Il sistema era semplice ma ben collaudato: gli imprenditori di alcune società, con sede nel perugino, acquisivano le commesse di logistica e movimentazione merci. Successivamente, appaltavano i servizi a un consorzio senza dipendenti, il quale subappaltava ad altre società i servizi che gli erano stati assegnati. Ma in realtà questi contratti mascheravano vere e proprie somministrazioni di manodopera illegali o rapporti di lavoro dipendente tra i lavoratori e i committenti umbri, destinatari finali delle prestazioni di servizio ed effettivi beneficiari del sistema, potendo avvalersi di manodopera a basso costo e di flessibilità del lavoro. L’utilizzo di contratti di appalto illegali, tra l’altro, consentiva la detrazione dell’Iva sull’intero importo fatturato (che diversamente, ossia in caso di somministrazione o di rapporto di lavoro subordinato, non gli sarebbe spettato).
Si trattava, insomma, di vere e proprie società cartiere «apri e chiudi», utilizzate come «serbatoi» di manodopera e costituite al solo fine di contabilizzare acquisti inesistenti per decine di milioni di euro e maturare fittizi crediti iva, utilizzati, poi per il pagamento degli oneri contributivi dei dipendenti.
Ma adesso la Guardia di Finanza di Perugia, al termine di lunghe indagini coordinate dalla procura perugina, ha alzato il velo sulla vicenda denunciando 6 persone per frode fiscale e sequestrando beni mobili e immobili, riconducibili direttamente ai soggetti e alle società interessate, per un importo complessivo di 3,3 milioni di euro pari all’illecito profitto derivante dalla frode perpetrata negli anni dal 2017 al 2019.
Alle persone coinvolte sono stati contestati, a vario titolo, i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture e documenti per operazioni inesistenti, indebita compensazione.