La transizione energetica è una strada lastricata da dubbi, che indica ora una direzione e un attimo dopo un’altra completamente diversa. Ben venga quindi chi, a dispetto degli interessi di parte o delle ideologie, affronta il problema con un’ottica concreta. Luca Sra, presidente della Business Unit Truck di Iveco, costituisce in tal senso un esempio lampante. Sarà che il costruttore nazionale sta vivendo un momento di particolare euforia, successivo al disvelamento del rinnovo di tutte le sue gamme di prodotto, sarà pure che dispone di un solido bagaglio professionale, costruito azionando, da posizioni di responsabilità, leve aziendali diverse nei contesti territoriali più vari, ma il suo argomentare suona schietto e diretto. Così, quando gli si chiede se l’elettrico possa essere l’unica soluzione per il lungo raggio, risponde di getto: «Al momento attuale non credo. Un trasportatore in missione su tratte internazionali percorre in poco più di quattro ore circa 85 chilometri ogni ora, poi si ferma per 45 minuti e infine riparte. Se un camion elettrico non riesce a garantirgli l’autonomia sufficiente per avere esattamente una tale produttività e lo costringe invece a perdere tempo per la ricarica, la sua condizione finisce per peggiorare. Ecco perché ritengo che per arrivare a una mobilità elettrica su tali tratte serva ancora tempo e, di conseguenza, per ora non può essere l’unica alimentazione possibile. Magari ci arriveremo, ma c’è bisogno di una transizione più guidata».
Una posizione chiara che lo stesso Sra ci tiene a definire «né critica, né opportunistica, ma soltanto di estrema concretezza. Oggi l’industria si confronta con grandissimi punti interrogativi: magari è chiaro il requirement del legislatore, è chiara la soglia, sono chiare le penali, ma tutti gli altri capitoli rimangono tanti nodi da sciogliere». E tra questi il capo dei truck di Iveco ci mette anche il peso di una responsabilità ambientale non soltanto prospettica, ma pure presente, visto che – puntualizza – «in Italia esiste un parco circolante con una vetustà superiore ai dieci anni, malgrado l’industria abbia investito milioni di euro in sicurezza e in prodotti con sempre minori emissioni. A fronte di una tale offerta, cioè, non facciamo nulla per evitare che degli Euro 0-1-2-3 continuino a circolare sul nostro territorio».
La seconda vita dei biocarburanti
Una tale considerazione conduce dritti a un altro interrogativo. Perché, se è vero che su determinate missioni l’elettrico non è ancora competitivo, è anche vero che l’emergenza ambientale va comunque affrontata in modo urgente. E allora, a quali tipologie di alimentazione affidarsi? La risposta di Iveco, al riguardo, è chiara da tempo. «La nostra aspettativa – ricorda Sra – è che ci sia una seconda vita provvida per i biocarburanti e che il pensiero della transizione possa procedere verso una sostenibilità differente. Ma è chiaro che qui l’aspettativa deve anche fare i conti con la politica. E il rinnovo della Commissione europea previsto per il prossimo anno potrebbe anche aprire nuovi capitoli, visto che, negli ultimi mesi, nei confronti della transizione energetica si è levata da parte di qualche governo un’autentica levata di scudi. E quindi non vorrei che alcuni dei capitoli rimasti ancora aperti siano trattati con superficialità e non si affronti la questione di fondo: chi paga la bolletta di tutta questa transizione?».
Eurocargo elettrico? I conti non tornano
L’opzione elettrica, giudicata poco matura rispetto al lungo raggio, è invece già prodiga di opportunità sul segmento leggero e su quello della distribuzione regionale. Prova ne sia che Iveco non soltanto ha realizzato la versione elettrica del Daily – commercializzata da tempo – ma in tempi recenti ha anche mostrato quella dell’S-Way. Resta scoperto il segmento medio, ma sull’ipotesi di poterlo elettrificare Luca Sra nutre fortissimi dubbi. E anche qui – spiega – «sono i conti a non tornare. Sia chiaro: io auguro all’Eurocargo la più lunga vita possibile, anche perché noi abbiamo stabilizzato la nostra quota di mercato europea intorno al 20%, mentre in Italia superiamo tranquillamente il 50%. A dimostrazione che il “vecchio” Eurocargo, a dispetto degli anni, continua a fare più che dignitosamente bene il suo mestiere. Però, se guardiamo alle richieste del legislatore in termini di sicurezza – e penso in particolare all’Adas Step C e D – e a queste sommiamo quanto necessario per lo sviluppo dell’elettrificazione, viene fuori una mole di investimenti che un mercato di 30 mila unità all’anno difficilmente potrebbe ripagare».
Ma Sra va oltre e quando gli si chiede se il segmento dei medi potrebbe rischiare di sparire, risponde tramite suggestioni molto nitide: «Non credo che da qui ai prossimi dieci anni scomparirà, ma è probabile che in futuro si configurerà in maniera diversa, magari coperto da una parte con Daily più grandi e, dall’altra, con S-Way più piccoli. Penso cioè a un’applicazione pratica della modularità della cabina che, tramite un downscaling del pesante, potrebbe coprire il limite superiore del segmento dei medi, la fascia cioè dalle 12 alle 18 tonnellate, mentre sul lato opposto ci potrebbe essere uno stretch dell’attuale gamma leggera per condurla dalle 7,2 tonnellate fino alle 10. È una prospettiva futuribile, ma forse nemmeno tanto».
È vero che i numeri inducono a sconsigliare l’investimento su un medio elettrico. Ma è anche vero che, già in passato, quando Iveco ha dovuto affrontare imprese finanziariamente impegnative ha spesso fatto ricorso a relazioni con altri costruttori. E allora, non potrebbe funzionare alla stessa maniera anche rispetto all’Eurocargo elettrico? Luca Sra scuote la testa e, contemporaneamente, sorride: «Non ci scommetterei. Anche perché per ballare un tango bisogna essere in due. Senza considerare che se il playground è troppo stretto, alla fine rischi di inciamparti». Poi, quando fuor di metafora gli ricordo che in Asia qualche costruttore cinese sta lavorando in quello spazio stretto, il presidente torna serio: «Sono dinamiche diverse, legate a economie di scala diverse, correlate comunque a una domanda interna. Credo sia invece difficile trovare un costruttore europeo che assuma posizioni diverse da quelle che sto esprimendo».
Le eredità di Nikola Motors
Da una partnership impossibile a una che si è interrotta strada facendo. Qui, il riferimento è a Nikola, start up americana con cui Iveco stabilì un legame iniziato nel 2019 e spezzato dalla metà del 2023, seppure salvaguardando lo scambio di know how, software e tecnologie. In ogni caso, al di là dell’esito finale, Luca Sra ci tiene a sottolineare come «quella esperienza abbia lasciato in Iveco un patrimonio materiale e uno immateriale. Il primo è legato all’intellettual property e a tutti i diritti che ne derivano. È stato un processo che ci ha impresso una grandissima accelerazione alla capacità di acquisire tecnologie nuove e di creare competenze inedite. D’altra parte, gestire una partnership è una grandissima opportunità per imparare, per mettersi in discussione, per acquisire la necessaria flessibilità e, più ancora, la capacità di trovare un equilibrio tra ciò che devi portare a casa per il tuo azionista e ciò che la tua controparte ti chiede attraverso metodi e culture molto diverse. E proprio un tale confronto tra approcci differenti determina quell’arricchimento immateriale che in generale promana da ogni relazione con i partner».
La relazione tra volumi e margine
Questa lezione sui possibili benefici delle partnership non è casuale. Poco più di un anno fa, nel corso di un evento a Torino il cui titolo era già un manifesto programmatico («Beyond»), Iveco mise in chiaro quanto fosse necessario, in un processo di accelerazione aziendale, stringere alla bisogna partnership mirate, finalizzate a ottenere volumi ed economie di scala. Un processo che, secondo Luca Sra, è iniziato qualche anno fa, «all’inizio del 2019, quando un gruppo di persone, animate da umile determinazione e dall’ambizione di rimettere un’azienda a viaggiare nella giusta direzione, ha cominciato a lavorare sull’identità e sul senso di appartenenza dei collaboratori e a sviluppare un percorso di crescita del prodotto e dei servizi». Da allora sono trascorsi cinque anni, nel corso dei quali l’Iveco S-Way ha visto la luce, il T-Way ne ha preso la ruota e il Daily si è radicalmente modernizzato, arrivando all’appuntamento con la transizione elettrica completamente rinnovato. E tutto questo viatico – conclude Sra – doveva essere «funzionale alla conquista di una base di volumi sostenibili e di una redditività migliore, fattori che costituiscono la premessa per mettere insieme gli investimenti necessari a finanziare un ulteriore rinnovamento di prodotto che oggi stiamo mostrando».
E se si considera che il rinnovamento delle gamme Iveco mostrato a Barcellona lo scorso novembre è costato la bellezza di un miliardo di euro, non è difficile comprendere come forse la visione strategica indicata da Sra, abbia già raccolto non pochi successi.