L’azione diretta, quella prevista dall’art. 7-ter del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 per consentire a un subvettore non pagato di risalire la filiera del trasporto per chiedere il corrispettivo direttamente al committente (o più in generale a tutti coloro che hanno ordinato il trasporto), è legittima e può rimanere in vita. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale chiamata a decidere, con sentenza 29 ottobre 2019, n. 226, sui ricorsi di incostituzionalità presentati dal giudice di pace di Nocera Inferiore e dal Tribunale di Pesaro. I ricorsi, in realtà, non erano legati alla natura stessa dell’azione – anche se poi nel corso del procedimento sono state espresse anche opinioni al riguardo – quanto alla modalità con cui la disposizione venne introdotta nell’ordinamento, vale a dire in sede di conversione di un decreto legge che aveva contenuti diversi, quali quelli relativi alla crisi della società di navigazione Tirrenia da affrontare in maniera urgente per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo. Una difformità tale da suscitare dubbi nei giudici ricorrenti che l’articolo 7-ter potesse essere in contrasto con l’art. 77 secondo comma della Costituzione, in cui si concede al governo, in casi straordinari di necessità e di urgenza, di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge per poi presentarli il giorno stesso alle Camere per la conversione.
Detto altrimenti, le leggi in Italia le approva il Parlamento. Il governo ha la possibilità di adottarle, sotto forma di decreto legge, ma soltanto a due condizioni: che esistano ragioni di urgenza e necessità; che rimetta poi il decreto al Parlamento affinché lo converta, con una propria legge, entro sessanta giorni.
La Corte, come detto, ha ritenuto la questione non fondata, spiegando che se è vero che la legge di conversione è «funzionalizzata e specializzata» e quindi «non può aprirsi a oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nell’atto con forza di legge», è anche vero che il contenuto difforme aggiunto in sede di conversione finisce per violare le norme costituzionali soltanto quando tali disposizioni «siano totalmente “estranee” o addirittura “intruse”, cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione». E su questa base ha ritenuto che nel caso in questione non ci fossero «elementi sufficienti per sostenere la palese estraneità, o addirittura il carattere intruso, della disposizione censurata, e nemmeno per ritenere che in essa manchi qualsiasi nesso di interrelazione con il contenuto dell’originario decreto-legge». Visto che la materia è la stessa (il trasporto) e visto che prevede «un intervento a favore delle imprese di autotrasporto (in particolare dei vettori finali, nell’ambito del trasporto di merci su strada), e perciò condivide con il decreto-legge originario la “comune natura” di misura finalizzata alla risoluzione di una situazione di crisi».
E quindi l’azione diretta è salva!