Si prospetta un secondo, doloroso commissariamento per Acciaierie d’Italia, (l’ex Ilva di Taranto), il gruppo controllato dalla multinazionale ArcelorMittal, che sta cercando di rilanciare – con scarso successo – la più grande fabbrica siderurgica d’Europa. Il polo è da mesi in uno stato di confusione totale, con la produzione a singhiozzo e i pagamenti alle imprese (tra cui gran parte di trasporto) insoluti o rimandati a 6/8 mesi.
Invitalia chiede il commissariamento
Ieri Invitalia, il socio pubblico di AdI con il 38% del capitale, ha chiesto formalmente al ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) di mettere in amministrazione straordinaria la società. In una nota stampa Invitalia spiega di aver tentato «negli ultimi mesi, e da ultimo in queste settimane, ogni tentativo possibile di accordo con il socio privato», ma che quest’ultimo non ha dato disponibilità «a contribuire a garantire la continuità aziendale o a sciogliere la joint venture in modo equilibrato e conforme alle normative vigenti». In questo senso la società ha sottolineato che lo stato di crisi non dipende «dalla volontà né da responsabilità gestionali della parte pubblica» e ha quindi chiesto al Mimit un’istanza «delle conseguenti valutazioni tecniche e amministrative per la procedura di amministrazione straordinaria di Adi spa». Ricordiamo che ArcelorMittal possiede la maggioranza delle azioni del polo siderurgico.
Controproposta di ArcelorMittal: un concordato con riserva
Il gruppo franco-indiano ha risposto dichiarandosi «sorpreso e deluso» dalla richiesta di Invitalia, accusando il socio pubblico di «non aver condiviso questa intenzione nel consiglio di amministrazione di AdI Holding» e di non aver informato successivamente né AdI né ArcelorMittal, «con una grave violazione dell’accordo di investimento».
L’AD di Acciaierie, Lucia Morselli, ha poi rivelato di aver presentato nei giorni scorsi al Tribunale di Milano una proposta di concordato con riserva, lo strumento che un’impresa insolvente può stipulare con i propri creditori per cercare una soluzione equa e vantaggiosa per entrambe le parti coinvolte, consentendo all’azienda di negoziare e raggiungere un accordo con essi e stabilendo nuove condizioni di pagamento o una ristrutturazione del debito. Si tratta tuttavia di un concordato in bianco, perché non contiene un piano specifico da parte dell’azienda. Fra 60-120 giorni verrà presentata ai giudici l’istanza vera e propria di concordato preventivo
Che cosa può succedere
Al di là dell’ipotesi di accordo, la palla passa ora al governo e in particolare al ministro Adolfo Urso, che dovrà verificare che ci siano i presupposti del commissariamento. In caso affermativo, sarà poi compito del Tribunale di Milano in seduta collegiale accertare lo stato di insolvenza della società. Se ciò avvenisse AdI spa, ovvero la società che ha in affitto gli stabilimenti dell’ex-Ilva già in amministrazione straordinaria dal 2015, sarà affidata a uno o più commissari nominati dal Mimit che dovranno stabilire se procedere con il funzionamento dell’azienda oppure liquidare le attività per far fronte alle passività. Citando il precedente degli accordi sul sito industriale di Piombino, Urso ha comunque affermato che «ci sono molteplici interessi di più imprese multinazionali a investire sulla siderurgia in Italia».
Quanto alla mossa del concordato, pare che i commissari dell’Ilva avessero dichiarato ai giudici milanesi che non fosse possibile dissequestrare gli impianti alla scadenza contrattuale del 31 maggio. L’acquisto degli impianti era peraltro soggetto al completamento del piano di ambientalizzazione, effettivamente concluso nell’agosto 2023, ed era stato facilitato da un decreto del governo della scorsa estate che consentiva l’acquisto anche senza il consenso della magistratura, a patto di vincolare i soldi per eventuali richieste danni. A questo punto, secondo AdI, non si porrebbe più un tema di continuità aziendale ma sarebbe venuto meno l’oggetto sociale, quello per cui ArcelorMittal entrò in azienda dopo aver vinto la gara nell’autunno 2018.
Paolo Morea (CAN): «Il commissariamento era nell’aria da tempo»
Sulla vicenda abbiamo sentito il parere di Paolo Morea, direttore della CAN Cooperativa Autotrasporti Noci (Bari), che in passato aveva lavorato per lo stabilimento siderurgico tarantino.
«Dopo il primo commissariamento non abbiamo più avuto contatti di lavoro con l’ex Ilva – ci ha raccontato Morea – Vantiamo un credito di circa 350 mila euro, siamo in attesa di vedere che fine faranno, ma nel frattempo sono due anni che non lavoriamo più per loro. Il motivo è semplice: non abbiamo ritenuto alla ripresa delle attività che ci fossero le necessarie garanzie, sia in termini di pagamento che di solidità aziendale. Purtroppo, i fatti ci stanno dando ragione».
«Quando il gruppo franco-indiano si è fatto avanti – ha svelato il direttore della CAN – abbiamo tentato di mettere insieme i fornitori storici in modo da formare un unico interlocutore. Con un consorzio di secondo grado avremmo avuto una forza contrattuale ben diversa. Invece ognuna delle aziende di trasporto ha voluto seguire una strada diversa, registrandosi singolarmente sulla piattaforma creata da ArcelorMittal, con contratti differenti e facendo un’offerta separata. Una soluzione che, in termini di listini e tariffe, non prometteva nulla di buono. La politica di Arcelor era chiaramente quella di dividere il mondo dell’autotrasporto ed è riuscita perfettamente».
«Nel tempo – continua il direttore – la situazione è andata peggiorando, con molti vettori del Tarantino, ma anche del Napoletano, che hanno continuato a lavorare con cifre importanti, anche perché AdI era il loro unico cliente, ma con condizioni di pagamento anche a 8 mesi. In più i nuovi proprietari hanno allargato l’accesso dello stabilimento ad altri fornitori italiani ed esteri, complicando ulteriormente il tutto. A noi dispiace soprattutto per i piccoli trasportatori, i primi che ci stanno rimettendo pesantemente».
«È una situazione che si trascina da almeno un anno – spiega ancora Morea – Ora con un nuovo commissariamento i crediti dei trasportatori verrebbero nuovamente congelati e i padroncini rischiano il fallimento e la chiusura, anche se il governo ha promesso che le imprese dell’indotto – comprese quelle di trasporto merci – verranno comunque tutelate. Per quello che mi arriva all’orecchio so che qualche pagamento arretrato è stato fatto, ma si parla solo di 3-4 mesi, una goccia nell’oceano. Ritengo quindi che il commissariamento sarà inevitabile».
Ma Moody’s alza il rating da “stabile” a “positivo”
In un quadro così sfavorevole suscita perplessità la scelta di Moody’s di migliorare l’outlook di ArcelorMittal da “stabile” a “positivo”, confermando il rating a lungo termine a Baa3. La decisione, dicono alla società statunitense che valuta qualità e indice di affidabilità dei titoli, «riflette principalmente i progressi che ArcelorMittal sta facendo nel rafforzamento del proprio profilo di business e nel miglioramento strutturale della propria redditività, pur mantenendo un flusso di cassa positivo e una disciplina nell’allocazione del capitale».