C’è anche Ford Trucks Italia tra i protagonisti di Ecomondo 2024, una delle più importanti manifestazioni fieristiche europee dedicata alla transizione ecologica e all’economia circolare, in corso in questi giorni alla fiera di Rimini. Il costruttore ha svelato in anteprima nazionale i nuovi modelli F-Line 6×2 e 8×4, autotelai pensati per applicazioni versatili, che spaziano dal settore ambientale a quello delle costruzioni.
In occasione della conferenza stampa, l’amministratore delegato di Ford Trucks Italia, Paolo A. Starace, alla sua prima uscita ufficiale dopo la nomina del giugno scorso, ha sottolineato come nel segmento dei trattori Ford Trucks Italia si aggiri intorno al 4% di market share. «Pian piano ci stiamo ritagliando una nostra fetta di mercato importante – ha affermato – e stiamo continuando a crescere».
Ma anche nel segmento dei carri l’intento è di ritagliarsi uno spazio di riguardo, grazie all’inizio della produzione della nuova gamma dei carri. «Ad oggi la fetta maggiore di mercato è assorbita dal segmento 6×2, con il 43%, seguita dall’8×4 (24%) e dal 4×2 (21%). Questi sono i segmenti di mercato più promettenti ed è su questi che andremo particolarmente a insistere e a puntare».
Strategico quindi, da questo punto di vista, l’arrivo delle varianti F-Line, in particolare le motrici 6×2 e 8×4, che rappresenta un passo cruciale nell’ampliamento della gamma Ford Trucks. «Questi veicoli – ha continuato Starace – sono progettati per adattarsi a un’ampia varietà di condizioni operative, distinguendosi per robustezza, affidabilità e versatilità».
I veicoli sono già ordinabili, sono omologati e possono essere allestiti. «L’obiettivo per i prossimi mesi è di conquistare nuovi clienti, ma intanto siamo già pronti oggi a raccogliere gli ordini. Ci aspettiamo una stagione di grandi successi in questo segmento», ha concluso Starace.
Importante accordo nel settore energetico tra Edison e Kanadevia Inova, azienda greentech che opera nel comparto della termovalorizzazione dei rifiuti. La società milanese ha infatti firmato un contratto a lungo termine (BPA, biomethane purchase agreement) per il ritiro di biometano prodotto da scarti agricoli. In base all’intesa, della durata di 15 anni, Kanadevia Inova porterà a termine entro il primo semestre del 2025 la costruzione di un impianto di biometano in provincia di Cuneo, interamente alimentato da sottoprodotti agricoli, la cui produzione verrà totalmente ritirata da Edison per un volume annuale pari a circa 3 milioni di metri cubi.
Con questa operazione, generando energia da fonti rinnovabili, l’azienda svizzera entra nel settore del biometano tricolore, mentre la energy company diversifica ulteriormente il suo portafoglio con quote crescenti di «gas verde», con l’obiettivo di accompagnare i propri clienti nel loro percorso di decarbonizzazione.
Il biometano ti dà una mano (verde)
Com’è noto, il biometano è un gas verde ottenuto dalla purificazione del biogas, prodotto dalla digestione anaerobica di materiale organico come residui agricoli o rifiuti urbani. Il piano REPowerEU dell’Unione europea prevede di decuplicarne la produzione fino a 35 miliardi di metri cubi all’anno, pari a 342 TWh (terawattora). I benefici ambientali includono la riduzione delle emissioni di gas serra, la gestione sostenibile dei rifiuti e il supporto all’economia circolare. Al pari del gas naturale, può essere utilizzato per il riscaldamento, la produzione di elettricità, come carburante per veicoli o essere immesso nella rete.
Edison principale player in Italia del biometano
Il Gruppo Edison è il principale player del biometano in Italia, coprendo attualmente un terzo del mercato nazionale. Nel 2023 ha acquistato e gestito più di 100 milioni di mc di questo gas, dalla produzione fino alla vendita al mercato. Fin dalla realizzazione dei primi impianti italiani nel 2018, l’azienda lombarda aiuta i produttori a vendere biometano su orizzonti di lungo periodo, ritirandolo presso i siti produttivi e rivendendolo nel settore dei trasporti.
I commenti
«Grazie a questo accordo Edison rafforza la sua posizione sul mercato italiano ed europeo dei green gas – ha affermato Fabio Dubini, vicepresidente esecutivo per la gestione e ottimizzazione del portafoglio gas ed energia di Edison – offrendo ai clienti, in particolare gli energivori, una soluzione competitiva in grado di ridurre la loro esposizione verso l’acquisto di titoli ETS (i certificati del Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra)».
«Con il lancio del nostro primo impianto di digestione anaerobica a umido in Italia – ha spiegato Keith Carr, vicepresidente esecutivo per la gestione delle risorse di Kanadevia Inova – siamo in grado di trasformare i rifiuti agricoli in prezioso biometano per sostenere la decarbonizzazione regionale e fornire energia sicura e sostenibile».
Rush finale per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dell’autotrasporto e logistica. Inizia domani, venerdì 8 novembre, una no stop di tre giorni che si concluderà domenica 10 novembre, per riunire intorno al tavolo le tre sigle dei sindacati confederali (Filt-Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti) e le 24 associazioni datoriali firmatarie del contratto collettivo di lavoro del trasporto e della logistica, scaduto lo scorso 31 marzo. L’idea di utilizzare il weekend, prima volta assoluta nella storia di questo Ccnl che interessa circa un milione di lavoratori, è indice della volontà di accelerare il rinnovo, come aveva anticipato a Uomini e Trasporti, Michele De Rose, segretario nazionale di Filt-Cgil in un’intervista rilasciata qualche giorno fa.
Un anno di trattative
Dopo più di 20 incontri in un anno di trattative, infatti, sul tavolo sono arrivate molte novità normative, ma è stata tralasciata la parte economica per la quale i sindacati hanno chiesto un aumento complessivo del 18%, da spalmare tra salario e benefit, tra cui l’IPA, l’indennità d’area che mediamente vale circa 150 euro al mese per i drivers professionisti. “Se vogliamo veramente accelerare – ricorda Maurizio Diamante, segretario nazionale della Fit Cisl – dobbiamo parlare della parte economica. Sono sicuro che questo confronto di tre giorni ci farà fare un grande passo avanti”.
Le principali novità sul tavolo
Diritto al pasto, alla disconnessione, smart working, clausola sociale e nuove figure professionali, sono le principali novità già esaminate durante le trattative (leggi il nostro articolo precedente). La piattaforma sindacale ha infatti messo l’accento sull’indicazione di tempi e modalità con le quali gli autisti hanno diritto a consumare i pasti durante gli orari di lavoro, prevedendo anche l’erogazione del buono pasto. Il diritto alla disconnessione, già riconosciuto per i riders e lo smart working, è stato esteso a tutto il personale, compreso quello impiegato su lunghe tratte che acquisisce il diritto a disconnettersi durante le pause e il riposo lungo. Inserita la clausola sociale in caso di acquisizioni o cambiamenti di gestione a protezione del personale dipendente, mentre sono state normate alcune figure professionali nuove che vanno dal responsabile ICT al logistics engineer fino allo specialista nella sicurezza della logistica per adeguare il comparto alle nuove tecnologie.
Entrerà nel contratto anche la parità di genere, maggiore attenzione alle condizioni climatiche in cui alcune attività vengono svolte, mentre sono stati regolamentate le franchigie in caso di danni al mezzo. Discussa anche l’IPA come elemento di congiunzione tra la parte economica e normativa per il riconoscimento di alcune professionalità specifiche legate alle filiere. In questo caso, l’incremento economico per il personale viaggiante va da 150 euro al mese per gli autisti con qualifica 3 fino a 50 euro per i riders.
Il tema di oggi è particolarmente stuzzicante, perché riguarda una questione di cui si parla da anni, ovvero se il mestiere di conducente di mezzi pesanti debba entrare a pieno titolo – come noi crediamo – tra i lavori che causano stress eccessivo, con tutte le conseguenze del caso. La sentenza di cui ci occupiamo non riguarda espressamente un autotrasportatore, ma per similitudine potrebbe aprire nuovi interessanti scenari sull’argomento.
IL FATTO
Il caso riguarda un medico napoletano che ha iniziato dal 2008 ad operare all’interno del reparto di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale Maresca di Torre del Greco (ASL Napoli 3 Sud). Il dottore in questione ha lavorato per ben 15 anni con orari oltre ogni limite contrattuale, a causa della mancanza di personale che lo ha costretto a coprire turni ben superiori alle 48 ore settimanali previste. L’intensità e la durata dei turni hanno generato nel medico una condizione di ‘burnout’, ossia un esaurimento fisico e psicologico che ha compromesso il suo stato di salute. Per questo motivo il sanitario aveva chiesto un risarcimento con vari tentativi, fino ad arrivare in Tribunale per vedersi riconosciuta l’indennità per il danno psicofisico subito. Ma in primo grado la sua richiesta era stata respinta. Il medico aveva allora deciso di ricorrere in secondo grado e qui la Corte d’Appello di Napoli gli ha dato ragione. Vediamo come.
LA DECISIONE
La Corte ha rilevato come le condizioni di lavoro del medico abbiano violato le normative europee e italiane sul riposo e sull’orario di lavoro (vi ricorda qualcosa?). Secondo la direttiva UE 2003/88, come sappiamo, ogni lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni giorno (art. 3) e a un periodo di riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive (art. 5). Nel caso specifico, questi diritti erano stati ripetutamente disattesi: il medico spesso era stato costretto a lavorare di notte, superando le 8 ore notturne permesse senza poter beneficiare delle pause di riposo previste.
Inoltre – dice il giudice – a rafforzare questo principio, l’art. 36 Cost. tutela il diritto dei lavoratori al riposo, considerato elemento essenziale e giuridicamente protetto. La Corte ha quindi riconosciuto che le condizioni di lavoro imposte violavano il diritto al riposo, legittimando così il risarcimento per i danni psicofisici subiti.
Ci si potrebbe chiedere: ma tale sovraccarico di lavoro non viene compensato economicamente dal pagamento degli straordinari (regolarmente effettuato)? Secondo la Corte no, perché i turni estenuanti e la mancanza di riposo hanno inciso profondamente sulla salute fisica e mentale del soggetto. Lo stress cronico ha portato cioè a un deterioramento progressivo della condizione psicofisica, tanto che i legali del ricorrente hanno appunto presentato una richiesta di risarcimento per quello specifico danno.
La Corte ha infine stabilito che la responsabilità di questa situazione ricade sull’ASL Napoli 3 Sud, che non ha assicurato una gestione adeguata del personale e delle risorse per garantire il rispetto dei diritti fondamentali del lavoratore.
LE CONSEGUENZE
Gli esiti sono stati piuttosto pesanti per l’ospedale. La Corte d’appello ha infatti condannato l’Asl a pagare 100 mila euro per violazione delle direttive UE sulle prescrizioni minime di salute.
Ovviamente la struttura sanitaria ha la facoltà di presentare ricorso in Cassazione entro la fine dell’anno, ma per il momento la sentenza ha già stabilito un importante precedente nel diritto del lavoro italiano.
Se confermata, infatti, questa decisione potrebbe aprire la strada a un maggiore rispetto delle normative sul riposo e sulla salute e diventare così un punto di riferimento per altri lavoratori esposti a situazioni di stress prolungato e sovraccarico di lavoro, come appunto potrebbero essere i conducenti di mezzi pesanti quando utilizzati e ‘spremuti’ per troppe ore.
Inoltre, il riconoscimento del risarcimento per danno psicofisico causato dallo stress potrebbe incentivare altri lavoratori – anche di settori differenti – a intraprendere azioni legali per difendere i propri diritti alla salute e al riposo.
Enormi scatole che viaggiano da sole in autostrada: un nastro trasportatore tra Tokyo e Osaka in grado di rimpiazzare ogni giorno il lavoro di 25.000 autisti di camion. Ecco la risposta del Giappone alla carenza di conducenti e alla crescita (inarrestabile) della domanda di logistica.
Pochi autisti e molta domanda
Il paese del Sol Levante da anni si trova a gestire il problema dell’invecchiamento della popolazione che non risparmia il trasporto delle merci, a queste difficoltà si aggiunge la disaffezione dei giovani per la professione, dovuta alla durezza delle condizioni di lavoro che rende molto difficile il ricambio generazionale. E come se non bastasse, a partire da gennaio 2024 è entrato in vigore lo stop agli straordinari del personale viaggiante che ha drasticamente ridotto la flessibilità del trasporto su strada (che copre quasi il 90% della domanda) e la capacità di consegna. D’altra parte, la domanda è in crescita, trainata essenzialmente dagli acquisti online, esplosi dopo la pandemia anche in Giappone, tanto che ormai sono diventati un’abitudine per più del 60% delle famiglie.
Un corridoio dedicato alle merci
Così il Governo, anche sulla scia dei primi Shinkansen, ovvero treni superveloci senza conducenti progettati per entrare in funzione nei prossimi anni, ha avviato un progetto chiamato “strada del nastro trasportatore”: un corridoio automatizzato in grado di trasportare enormi scatole che viaggiano autonomamente tra Tokyo e Osaka.
Il progetto, per il quale ancora non si conoscono i costi, ma che dovrebbe muovere i primi passi entro il 2027 per entrare a pieno regime nel 2030, è raccontato in un video nel quale si vedono i contenitori con ruote che si muovono lungo un corridoio a tre corsie, chiamato anche “auto flow road”, al centro di un’autostrada.
Il sistema automatizzato, in grado di funzionare ininterrottamente notte e giorno, è pensato per rendere indipendente la logistica del problema della carenza degli autisti, ma viene incontro anche alla questione ambientale, in quanto è in grado di ridurre notevolmente le emissioni di carbonio.
Quando il progetto sarà a regime, il carico sarà automatizzato, utilizzando carrelli elevatori, gli itinerari saranno coordinati con porti, scali ferroviari e aeroporti, mentre le consegne dell’ultimo miglio saranno comunque affidate ad autisti “umani”, seppure in futuro potrebbero essere utilizzati anche qui veicoli driverless.
Via libera al sostegno per l’intermodalità marittima nel 2025. Un decreto firmato da Donato Liguori, Direttore generale della Direzione per l’intermodalità e la logistica del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti detta le modalità operative per l’accesso agli incentivi previsti per il 2025, ovvero 20.129.000 euro per la seconda annualità, a favore delle imprese di autotrasporto iscritte al Ren, anche organizzate in raggruppamenti di aziende.
Così le domande
Scatta dal 6 novembre alle 12 fino al 5 dicembre alla stessa ora la possibilità di accedere alla piattaforma online presente sul sito di Ram Spa per presentare le domande di accesso ai contributi destinati a sostenere l’utilizzo di servizi marittimi Ro-Ro e Ro-Pax in arrivo o in partenza da porti italiani verso porti situati in Italia o negli Stati Ue o See effettuati tra il 6 dicembre 2024 e il 5 dicembre 2025.
Così i contributi
Il procedimento di ammissione delle domande si articola in due fasi. In primis l’accesso utile a Ram per la stima dell’importo astrattamente spettante ai richiedenti sulla sola base del piano previsionale di imbarco di veicoli per il periodo di incentivazione. Successivamente sarà possibile effettuare la rendicontazione degli imbarchi, nel corso della quale i soggetti beneficiari hanno l’onere di fornire i dettagli dei viaggi effettuati. Con un altro decreto ministeriale saranno stabilità i termini e le modalità di rendicontazione, oltre a ulteriori dati utili che i beneficiari dovranno fornire per monitorare gli effetti della misura a fini statistici.
Per mantenere la competitività dell’industria europea e garantire che le tecnologie sostenibili per i trasporti siano prodotte nel continente (e non in Cina), saranno necessari 39 miliardi di euro di fondi pubblici l’anno fino al 2030. Lo scenario emerge da uno studio di Transport & Environment (T&E), un’organizzazione indipendente europea per la decarbonizzazione dei trasporti, che ha quantificato il fabbisogno di investimenti, pubblici e privati, necessari a livello europeo per traghettare i settori critici dei trasporti (aereo e marittimo, auto elettriche, autobus e camion, batterie e stazioni di ricarica) verso l’obiettivo delle zero emissioni nette al 2050. Il dossier consiglia alla nuova Commissione di ridimensionare la spesa per infrastrutture tradizionali – come l’ampliamento di strade e aeroporti – a favore di maggiori investimenti per le infrastrutture energetiche come reti elettriche e punti di ricarica, fondamentali per la decarbonizzazione del trasporto su strada. Secondo lo studio, inoltre, il sostegno pubblico al leasing sociale dei veicoli elettrici (EV), alla produzione di carburanti verdi e di batterie, nonché allo sviluppo di infrastrutture di ricarica, potrebbe attirare 271 miliardi di euro all’anno di investimenti privati, raggiungendo così 310 miliardi di euro/anno di investimenti a sostegno delle tecnologie verdi made in Europe al 2030. L’investimento totale (tra fondi pubblici e privati) necessario da oggi al 2040, quando la transizione sarà più avanzata, raggiunge i 7.600 miliardi di euro (507 miliardi di euro all’anno).
La maggior parte degli investimenti (87%) arriverà da investitori privati, incluse case automobilistiche e banche. Tuttavia, per le industrie più capital-intensive e le infrastrutture energetiche ci sarà bisogno del supporto pubblico: T&E stima siano necessari 39 miliardi di euro all’anno fino al 2030 per avviare o consolidare la produzione di green tech, di cui 6 dovrebbero sostenere la produzione di camion e bus green, mentre ne servirebbero 8 per lo sviluppo delle batterie e uno per ampliare la rete di colonnine.
Secondo il rapporto, è necessaria la creazione del Fondo europeo per le batterie – con uno stanziamento complessivo da 25 miliardi di euro fino al 2030, capace di stimolare investimenti privati per ulteriori 42 miliardi di euro con l’obiettivo di sostenere la produzione europea, attualmente troppo fragile in confronto all’industria cinese. Lo stanziamento di finanziamenti pubblici permetterebbe di attivare economie di scala nella produzione locale di batterie, di accedere a materie prime critiche e di attuare strategie di de-risking degli investimenti in componenti cruciali, come i catodi.
Serve, inoltre, un aiuto dei governi per dare spinta all’uso di carburanti sintetici (e-fuel) per decarbonizzare aerei e navi che attualmente rimangono troppo costosi e ancora nelle fasi iniziali di sviluppo. Mentre gli investimenti pubblici devono mirare a modernizzare le infrastrutture energetiche europee, non nuove strade. T&E chiede ai governi di raddoppiare gli attuali investimenti sulle reti che, dagli attuali 36 miliardi di euro/anno, dovrebbero raggiungere i 67 miliardi di euro all’anno al 2050. Per destinare tali volumi di risorse pubbliche al miglioramento delle reti, bisognerebbe dimezzare l’attuale spesa di 61 miliardi l’anno che i governi europei destinano alla costruzione di nuove strade, spostando 31 miliardi di euro all’anno verso l’espansione e il miglioramento delle reti.
Niente da fare per la revisione della Direttiva UE sul peso e le dimensioni dei mezzi pesanti (cd. Direttiva Gigaliners). Il viceministro dei trasporti ungherese, Nándor Csepreghy, ha infatti dichiarato che la presidenza magiara del Consiglio UE non riuscirà, entro la fine del suo mandato, a completare il dossier. La motivazione è, secondo il Paese balcanico, che «gli Stati membri non sembrano pronti a raggiungere un accordo entro il 2024».
La presidenza ungherese ha poi aggiunto che presenterà certamente il dossier al gruppo di lavoro del Consiglio entro fine anno, ma che sarà la Polonia – che assumerà la presidenza del Consiglio stesso nel gennaio 2025 – a riprendere il tema e a portarlo sperabilmente a conclusione.
La Direttiva ha finora subito un iter molto travagliato. L’Unione europea non era riuscita a concludere l’accordo entro la fine del 2023, poiché la commissione TRAN del Parlamento europeo a inizio settembre avrebbe dovuto votare il mandato per iniziare i negoziati interistituzionali, ma il voto era stato rimandato.
Quanto al Consiglio UE, il tema viene analizzato parallelamente alla revisione della Direttiva sul trasporto combinato, in modo da assicurare una lettura unica dei due dossier. Nonostante gli sforzi della presidenza belga (gennaio – giugno 2024) anche in questo caso non è stato possibile raggiungere un accordo. A giugno 2024 è stato quindi presentato un progress report, sulla base del quale la presidenza ungherese (luglio – dicembre 2024) ha poi ripreso le discussioni. Ma pure qui, come abbiamo visto, il provvedimento di revisione si è incagliato.
Si gioca tutto sulle dimensioni e sulla forza contrattuale l’equilibrio delle attese. Se in Italia crescono fino al paradosso di un camion fermo in media 5,14 ore al giorno raccontato nella prima uscita dei 100 numeri tech, la ragione, secondo Alessando Peron, segretario generale di Fiap, è da ricercare nella struttura del settore con «la maggior parte delle aziende di piccole dimensioni e per questo non in grado a far valere la propria forza». Soluzione? Aggregazione e cultura di filiera che vuol dire anche impegno della committenza per fluidificare i flussi e rispetto per gli autisti come professionisti del trasporto.
Crescono le ore di attesa per l’autotrasporto. Che cosa si può fare?
La media di oltre 5 ore al giorno che un camion sta fermo in attesa è un dato che mette a nudo quello che Fiap sta dicendo da anni. Io mi chiedo: perché questo non succede all’estero, in Francia o in Germania? Vuol sapere perché? Non perché ci sono delle norme che lo impediscono, ma perché ci sono imprenditori che non lascerebbero mai un camion fermo ad aspettare con un costo che varia tra i 55 e i 60 euro all’ora. Da noi succede perché la maggior parte delle aziende è di piccole dimensioni e non è in grado a far valere la propria forza. Intendiamoci, abbiamo bisogno di piccole e medie realtà che rendono questo settore flessibile e competitivo, ma se la maggior parte ha dimensioni ridotte rischiamo che diventi l’anello fragile del sistema che ha bisogno di accettare qualunque condizione pur di restare a galla. L’idea che l’autotrasporto debba essere artigianale collima poco con le sfide globali che il settore si trova ad affrontare.
In altri paesi ci sono imprenditori che non lascerebbero mai un camion fermo ad aspettare con un costo che varia tra i 55 e i 60 euro all’ora. Da noi succede perché la maggior parte delle aziende è di piccole dimensioni e non è in grado a far valere la propria forza
Allora che cosa possono fare le aziende?
Noi diciamo che i piccoli devono aggregarsi o entrare in organizzazioni più strutturate che diano loro la forza per imporsi con la committenza. Chi può crescere deve farlo, gli altri, i padroncini più piccoli, possiamo aiutarli a trasformarsi in autisti dipendenti in grado di avere una condizione economica anche più vantaggiosa di quella attuale. Oggi le microaziende sono asfissiate da costi che aumentano e da un mercato in trasformazione. La Fiap sarà anche al loro fianco in questo processo.
Parliamo della committenza. Non crede che debba fare la propria parte per snellire i flussi?
La committenza è preoccupata dalla mancanza di autisti, ma sappiamo che spesso è difficile mandare conducenti in determinati Ce.Di. perché si attende troppo. Allora io dico: cambiamo approccio. Perché un supermercato sta aperto più di 12 ore al giorno, domenica e festivi inclusi e un Ce.Di. no? Oppure un camion deve stare fermo 6 ore? Proviamo a chiudere per 6 ore un punto vendita e vediamo che cosa succede? A parte le provocazioni, sicuramente la mancanza di efficienza va ad impattare sulla sostenibilità del sistema con ricadute sociali, ambientali ed economiche. In generale, la GDO è attenta alla sostenibilità, ma dovrebbero includere anche questi aspetti con un’organizzazione più efficiente dei Centri di distribuzione, dei magazzini, ma anche pensando a zone idonee per il ricevimento degli autisti. Dobbiamo restituire dignità a chi lavora per spostare le merci che un committente gli ha affidato. Per assurdo cinquant’anni fa c’era una cultura di filiera, gli autisti venivano accolti con cura nei magazzini, oggi c’è solo la cultura del prezzo, più basso, ovviamente.
Perché un supermercato sta aperto più di 12 ore al giorno, domenica e festivi inclusi e un Ce.Di. no? Oppure un camion deve stare fermo 6 ore? Proviamo a chiudere per 6 ore un punto vendita e vediamo che cosa succede?
A proposito di prezzo, stiamo notando che molti stanno internalizzando la logistica. Anche questo per risparmiare?
C’è un certo timore che i costi possano aumentare e che, anche complice la corresponsabilità, riportare all’interno dei processi possa essere vantaggioso. Ma non è sempre così. Bisogna smettere di acquistare il trasporto con tender che mirano solo al prezzo più basso e non alla qualità. Se il trasporto è diventato strategico per l’economia, occorre dimostrarlo anche negli acquisti.
Siamo alla vigilia del rush finale per il rinnovo del contratto nazionale dell’autotrasporto e logistica. Quale sarà l’impatto per le aziende?
Ci sono tutti i presupposti per fare un buon lavoro, ma occorre accelerare anche per le aziende stesse. Per dare la possibilità agli imprenditori di rinegoziare i contratti alla luce del nuovo costo del lavoro. Ecco perché sarebbe utile chiudere entro novembre. In fin dei conti, al di là delle prassi un po’ vetuste, gli argomenti sono condivisibile e le richieste non irraggiungibili.
1934-2024: quest’anno, per la precisione in occasione delle feste natalizie, Giezendanner Transport raggiunge i 90 anni di vita. Un traguardo importante che merita di essere festeggiato in modo adeguato. Non a caso, la società elvetica, presente nel 2021 in Italia (con insediamenti a Ravenna e ad Albiolo, Como) sotto le cure del Country Manager Simon Valvassori – promosso nel frattempo a Sales manager Europa – ed entrata all’interno del gruppo Federtrasporti nel 2022, proprio nei giorni scorsi ha messo a segno un’operazione immobiliare che ha tutta l’aria di voler essere una sorta di ciliegina sulla torta. Il gruppo amministrato da Benjamin Giezendanner, infatti, ha rilevato 25 mila metri quadrati dell’area Benteler, aRothrist, nel cantone di Aargau. Esattamente nello stesso contesto in cui si trova il quartier generale dell’azienda. Stiamo parlando di un terreno esteso complessivamente per 82 mila metri quadri e dove fino alla primavera 2023 era insediato un gruppo austriaco (Benteler, appunto) che qui produceva tubi per l’industria e per il settore automotive. Quando ha deciso di trasferirsi altrove ha proposto l’immobile alla Schöni Transport, altra importante realtà del settore insediata a Rothrist che, essendo molto vicina alla sua azienda, ha ben pensato di rilevarla senza avere comunque un bisogno immediato di quello spazio.
Prova ne sia che, tempo qualche mese, Daniel Schöni e Benjamin Giezendanner, amministratori delle due imprese che di fatto sono anche le due principali aziende della cittadina svizzera, hanno trovato un accordo con cui il primo trasferisce all’altro circa un terzo della proprietà.
Possibili prospettive
In casa Giezendanner l’acquisto arriva in un momento propizio. Non soltanto perché coincide temporalmente con i festeggiamenti ricordati, ma anche perché in quello stesso contesto il trasportatore intermodale svizzero gestisce un vivace terminal ferroviario esteso per ulteriori 25 mila metri quadri. E in più dispone di un piazzale di circa 10 mila metri quadri per lo stoccaggio e la movimentazione di merci. Poter quindi allargare queste realtà sarebbe già una modalità per rendere produttiva l’area acquisita, anche se al momento attuale la proprietà non ha ancora chiarito nel dettaglio le ragioni dell’acquisto.
I numeri del 2023
Ciò che è certo che in un contesto europeo in cui il trasporto intermodale sta rallentando per varie ragioni, Giezendanner riesce a tenere un proprio ritmo costante un po’ perché può beneficiare della tenuta del mercato domestico, un po’ perché nel corso degli ultimi anni ha molto investito nell’acquisizione di diverse aziende, come la Lehnherr nel 2022 e la Ernst Autotransport nel 2023. E di conseguenza ha allargato il suo perimetro operativo.
È comunque la stessa società a fornire una rappresentazione numerica delle sue performance specificando che, anche grazie ai partner Hupac e Kombiverkehr (associazione in cui è socia la stessa Giezendanner), ha movimentato su rotaia 278.719 tonnellate complessive di merce, evitando in questo modo di immettere nell’atmosfera la bellezza di 11.660 tonnellate di CO2. Per la precisione sono stati più di 10 mila i trasporti che Giezendanner ha trasferito dalla strada all’intermodale.