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50 anni di CARP: Una palestra di aggregazione

La storia della Cooperativa autotrasportatori riuniti di Pesaro e Urbino che, nel corso dei sui cinquanta anni di vita ha attraversato un numero straordinario di aggregazioni. Nata dall’iniziativa di 24 cisternisti interessati ad accrescere il proprio potere contrattuale, limitando la concorrenza reciproca, ha poi aperto le porte a tante altre realtà, utili a diversificare l’attività e a crescere. Partita con mezzo milione di euro di fatturato, oggi arriva a 40 milioni. Senza mai dimenticare il benessere degli associati

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È proprio vero che il buongiorno si vede dal mattino. E tanto più il «dì natale» avvenne in modi contrastati e difensivi, tanto più di fronte agli imprevisti e alle contrarietà ci si accorge di poter confidare su spalle grandi. La storia del Carp è tutta qui: la Cooperativa autotrasportatori riuniti di Pesaro e Urbino nata nel 1973, seppure in forma di Consorzio (abbandonata pochi anni dopo, seppure conservando la declinazione al maschile dell’acronimo), non vide la luce, come spesso accadde in quegli anni, sotto la spinta di committenti interessati a concentrare in un unico interlocutore le relazioni con i fornitori di trasporto, ma per iniziativa spontanea di un gruppo di 24 autotrasportatori cisternisti, stanchi di farsi concorrenza tra loro e interessati ad accrescere quanto possibile la loro forza contrattuale.

Un collante a forte tenuta

Così, quattro giorni dopo ferragosto, questi padroncini di tutte le età si convinsero a dare vita a una struttura aggregativa. Quel giorno il cemento aggregativo era costituito dall’ennesimo contrasto con il loro principale committente, la Fox Petroli di Pesaro. Ma i sentimenti, anche quelli più adirati, svaniscono in fretta come la calura estiva al primo temporale d’agosto. Nel Carp, invece, a renderli meno precari c’era una firma apposta su una cambiale di tre milioni di lire (23 mila euro attuali): chi, per una qualche ragione, avrebbe voltato le spalle al Consorzio, diceva addio anche a questa somma. Era un collante a forte tenuta, in grado di fronteggiare la contrarietà al Consorzio espressa dallo stesso committente. Ma non sarebbe bastato a durare 50 anni, degnamente festeggiati lo scorso 19 giugno all’interno di villa Berloni a Pesaro, se la storia non avesse fornito subito una lezione da apprendere. Il Carp nasce nel 1973, quando scoppia la guerra del Kippur, i paesi arabi chiudono i rubinetti del petrolio, le auto viaggiano a giorni alterni e, quindi, la distribuzione dei prodotti petroliferi frena vistosamente. Inevitabile che il giro di affari della Fox Petroli diminuisca e, di conseguenza, quello del neonato consorzio. La prima lezione di imprenditorialità è servita: guai a rendere un singolo committente la fonte predominante del proprio fatturato, ma guai pure a far dipendere le proprie economie da un singolo settore, perché ti rendi troppo esposto a contingenze esterne.

Cambiare non è doloroso, resistere sì

Una qualunque realtà aggregata costretta a subire un tale colpo dopo due mesi di vita si sarebbe sciolta come neve al sole. Il Carp, invece, stringe i denti e comprende che per rimanere competitivi sul mercato bisogna diversificare. Facile a dirsi, perché all’atto pratico i 24 soci erano tutti cisternisti attivi nel trasporto di carburanti e di oli minerali. Come fare per entrare in altri segmenti? Una domanda a cui il Carp fornì – ma continua ancora oggi a fornire – una risposta teorica e una di fatto.
La prima l’ha espressa con straordinaria sintesi il presidente Luciano Barattini proprio alla festa dei 50 anni: «Il futuro si affronta con la consapevolezza che il cambiamento non è doloroso, la resistenza sì». Come a dire che, di fronte alle difficoltà, non serve continuare a sbatterci la testa contro; tanto vale accettare di cambiare per aggirare l’ostacolo e riuscire ad andare avanti. All’atto pratico i processi di trasformazione escogitati dal Carp sono stati tanti, ma tutti figli dell’aggregazione. Pensate che già nel settembre del 1973 il comitato direttivo del Consorzio decide di entrare in Federtrasporti per condividere esperienze con realtà analoghe e stabilire un dialogo e magari scambi commerciali con chi lavora in vari segmenti di trasporti. Poi, nel 1983 apre le porte a una quindicina di nuovi soci che movimentano, con veicoli cassonati, prodotti agroalimentari per conto del locale Consorzio Agrario, lo stesso per cui il Carp trasportava carburanti.

Una coop dalle porte aperte

È un momento importante che segna l’apertura ai settori agricolo e zootecnico e quindi ai trasporti di mangimi e di fertilizzanti che avrebbero lasciato crescente traccia nei bilanci. Anche perché quando si apre una finestra si creano correnti. Come quella che condusse verso alla fusione nel Carp degli associati al Cta di Falconara, consorzio impegnato nel trasporto cisternato alimentare. Così dopo due giri di giostra e l’ingresso di altri sei padroncini sempre attivi nei ribaltabili, il fatturato che alla fine degli anni Settanta non superava – in valuta attuale – il mezzo milione di euro, allo scadere del decennio schizza a 4 milioni. E la crescita di disponibilità finanziarie consente agli organi di governo del Carp di attuare politiche solidaristiche più incisive. Ecco allora il fondo mutualistico per andare incontro ai soci che avevano subito sinistri o quello che serve a fornire loro prestiti a fondo perduto, ma ecco pure una politica di incentivazione o di acquisto diretto di allestimenti utili per diversificare l’attività.

Gli anni 90: verso l’Europa

Ma assaporato il successo, subito si manifestano difficoltà nel gestirlo. Perché il cassonato, partito come alternativa al cisternato, diviene presto segmento trainante del Carp. Il problema è che garantisce margini inferiori e necessita di maggiori volumi e di più macchine. Accrescere la flotta aziendale, però, significa dover generare fatturati crescenti. Nel Carp si crea una discussione tra chi vorrebbe accettare la sfida e chi preferirebbe frenare. Anche qui però è la storia a indicare la strada. Siamo negli anni Novanta, quelli successivi alla caduta del Muro di Berlino e delle barriere doganali comunitarie, che faranno moltiplicare gli scambi commerciali. Per giocare questa partita diventa importante disporre di una grande squadra. Per crescere il Carp adotta due mosse in direzioni opposte: una iperlocale, l’altra continentale. Perché per un verso muove, nel 1992, all’ennesina aggregazione di un altro consorzio dirimpettaio, il Cotrap, che portava in dote al settore cassonato 23 ulteriori veicoli. Nel 1997, invece, viene creata una filiale per aprire traffici internazionali a temperatura controllata e insediata a Gambettola, in provincia di Cesena. E qui, oltre a confidare sui mezzi di un nuovo socio tedesco, l’ufficio traffico può contare sulla collaborazione di aziende estere divenute negli anni sempre più numerose.
I risultati arrivano in fretta: se nel 1994 il fatturato toccava i 6,9 milioni a fine decennio arriva a 12,3. Ma in parallelo i piccoli autotrasportatori crescono, tanto che se nei primi anni Novanta gli associati al Carp erano 66 con 69 veicoli a disposizione, nel 2000 diventano 67, ma i loro mezzi sono 110.

Il socio al centro

Ma anche in questo caso i frutti raccolti sono investiti nel benessere dei soci, ribadendo il tratto identitario che distingue una forma sociale aggregativa dalle altre. Ecco perché negli anni Duemila per facilitare il lavoro dei soci ci si concentra sui servizi e sulle possibili economie di scala. Così, chi si associa al Carp può acquistare, a prezzi contenuti dagli acquisti collettivi, il carburante, i servizi di telefonia mobile e le polizze assicurative (con il tramite di Federtrasporti). In più, può accedere alla classe di massimo rimborso sui pedaggi autostradali e usufruire di corsi di formazione, divenuti necessari dopo l’ottenimento da parte della coop delle certificazioni di qualità. Sull’onda di questo posizionamento del socio al centro dell’attività aggregativa, nascono i progetti per realizzare due aree di sosta che il presidente Barattini ha definito «uniche nelle Marche, la Fanotranservice a Fano e la Parco tir a Pesaro, dedicate alla sosta dei mezzi pesanti, non più arroccati attorno alle mura della città e delle case con forte disagio dei cittadini». E qui, oltre agli stalli e al gasolio, si insediano anche il lavaggio, l’officina e una trattoria.
Così, quando il socio è soddisfatto ha più facilità a sentirsi parte di una struttura collettiva, è più propenso – sono sempre parole di Barattini – a «curare ogni commessa che gli viene affidata come un bene prezioso» e quindi a diventare quel biglietto da visita nei confronti dei committenti che spesso aziende di trasporto private non riescono a garantire. È un meccanismo virtuoso che spinge in avanti quando il mercato tira e aiuta a tenere il passo se rallenta. Nel biennio 2008-2009, quando morde la crisi dei mutui subprime, il Carp fattura rispettivamente 20 e 16,6 milioni, ma già nel 2012 tocca quota 22,3 e nel 2014 arriva addirittura a 30.

Le relazioni virtuose in Federtrasporti

Ma la spinta propulsiva non è esaurita. Perché il Carp in anni recenti lancia l’ennesima sfida entrando nel trasporto rifiuti e anche qui favorisce un fruttuoso coagulo di intenti tra un gruppo di aziende associate a Fedetrasporti (il Coap di Piacenza, il Gam di Mantova e, dal 2023, il Can di Noci) che tesse trattative in comune e si presenta in un unico stand alla principale manifestazione di settore, Ecomondo di Rimini. E poi, quando anche grazie a questo dialogo emerge nelle diverse aziende la consapevolezza di essere migrate su anelli della catena logistica ulteriori al trasporto, il gruppo si propone a una clientela internazionale partecipando con il tramite di Federtrasporti a una fiera come il Transport Logistic di Monaco di Baviera, affiancati anche dalla Giezendanner Italia. E sempre le stesse aziende, coadiuvate dalla Cafa di Ferrara, stanno facendo squadra, sotto l’ombrello Federtrasporti, per realizzare un hub logistico e intermodale all’interno dell’area retroportuale di Ravenna, porto su cui la cooperativa pesarese ha già investito negli anni in modo crescente.
E così, sull’onda di questi nuovi stimoli aggregativi, il Carp va. Nel 2022 il fatturato sfonda il tetto dei 40 milioni, con un +9% rispetto al 2021, e riorganizza la sua attività in cinque settori: piani mobili, ribaltabili, centine, cisterne (articolato in petrolifero, alimentare e chimico) e internazionale. Certo, i soci, a causa delle difficoltà generate dal ricambio generazionale, oggi sono 56 e quindi meno di quelli di un decennio fa, ma sono più strutturati, dispongono nel complesso un parco veicolare di oltre 145 mezzi e riescono a stare sul mercato con più forza. Quella tipica forza generata dall’unione. Perché solo stando insieme si fa strada.

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Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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