Le differenze di costo del lavoro sono un problema? Sicuramente. Ma non disperate, perché lentamente si andranno sempre più a ridurre. Lo dicono i dati Eurostat diffusi in questi giorni, da cui emerge una classifica del costo del lavoro (esclusa agricoltura e pubblico impiego) già conosciuta, anche se per certi versi con qualche ombra di novità. Le cose – per così dire – scontate riguardano le notevoli differenze esistenti con i paesi che occupano posizioni di retroguardia. Tra il costo del lavoro più basso e quello più alto registrato nel 2015 c’è infatti una differenza di oltre 37 euro all’ora, quella esistente tra i 4,10 euro della Bulgaria e i 41,30 della Danimarca, a fronte di una media dell’area euro di 29,50 euro. E siccome si tratta di una media di diversi settori, tenete presente che il costo rilevato nell’industria è più alto di un euro rispetto a quello dei servizi, trasporti compresi.
Attenzione: l’Italia è ovviamente distante dai livelli più bassi, ma ormai comincia a distanziarsi anche da quelli più alti. Prova ne sia che il costo orario del lavoro da noi è superiore alla media euro, pari a 28,10 euro/h. In pratica meno che dai noi il lavoro costa in Bulgaria (4,10 euro), Romania (5 euro), Lituania (6,80 euro), Lettonia (7,10 euro) e Ungheria (7,50 euro), vale a dire i paesi con il più basso costo del lavoro. Ma anche in Polonia, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Malta, Portogallo, Grecia, Cipro, Slovenia, Spagna e Regno Unito.
In compenso costa di più non soltanto nella già citata Danimarca, in Belgio (39,10 euro), in Svezia (37,40 euro), in Lussemburgo (36,20 euro) e in Francia (35,10 euro), vale a dire i paesi più cari. Ma anche rispetto a Olanda, Finlandia, Austria, Germania e Irlanda.
Il costo del lavoro è costituito dalle voci “salari e stipendi” e “costi non salariali”, come i contributi sociali dei datori di lavoro. La quota dei costi non salariali in tutta l’economia è stata del 24,0% nell’UE e 26,0% nella zona euro, con un range che va dal 6,6% di Malta al 33,2% in Francia.
La parte però più interessante delle registrazioni dell’istituto europeo riguardano le differenze rispetto al 2014. Perché la media generale di incremento nell’Eurozona è dell’1,5% e nell’intera Unione europea del 2%, in Italia invece si è registrata una flessione dello 0,5%. Maggiore di così l’ha avuta soltanto Cipro con un -1,0%.
La cosa interessante è che i maggiori aumenti, neanche a dirlo, si registrano dove il costo è minore. Così per esempio in vetta alla classifica degli incrementi compaiono Romania (+ 8,3%), Lettonia (+ 7,3%), Bulgaria (+ 7,0%), Lituania (+ 5,6%) ed Estonia (+ 5,3%).
Vogliamo trarre delle conclusioni: se nel 2014 le differenze di costo orario tra noi e i paesi più “convenienti” dell’Unione europea era decisamente marcate, adesso lo rimangano, anche se un po’ meno. E con questo andazzo, magari tra qualche anno…