Nella difficoltà si annaspa, cercando di farsi guidare dall’istinto di sopravvivenza. Poi, scampato il pericolo, arriva il momento di volgersi indietro per capire in che modo riprendere il cammino. Le concessionarie di veicoli industriali in Italia sono state l’anello più debole di una crisi protrattasi dal 2009 fino a due stagioni fa, con contrazioni delle vendite nell’ordine del 70%. Hanno annaspato e in tante hanno ceduto. Ma quelle rimaste oggi come stanno riprendendo il cammino? Quale modello di business dovrebbero adottare? Gianandrea Ferrajoli, CEO di Mecar, realtà impegnata da 65 anni nella vendita e nell’assistenza di veicoli, non sembra avere dubbi e proietta lo sguardo il più possibile in avanti: «La vendita del prodotto-camion oggi è praticamente una commodity e anche la vendita del ricambio progressivamente lo sta diventando. Ecco perché è fondamentale per quell’azienda che chiamiamo “concessionaria”, ma che a me piace chiamare Service Provider, spostarsi su aree a più elevato valore aggiunto. E queste le può trovare soltanto nell’offerta di servizi e di attività dove né il costruttore, né l’azienda di trasporti riescono ad arrivare. Perché così facendo la concessionaria si trasformerà da anello debole della filiera, a elemento chiave nella proposizione del valore dalla fabbrica di prodotti e accessori al mercato».
L’inattività: il nemico numero uno
Cosa vuol dire in termini pratici? Vuol dire fare in modo che, quel prodotto che un costruttore ha realizzato nel miglior modo possibile, funzioni effettivamente nel miglior modo possibile, vale a dire – per dirla con Ferrajoli – che «raggiunga il livello di uptime il più alto possibile e di downtime il più prossimo allo zero». Ma per cancellare l’inattività ed elevare al massimo lo sfruttamento del mezzo il dealer deve trovarsi dove l’azienda di trasporto ha bisogno. Ma in che modo?
La forza della capillarità
Qui la risposta è articolata. In un’espressione sola, l’imperativo che la concessionaria dovrebbe adottare è: «incrementare la capillarità». Il numero uno di Mecar ne è convinto e lo giudica «un asset insostituibile che nessun altro player potrà riuscire a garantire». Che tradotto altrimenti equivale a dire che bisogna esserci sempre, anche quando il trasportatore, nelle diverse mission, si reca a centinaia, magari a migliaia chilometri di distanza. Volete un esempio? «Trent’anni fa – spiega – il trasportatore partiva da Torino per andare a caricare a Biella, poi scaricava a Vercelli e tornava a casa. Oggi, chi è impegnato nelle lunghe distanze e fornisce servizi a multinazionali si trova magari a partire da Napoli, arriva in maniera intermodale fino a Valencia e poi da lì risale a Lione. E lungo queste missioni avrà sempre bisogno di servizi. Ecco perché bisogna svincolarsi dal concetto di concessionario come lo intendevamo una volta. Noi con aziende strutturate facciamo esattamente così: cerchiamo di capire il pianto industriale dell’azienda di trasporti, analizziamo la direzione in cui si muove la committenza di questa azienda e quindi, sulla base di questa analisi, studiamo le principali direttrici sulle quali si troverà a viaggiare, in modo da garantirgli costante efficienza operativa. È quanto accaduto per esempio con la Smet, chiamata a Bordeaux da Unilever per servire il locale magazzino e noi a quel punto gli abbiamo costruito un ecosistema composto anche da tutte le officine di cui ha bisogno. Ecco, il concessionario vincente è quello che riesce a superare la logica dell’area di riferimento, per entrare nella logica del network».
È vero: starete pensando che un modello operativo di questo tipo funziona esclusivamente con aziende impegnate su Lunghe Distanze. Ma Ferrajoli scuote la testa: «Si può concepire la stessa cosa anche su altri piani: la cosa essenziale è che al fondo di tutto ci sia la sfida di contenere al minimo il downtime. Prendiamo per esempio l’ultimo miglio: anche chi percorre 80-100 chilometri al giorno, magari tra Segrate, il centro di Milano e la tangenziale esterna ha bassissima tolleranza al downtime e ha bisogno, semplicemente su scala diversa, dello stesso schema precedente. Anche qui, cioè, è essenziale essere pronti a consegnare ricambi in tempi brevissimi».
Non serve sottolineare che per vincere questa partita non basta disporre di competenze meccaniche ed elettroniche, ma serve anche saper stabilire un rapporto virtuoso con la tecnologia. Cosa vuol dire «rapporto virtuoso»? Cerchiamo di trovare una risposta all’interno dell’universo Mecar. Nata nel 1952, questo dealer Iveco, CNH e Petronas oggi è presente, tramite circa trenta centri assistenziali, in tutto il Sud Italia, dà lavoro diretto a un’ottantina di persone con un’età media di 35 anni e ha iscritta nel proprio DNA la ricerca all’innovazione. E oggi l’innovazione tecnologica si manifesta in almeno due forme: la prima investe la connettività, la seconda i carburanti alternativi. La connettività – spiega infatti Ferrajoli – «aprirà un nuovo mondo in materia di accesso alle informazioni e quindi anche l’universo dell’assistenza si sposterà da un mondo di riparazione a uno di manutenzione».
Rispetto ai carburanti alternativi al gasolio, invece, il CEO di Mecar è convinto in particolare delle potenzialità dell’LNG e si vanta anche di essere il primo venditore di questo tipo di tecnologia in Italia. Però – aggiunge allargando le braccia – «il primo distributore ce l’abbiamo a 600 km di distanza e i veicoli dobbiamo consegnarli a Parma». Poi fa riferimento a una lotta estenuante ingaggiata con la burocrazia, ma ci anticipa pure che con buone probabilità tra circa quattro mesi potrà dirsi vinta, con l’apertura di un distributore LNG da parte di un retista di carburante a Salerno e dove Mecar dovrebbe essere presente con un centro assistenziale.
Ma non è tutto perché l’azienda campana, con quartier generale a Nocera Inferiore (Salerno), è anche allacciata al mondo delle start-up, avendo sostenuto innanzi tutto la nascita di Macingo, sorta di Blablacar del trasporto che serve a ridurre le emissioni inutili e a ottimizzare i carichi interfacciando domanda e offerta di servizi. Funziona? Ferrajoli risponde tramite numeri: «È partita tre anni fa e ogni mese registra un incremento di fatturato nell’ordine del 20%». E sempre nello stesso ambito ci ricorda pure che sotto le insegne di Cedra, l’organizzazione europea di cui Ferrajoli è chairman della divisione Truck, sarà partner e sponsor della più grande start up continentale in tema di mobilità, presentata al Parlamento europeo.
Un biennio irripetibile
Tutti questi outlook, peraltro, sembrano muovere il mercato, che per la prima volta dopo tanti anni mostra segnali incoraggianti. Ferrajoli, che è anche presidente di Federauto Trucks, ricorda che un aiuto in tal senso è venuto da un biennio positivo, «trainato dai migliori fondamentali del paese dell’ultimo decennio e da ottimi incentivi concessi dal governo, come in particolare il superammortamento». Un biennio forse difficilmente replicabile, anche se i fondamentali dell’Italia restano buoni, a parte qualche incertezza agganciata al periodo elettorale.
Forse anche questo ha fatto tornare l’interesse a investire nelle reti commerciali e di assistenza. Al riguardo Ferrajoli intravede due trend: «Alcune case, come DAF, spingono sul consolidamento allargando i territori di competenza dei dealer, fino a farli diventare multiregion, assecondando la tendenza già riscontrata nel resto d’Europa. Altre case, invece, come MAN, nominano direttamente nuovi dealer, in alcuni casi anche piccoli, spesso facendo una sorta di upgrade di officine già esistenti». In ogni caso la cosa certa è che molte case che fino a qualche anno fa era quasi sul punto di fare i bagagli, adesso tornano a investire, in alcuni casi anche in prima persona, con un retail diretto, «seppure in Italia, fatta eccezione per le grandi città, questo trend, almeno attualmente, non è ancora visibile. D’altra parte, il mercato dell’Europa del Sud, a fronte di volumi più contenuti rispetto a quello del Nord, beneficia di marginalità più alte. Fattore che, soprattutto quando il mercato è in ripresa, si rivela molto attrattivo».
Insomma, parliamo di una partita che può essere vincente per tanti, costruttori, dealer e aziende di trasporto. Tutto sta a giocare fino in fondo il proprio ruolo.
NELLA FOTO
Gianandrea Ferrajoli guida Pierre Lahutte e Mihai Radu Daderlat, rispettivamente Brand President e General Manager mercato Italia di Iveco, in visita agli impianti della Mecar