Non sono più i depositi di sabbia a imprigionare l’Ever Given nel Canale di Suez, ma un ostacolo che si presenta molto più arduo da superare: i tribunali egiziani. La Corte di Ismailia ha infatti respinto il ricorso presentato il 4 maggio dall’armatore giapponese Shoei Kisen contro il provvedimento di sequestro della nave emesso dall’Autorità del Canale di Suez (SCA). Dopo la sentenza Osama Rabie, presidente e amministratore delegato di SCA, ha comunicato che l’Ever Given potrà essere rilasciata se la compagnia proprietaria della nave portacontainer pagherà un deposito di 200 milioni di dollari (circa 164 milioni di euro) come prima parte di una richiesta totale di risarcimento di 550 milioni di dollari (450 milioni di euro). Una cifra inferiore a quella inizialmente proposta di 916 milioni di dollari, poi ulteriormente ridotta a 600 dopo un’attenta valutazione del valore del carico.
L’Ever Given, che arenandosi aveva bloccato con i suoi 400 m di lunghezza il Canale lo scorso marzo ed era stata poi sottoposta a sequestro una volta disincagliata, è oggi ancora confinata dall’Autorità nell’area dei Laghi Amari.
SCA afferma che la richiesta di risarcimento contro l’armatore orientale servirà a recuperare i costi di salvataggio della nave – inclusi i bonus per gli escavatori, anche internazionali, e le squadre di dragaggio – riparare le sponde danneggiate del Canale e coprire la “perdita di reputazione” che la vicenda ha causato al gestore del Canale.
Da aprile si è scatenata una battaglia legale senza esclusione di colpi. Shoei Kisen ha contestato in tribunale il provvedimento di sequestro, dando la colpa dell’incidente all’Autorità stessa che, a suo dire, avrebbe dovuto impedire alla nave di entrare nello Stretto a causa del maltempo. Una volta all’interno del Canale, come è noto, un’improvvisa raffica di vento forte aveva costretto la portacontainer fuori rotta, provocando l’incagliamento e bloccando il canale per sei giorni. I rappresentanti legali dell’armatore hanno inoltre sostenuto che l’operazione di liberazione della nave non era una missione di salvataggio in senso stretto, almeno ai termini di legge, e quindi non poteva comportare una richiesta di risarcimento.
L’appello di sblocco dell’armatore orientale è stato respinto dalla Corte di Ismailia perché questa si è dichiarata non competente a decidere sulla questione, rimandandola a un altro tribunale di primo grado che si riunirà il prossimo 29 maggio. Il nuovo accordo proposto da SCA, se accettato, permetterebbe all’Ever Given di navigare oltre il Canale dopo due mesi di fermo, insieme al suo carico e all’equipaggio di 20 marinai di nazionalità indiana (tutti in salute e non in stato di arresto).
Non è comunque semplice capire chi abbia ragione. A bordo della nave erano presenti piloti e aiutanti locali, ma con parere discordi sulla navigazione (ed in ogni caso la responsabilità ultima spetterebbe al comandante). Inoltre la tempesta di sabbia era abbastanza imprevedibile e l’imbarcazione avrebbe dovuto – secondo la compagnia – essere accompagnata da almeno due rimorchiatori di dimensioni adeguate, ma le condizioni meteo andavano sicuramente valutate con più attenzione. Un vero e proprio guazzabuglio legale.
Nel frattempo, sono iniziati i lavori di dragaggio per estendere le sezioni del Canale di Suez, un progetto ordinato dal presidente egiziano El Sisi che allungherà un canale secondario di 10 km e allargherà e approfondirà uno specchio d’acqua di 30 km nel settore meridionale, dove si è appunto arenata l’Ever Given. Secondo SCA quest’escavazione ridurrà il tempo di transito per le navi, incrementerà l’efficienza della rotta commerciale e aumenterà il fattore di sicurezza della navigazione nella zona sud.