Non bastassero l’impennata del prezzo del gasolio (+24,3% nell’ultimo anno), i ritocchi dei listini dei veicoli (+3-5% da gennaio), i rischi di un forte incremento del costo del lavoro per sopperire alla sempre più drammatica carenza di autisti, gli aumenti del 10-15% di assicurazione, pneumatici e revisioni… Adesso un’ennesima mannaia si abbatte sul collo degli autotrasportatori italiani, con il rischio – estremo e paradossale – di rendere impossibile la circolazione dei veicoli più moderni e meno inquinanti, lasciando sulle strade quelli più vetusti e inquinanti: quelli, cioè, che non hanno bisogno dell’AdBlue (l’additivo antinquinamento dei veicoli Euro 5 e Euro 6 a gasolio, senza il quale la centralina blocca automaticamente il motore) il cui costo è letteralmente schizzato verso l’alto in poche settimane. Prima si trovava a 25 centesimi al litro, adesso bisogna sborsarne 80 e in alcuni casi anche un euro: il quadruplo.
ll balzo del metano
La causa di fondo è negli sconvolgimenti del mercato dell’energia che ha colpito l’economia globale in seguito al Covid: prima i lockdown con il blocco di trasporti (e produzioni) in tutto il mondo, poi la riapertura con la corsa alla ripresa e il balzo della domanda di energia hanno determinato i primi rincari. Ne ha sofferto principalmente il mercato del gas di cui l’Europa importa 300 miliardi di metri cubi l’anno (pari all’80% del suo fabbisogno) soprattutto dalla Russia. Ma il presidente russo, Vladimir Putin, sta mercanteggiando le forniture, da una parte favorendo l’accresciuta domanda di Cina e India, dall’altra cercando di tagliare fuori il gasdotto europeo che attraversa l’Ucraina a vantaggio di quello del mare del Nord che ancora non è pronto.
Il guaio è che per produrre l’AdBlue il gas metano è essenziale. L’additivo, composto per il 32,5% da urea e per il resto da acqua demineralizzata, viene iniettato nel condotto di scarico di un catalizzatore SCR (Selective catalyst reduction) per scomporne gli ossidi di azoto in vapore acqueo. Ma per produrre l’urea bisogna partire dal metano, da cui si ricava l’idrogeno che associato all’azoto dell’aria, produce l’ammoniaca da trasformare appunto in urea. Di fatto l’unico materiale da acquistare è il metano (che serve anche come fonte di energia per tutto il processo). È inevitabile che ogni aumento del gas si ripercuota sull’AdBlue.
Che fare? Le rappresentanze dell’autotrasporto si sono subito rivolte al governo, sottolineando il paradosso che vengono colpite proprio le imprese più sensibili al rinnovamento ecologico. Il presidente di Conftrasporto, Paolo Uggè, ha chiesto «soluzioni immediate» al ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, e il presidente di Confetra, Guido Nicolini, si è rivolto al governo perché «venga fermata la corsa al rialzo del costo dell’AdBlue».
La corsa all’accaparramento
Ma non è unicamente una questione di costi al consumo. Il fortissimo rincaro del metano ha già portato una delle poche fabbriche italiane di ammoniaca, la Yara di Ferrara, a sospendere per alcuni mesi la produzione, pur senza mettere in cassa integrazione i 140 dipendenti, ma usando la pausa per fare (come peraltro fa quasi ogni anno) manutenzione. Il solo annuncio della sospensione, tuttavia, ha scatenato una corsa all’accaparramento dell’AdBlue che, alla fine, ha soltanto contribuito a far salire ancora di più i prezzi. E a far aumentare il rischio di frodi.
Senza additivo, infatti, si rischiano da una parte i fulmini delle norme antinquinamento, dall’altra il guasto del catalizzatore. La centralina del veicolo, perciò, indica la riserva (come avviene sulle auto per il carburante) almeno 2.400 km prima che l’Adblue si esaurisca; quando è in rosso, indica il numero di avviamenti ancora possibili e alla fine blocca il motore. Ma la centralina può essere «ingannata» da un emulatore: se ne trovano, per poche centinaia di euro, anche su Internet, venduti per solo uso sportivo o salvaguardati dall’avvertenza che possono essere usati solo fuori della Comunità europea. In realtà sono molto diffusi nei Paesi dell’Est. Una rivista di settore tedesca ha calcolato nel 30-40% del circolante il numero di veicoli con emulatore che circolano i quei Paesi. Ci vorrebbero maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine.
Diffidate dalle imitazioni
Ma maggiori controlli dovrebbero farli anche gli autotrasportatori quando acquistano l’AdBlue. Ne circolano – sempre su internet (ma non solo) e sempre provenienti dai paesi dell’Est europeo – una grande quantità di imitazioni a basso costo, magari con percentuale inferiore di urea che è la sofisticazione più semplice da mettere in piedi, dal momento che proprio le diverse percentuali caratterizzano il prodotto destinato ad altri usi come l’agricoltura, la produzione energetica e il riscaldamento. Prima del cartellino del prezzo, dunque, bisognerà controllare la presenza della ® del marchio depositato, il paese di provenienza, il numero di licenza comunitaria.
«Sul mercato abbiamo trovato dei prodotti a un prezzo inferiore al nostro costo di produzione», ha raccontato a K44 La voce del trasporto, il podcast di Uomini e trasporti e Trasporto Europa, Claudio Mascialino, amministratore delegato di Resnova, società che importa e distribuisce in Italia l’AdBlue prodotto dalla BASF, «e questo dovrebbe farci riflettere». E ha snocciolato un rapido conto: mediamente il consumo di AdBlue è il 5% di quello del carburante. Un veicolo che fa 100 mila chilometri l’anno, utilizza 30 mila litri di gasolio e, dunque, 1.500 di AdBlue. «Vale la pena», conclude, «spendere 2 centesimi al litro in più, che sono 30 euro l’anno, per salvaguardare il veicolo, acquistando solamente prodotti di marca che garantiscono la sicurezza».
Miopia energetica
La speculazione, per di più, trova alimento dal fatto che la situazione è identica in tutta Europa, dove molte fabbriche hanno ridotto la produzione di ammoniaca. La stessa BASF lo ha fatto a Ludwigshafen e ad Anversa, mentre la slovacca Duslo, che ogni anno produce 150 mila tonnellate di AdBlue, ha annunciato che sta contenendo la produzione, limitandola probabilmente a quella prevista da un accordo con i distributori per la vendita dell’additivo solo ai trasportatori slovacchi.
Il problema è che si tratta di una produzione comunque insufficiente per soddisfare il fabbisogno europeo. Sono almeno 50 anni che nel continente non si costruiscono nuovi impianti per la produzione di ammoniaca. «Stiamo parlando di stabilimenti lunghi qualche centinaio di metri se non qualche chilometro con investimenti intorno ai 5-600 milioni di euro», ha ricordato Mascialino, aggiungendo che nel nostro continente oggi ce ne sono pochi per «la difficoltà ad avere autorizzazioni per quanto riguarda l’ammoniaca» e perché «la produzione in Europa non è più remunerativa per chi fa questa attività ed è più convenente importarla». Il risultato, però, è che abbiamo lasciato la produzione nelle mani di Cina, Medio Oriente e Stati Uniti. E non abbiamo neanche creato centri di stoccaggio ai quali attingere nei momenti di difficoltà. Non è un caso che le due associazioni trasportistiche tedesche BGL (merci) e BDO (persone) abbiano chiesto al governo la costituzione di una riserva nazionale di AdBlue, da usare in caso di riduzione della produzione.
Ma anche queste sono misure di lungo periodo. Intanto in Italia c’è il rischio che debbano restare in rimessa un milione e mezzo di camion ecologici, di cui oltre 320 mila con portata superiore a 35 quintali. Accadrà davvero? Mascialino è ragionevolmente ottimista: «Il prezzo dovrebbe assestarsi dalla primavera del prossimo anno, quando probabilmente tutti gli impianti ripartiranno con la produzione a regime. La capacità di soddisfare la domanda c’è, ma è bene evitare di fare accaparramento o creare troppe scorte, altrimenti la situazione non potrà che peggiorare».