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A cosa servono i costi pubblicati dal ministero? Risponde Clara Ricozzi

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Ma a cosa servono i costi di esercizio pubblicati dal ministero dei Trasporti e in prospettiva quale valore potrebbero acquisire? Quali sono le differenze rispetto a quelli pubblicati fino allo scorso settembre? E soprattutto quali vantaggi eventuali potrebbero portare alle imprese di autotrasporto? Tutte domande che Uomini e Trasporti ha rivolto a Clara Ricozzi, per lunghi anni direttore generale del Dipartimento dei Trasporti Terrestri presso il ministero dei Trasporti. Vale a dire quello stesso Dipartimento che oggi redige e pubblica i costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto.

Nella nuova normativa si prevede la libera contrattazione dei prezzi, ma il ministero oggi torna a pubblicare i costi di esercizio da tener presente. Cosa vuol dire?
Vuol dire che il legislatore sembra non dimenticare il contesto in cui opera l’autotrasporto italiano, caratterizzato dalla natura artigianale e dalla conseguente debolezza contrattuale della maggior parte delle imprese. Prova ne sia che non soltanto prevede che il ministero dei Trasporti, sia pure a soli fini indicativi, continui a pubblicare sul proprio sito internet valori di riferimento dei costi di esercizio delle imprese e anche l’adeguamento della parte di corrispettivo corrispondente al costo del carburante (ma anche dei pedaggi autostradali), alle variazioni dei costi del gasolio superiori del 2% rispetto a quelli presi a riferimento  al momento della  sottoscrizione  del  contratto, ma in più stabilisce espressamente che, anche per i contratti verbali, i prezzi e le condizioni di esecuzione delle prestazioni, rimessi all’autonomia negoziale delle parti,  devono tener  conto  dei «principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale».

E di fatto cosa significa?
Da un certo punto di vista, si può prevedere che il concetto di «adeguatezza», espresso in modo così generico, sarà con ogni probabilità foriero di ulteriore contenzioso fra vettori e committenti. Ma è anche vero che questa previsione normativa è ispirata a quei criteri di «liberalizzazione regolata» dell’attività di autotrasporto, così come declinati dal decreto legislativo 286. Quest’ultimo, a distanza di quasi dieci anni, mantiene intatta la sua originaria impostazione, che intendeva coniugare la sicurezza con la libertà di concorrenza, non solo prevedendo la nullità delle clausole contrattuali che comportino modalità e condizioni di esecuzione delle prestazioni, contrarie alle norme sulla sicurezza della circolazione stradale, ma anche ipotizzando una forma particolare di tutela per i contratti stipulati verbalmente, con la remissione delle relative controversie all’applicazione degli usi e delle consuetudini raccolti negli appositi bollettini pubblicati dalle Camere di commercio.

Nella normativa, però, l’indicazione degli elementi su cui basare questa raccolta veniva affidata all’Osservatorio sull’attività di autotrasporto della Consulta generale per l’autotrasporto, entrambi soppressi. A questo punto come si potrebbe fare?
Nulla impedisce alle Camere di Commercio di provvedervi direttamente, nell’ambito delle generali competenze di regolazione del mercato, ad esse attribuite dalle vigenti disposizioni. E fra tali competenze rientra espressamente l’obbligo di raccogliere, accertare e revisionare usi e consuetudini connessi alle attività economiche e commerciali, pubblicandoli in un’apposita Raccolta. Vale la pena di ricordare che, nel nostro ordinamento, gli usi sono fonte del diritto (dopo le leggi e i regolamenti) e, nelle materie regolate dalla legge, acquistano efficacia con la pubblicazione in detta Raccolta.

E i criteri per effettuare questa raccolta come vanno valutati?
È lo stesso decreto legislativo 286 a fissare con chiarezza i criteri cui attenersi nella raccolta degli elementi finalizzati alla determinazione di usi e consuetudini, che devono tener conto delle condizioni di mercato e dei costi medi delle imprese e partire dalla constatazione dei prezzi medi unitari praticati per i servizi di trasporto, su base territoriale e settoriale. Ed è agevole ipotizzare che non potrebbe non tener conto proprio dei valori di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto, pubblicati mensilmente dal ministero dei Trasporti.  
In definitiva, le norme vigenti potrebbero offrire da subito gli strumenti necessari per tutelare le imprese artigiane, le più esposte a forme di contrattazione non scritta e meno dotate di forza contrattuale.

 

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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