16.000 imprese chiuse dal primo trimestre 2009 al terzo 2013, in pratica 1 su 5. È questo, secondo la CGIA di Mestre, il tragico bilancio della battaglia con cui l’autotrasporto ha cercato – senza riuscirci – di fronteggiare la crisi. Percentualmente sono sparite il 14,7% delle imprese, così che oggi sul mercato ne rimangono in vita un po’ meno di 93.000. La notizia si ferma qui. Perché non si scopre nulla di nuovo a sapere che il 68,5% di queste imprese superstiti sono imprese artigiane. Ma soprattutto non si scopre niente di nuovo – anche se rattrista fortemente – a sapere che esistono ancora 40.000 imprese attive che non dispongono di automezzi e che quindi praticano esclusiva attività di intermediazione. E questo, in qualche modo, equivale a dire che il trasporto è pagato. se così non fosse non potrebbe esistere un’impresa di pura intermediazione ogni due aziende «vere» esistenti.
Sul fronte occupazionale si è mosso sensibilmente qualcosa, perché la media di addetti per azienda oggi è di 4,3, quindi in leggero rialzo rispetto al passato, mentre complessivamente il settore dà lavoro a circa 400 mila persone, anche se 70 mila occupati si sono persi per strada.
Se la percentuale media di chiusure aziendali è del 14,7% ovviamente c’è anche chi sta peggio. Alla vetta di questa triste classifica si piazza il Friuli Venezia Giulia, l’unica a superare il 20% di moria aziendale (per la precisione il 20,7%), mentre dietro a inseguire ci sono Toscana (-19,1%), Sardegna (- 17,9%) e Piemonte (- 17,7%).
Il perché di queste sofferenze è presto detto: in Italia siamo gravati dal costo di esercizio per chilometro più alto d’Europa. A fronte del nostro 1,542 euro, in Austria si viaggia a 1,466 euro, in Germania a 1,346 euro, in Francia a 1,321 euro. Ma la concorrenza vera arriva dalla Romania con costi quasi dimezzati rispetto ai nostri (0,887), dalla Polonia (1,054 euro), dall’Ungheria (1,089 euro) e dalla Slovenia (1,232 euro).
Da cosa dipende questo gap clamoroso? «Colpa di un deficit infrastrutturale spaventoso – sottolinea il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – Senza contare che il settore è costretto a sostenere spese vertiginose per la copertura assicurativa degli automezzi, per l’acquisto del gasolio (in Italia è il più caro tra tutti i 28 paesi della UE) e per i pedaggi autostradali (cresciuti del 17,2% dal 2010). Il che si traduce in un dumping sempre più pericoloso, soprattutto per le aziende ubicate nelle aree di confine che sono sottoposte alla concorrenza proveniente dai vettori dell’Est Europa. Questi ultimi hanno imposto una guerra dei prezzi che sta strangolando molti piccoli padroncini. Pur di lavorare – conclude Bortolussi – si viaggia anche a 1,10-1,20 euro al chilometro, mentre i trasportatori dell’Est, spesso in violazione delle norme sui tempi di guida e del rispetto delle disposizioni in materia di cabotaggio, possono permettersi tariffe attorno agli 80-90 centesimi al chilometro. Con queste differenze non c’è partita».