La Corte di Giustizia Europea può far male. No, non parliamo della sentenza sui costi minimi attesa da tempo (con le dita incrociate). Ma di una pronuncia dello stesso tribunale europeo (con sede a Lussemburgo) emessa lo scorso 27 febbraio con cui è stata dichiarata contraria al diritto comunitario un’imposta sui carburanti voluta dal governo spagnolo a partire dal 2002 per finanziare spese in materia sanitaria e ambientale. La motivazione della Corte non è molto importante: l’imposta – ha chiarito – non è finalizzata a raggiungere uno specifico obiettivo, ma un mero scopo di bilancio generale, raggiungibile anche tramite il gettito di qualsiasi altra imposta. Molto più importante è sapere che attraverso questa imposta tra il 2002 e il 2011 lo Stato e 13 regioni spagnole hanno incassato la bellezza di 13.000 milioni di euro, in quanto nel corso degli anni ha incrementato ogni litro di carburante da un minimo di 1,2 centesimi a un massimo di 4,8 centesimi.
Tutti soldi che adesso la sentenza potrebbe costringere a far restituire a quelle migliaia di interessati – comprese quindi le aziende di autotrasporto straniere – che avendo acquistato carburante e avendo così pagato un’imposta illegittima, adesso hanno diritto a essere risarciti.
Peraltro a chiedere l’intervento della Corte di Giustizia europea era stata nel 2012 l’Alta Corte di Giustizia della Catalogna che, valutando a una causa intentata proprio da un’azienda di autotrasporto, la Transportes Jordi Besora, per chiedere al governo della Catalogna e il Tribunale amministrativo economica regionale della Catalogna la restituzione di 45.632 euro versati a titolo di imposta tra il 2005 e il 2008, aveva avuto il sospetto che la stessa imposta non fosse compatibile con la direttiva sulle accise comunitaria.
Ovviamente in Spagna la sentenza ha suscitato particolare clamore, anche perché è evidente che rischia di mettere in difficoltà le già precarie casse dello Stato. Tant’è che la difesa del governo si era mossa proprio nel senso di dimostrare che dietro la decisione di istituire l’imposta sui carburanti ci fosse buona fede, oltre che la volontà di mettere in equilibrio il bilancio del paese.
Una tesi però a cui la Corte di Giustizia non ha creduto, perché la buona fede si scontra sia con un’informativa inviata nel 2001 dalla Commissione UE alle autorità spagnole per informarle della contrarietà dell’imposta al diritto comunitario, sia con la proceduta di infrazione ufficiale aperto nel 2003.