produzione di Slovacchia e Repubblica Ceca, che raggiungono rispettivamente un milione e 1,21 milioni di veicoli, e qualcosa meno di quelli che riesce a produrre la Romania. Per non parlare della Spagna che veleggia verso l’1,8 milioni di unità. Con la differenza che in Italia si sfiora il mezzo milione di vetture con nove stabilimenti produttivi, mentre in Romania si supera questa soglia con due siti e in Slovacchia e Repubblica Ceca ne hanno quattro a testa. Quindi, con economie di scala decisamente maggiori.
Ricordiamoci dei 100 mila veicoli Iveco
Un’altra cosa che salta agli occhi in questi dibattiti numerici è che quasi sempre ci si dimentica della regina della borsa italiana degli ultimi due mesi (+70% da inizio anno), vale a dire Iveco. Perché, soltanto calcolando i van e i camion medi – vale a dire i Daily che vedono la luce a Suzzara (Mantova) e gli Eurocargo che nascono a Brescia – si arriva a circa 100 mila unità. Per la precisione poco meno di 85 mila van e 15 mila medi che quindi andrebbero sommati ai volumi produttivi nazionali.
Infine, a chiudere il cerchio di potrebbero aggiungere anche due marchi emiliani come la Lamborghini e la Pagani – prodotte tra la provincia di Bologna e quella di Modena – che non producono molti pezzi, ma fatturato ed esportano molto. Lamborghini, per esempio, lo scorso anno ha fatturato dalla vendita di circa 10 mila vetture qualcosa come 2,66 miliardi di euro, mentre Pagani si ferma a circa 139 milioni di fatturato generati soltanto da una quarantina di veicoli. Altro che cinesi!