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A colloquio con la viceministra al MIMS delegata all’autotrasporto. La strategia delle regole condivise

Qualcuno l’ha interpretato come un metodo di aggiramento dei problemi. Qualcun altro lo legge come una strategia politica che, invece di imporre dall’alto le scelte, persegue una condivisione dal basso il più possibile allargata. Rimane il fatto che l’istituzione dei Tavoli di confronto in cui fissare le regole per ristrutturare l’autotrasporto è diventato forse il tratto distintivo peculiare della politica adottata dalla viceministra Teresa Bellanova da quando, poco più di un anno fa (fine aprile 2021) ha ricevuto la delega per il governo del settore. Un tempo utile per tracciare un bilancio di un’esperienza resa ancora più complicata prima dalla pandemia e poi dalla crisi ucraina. Come l’ha vissuto la diretta interessata e soprattutto perché i tavoli sono così importanti?

«Il nostro fine – risponde Bellanova – è quello di cercare di rendere più competitivo il settore. E a tale scopo gli strumenti sono diversi. Innanzi tutto, per la sua efficienza sono determinanti la digitalizzazione e la tecnologia. Così come è fondamentale il ruolo della sostenibilità, non soltanto nella sua declinazione ambientale, ma anche in quella sociale ed economica. Aver messo in piedi il tavolo e presiederlo personalmente come faccio, per me significa garantire queste valenze. Significa dire, cioè, che ci sono grandi margini di spazio per rilanciare il settore e per valorizzare il ruolo delle persone occupate al suo interno. Ma per farlo non servono soltanto gli interventi normativi e quelli finanziari – che comunque sono fondamentali – ma bisogna anche far mente locale sul fatto che l’autotrasporto è stato in grado di muoversi sottoscrivendo dei protocolli. È un fatto importante, perché firmare un protocollo, così come abbiamo fatto nel marzo di quest’anno, è sintomatico della disponibilità e della capacità della filiera nel suo insieme di darsi regole condivise. E non è un caso che proprio grazie a quel protocollo siamo riusciti ad avere due decreti a marzo che stanziano risorse importanti a favore del settore. Su questo dobbiamo continuare a lavorare, perché ci sono tanti temi venuti fuori dal confronto, come la clausola sull’adeguamento del corrispettivo al variare del costo del carburante. Noi sappiamo cosa abbia significato l’aumento del costo del carburante nell’ultimo anno e quindi aver assunto questo tema come una delle questioni a cui fornire risposta, l’aver condiviso che per il trasporto merci conto terzi devono essere prese a riferimento anche per i contratti non scritti i valori indicativi dei costi di esercizio pubblicati da questo ministero, è un elemento che considero non solo di soddisfazione per i diretti interessati, ma un frutto del confronto portato avanti tra istituzioni e mondo dell’impresa e del lavoro. E quindi, ripeto, dell’intera filiera.

Nel tavolo è venuto fuori un altro tema importante, quello delle attese al carico e allo scarico. In questo caso come pensate di operare e per ottenere quali risultati?
Io penso che quel lavoro iniziato debba continuare perché la questione del carico e scarico è un tema posto da tempo, ma che non ha trovato purtroppo soluzioni adeguate. Ecco perché io ho voluto non solo la convocazione del tavolo, ma anche l’allargamento del confronto – e questa è un’autentica innovazione – anche alla committenza. E le risposte devono arrivare assolutamente perché l’attesa è un elemento che incide ovviamente sul reddito e sulla qualità del lavoro, ma anche sulla qualità della prestazione e sull’attrattività del settore. E questo lo rende un tema di grandissima rilevanza su cui spero, in tempi rapidi, di riuscire a trovare un’intesa condivisa dell’intera filiera, in grado di fornire risposte di lunga durata e non soluzioni spot.

Un altro tema urgente che impatta sull’intera economia è quello della carenza di autisti. Perché è chiaro che se devo movimentare merci e non trovo un camion disponibile perché nessuno che lo guida, alla fine o non le muovo o le muovo in ritardo. Come si fa a far capire al di fuori del settore, che questo problema coinvolge tutti?
Lavorando e insistendo nel coinvolgere più voci. Lo dicevo prima: molti hanno scoperto l’importanza decisiva del settore con la pandemia oppure lo scoprono adesso quando sentono che i porti sono bloccati e c’è difficoltà a far arrivare le merci nei luoghi preposti. Ecco, noi dobbiamo portare al centro dell’attenzione proprio questo aspetto: la rilevanza strategica del comparto. Ma soprattutto dobbiamo far capire che alcuni lavori apparentemente umili presenti in questo settore, sono proprio quelli che mettono un paese in condizione di essere o meno competitivo e le persone in condizione di vivere o meno in modo normale. Se non ci fosse stato l’autotrasporto in funzione quando abbiamo dichiarato il lockdown in Italia, noi non avremmo avuto quel minimo di normalità che è stato garantito, invece, da una filiera fatta di cosiddetti lavori umili. I braccianti e le braccianti agricoli che raccolgono il prodotto, l’azienda di trasformazione con le sue lavoratrici, gli autisti e il settore autotrasporto che prendono quelle merci dai campi o dalle fabbriche e le fanno arrivare nei supermercati: noi, in un momento in cui nulla era più normale nella nostra vita, abbiamo potuto continuare ad avere momenti di normalità, senza modificare le nostre abitudini alimentari. Questo è ciò che dobbiamo far percepire e non solo quando c’è l’emergenza.
Rispetto agli autisti, per quantificare il fenomeno abbiamo fatto delle verifiche e appurato che ne mancano circa 18.000. Cosa abbiamo fatto per colmare questa lacuna? Anche qui non si tratta di fare spot; una volta capito il problema, ci si deve attrezzare per fornire soluzioni che non arrivano con la bacchetta magica. Siamo partiti con due interventi, destinando tramite due decreti successivi prima 3,7 milioni di euro e poi 5,4 milioni per ciascun anno dal 2023 al 2026. Risorse finalizzate ad abbattere i costi per acquisire le patenti e per rendere attrattivo per le persone, soprattutto i giovani, questo settore. Poi stiamo lavorando sulla CQC per dare la possibilità, anche a chi viene da un altro paese, di avere la qualificazione e una formazione periodica. Inoltre, ci siamo impegnati per avere, nel tavolo specifico dedicato a questo tema, anche la presenza del ministero dell’Istruzione, perché è fondamentale far conoscere questo lavoro già nella fase dell’orientamento e all’interno delle scuole secondarie superiori, così da far percepire quanto sia importante operare all’interno di questo settore. E qui devo aggiungere che dobbiamo anche rendere attrattivo l’autotrasporto, determinando condizioni di qualità del lavoro e di reddito che possano essere di soddisfazione per i ragazzi e per le ragazze. E questo aspetto lo voglio sottolineare: non ci sono settori maschili. In questo settore se miglioriamo la qualità della prestazione, se riusciamo a creare condizioni di lavoro più accessibili a tutti, a chi si deve fare carico della prestazione lavorativa e conciliarla con la famiglia, noi possiamo acquisire nuove e belle competenze. È questa la sfida che ci siamo dati istituendo questo tavolo, anche questo permanente, che dovrà andare avanti e fornire soluzioni.

Ogni anno in Italia perdono la vita in media 200 camionisti sulle strade e quasi mai sono raccontate come morti sul lavoro. Un dato che va messo in relazione all’altro, che fissa l’età media del parco veicolare sopra le 3,5 tonnellate a 14 anni. Ora, non è detto che la tecnologia risolva tutti i problemi, però una mano la potrebbe dare. Se la battaglia di rinnovamento del parco si combattesse con argomenti e incentivi legati alla sicurezza ritiene che otterrebbe maggiori risultati?
Assolutamente sì. Noi dobbiamo credere nella ricerca e nell’innovazione e in questo modo possiamo creare maggiore sicurezza. La sostenibilità va benissimo, ma deve essere – come dicevo prima – anche sociale ed economica. Noi siamo in una fase di transizione. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza utilizza questo termine: «transizione». Ciò significa che la sostenibilità viene raggiunta quando mettiamo tutti nella condizione di continuare a fornire la propria prestazione e di non essere sbattuti fuori dal mondo del lavoro o dalla competizione. Cosa voglio dire? Noi abbiamo destinato risorse importanti per il cambio del parco veicolare e se non saranno sufficienti bisognerà farsene carico nuovamente, perché dobbiamo portare le imprese a innovare. Perché – come lei dice giustamente – i mezzi in circolazione sono vetusti. E siccome questa condizione nuoce all’autista che conduce il mezzo, ma anche a tutti gli utenti della strada, facendo quell’investimento noi stiamo migliorando allo stesso tempo la qualità del settore e la qualità di vita dei cittadini. Di conseguenza questo tipo di risorse sono ben spese. Penso, per esempio, ai 75 milioni stanziati negli anni dal 2022 al 2024 o ai 100 milioni contenuti in interventi precedenti sempre per la sostituzione di veicoli obsoleti. Dobbiamo continuare e su questo insisto: se sarà necessario reperire ulteriori risorse, il settore troverà qui una persona disponibile e impegnata a lavorare per ottenere il risultato.

Un’ultima domanda. Nel mercato dell’autotrasporto, popolato da piccole e deboli aziende, si insinua da sempre un’intermediazione parassitaria. In Italia esiste un vincolo per limitare la subvezione a un solo passaggio, ma è poco rispettato, anche perché non sanzionato. L’Europa adesso fissa il principio per cui ci deve essere una proporzione tra veicoli e autisti in disponibilità dell’azienda e il fatturato che genera. Come andrebbe tradotto politicamente questo principio?
Io ho ben chiaro di come, qui come in altri settori, la concorrenza sleale, l’intermediazione parassitaria, il dumping sociale, lo sfruttamento – se vogliamo chiamare le cose con il loro nome – avvelenino i rapporti all’interno della filiera. E di certo non contribuiscono a creare un’immagine positiva del settore. Siccome io ritengo che la reputazione sia un elemento chiave, se vogliamo rendere attrattivo questo settore per le nuove generazioni – cosa quanto mai necessaria vista la generale tendenza all’invecchiamento degli addetti – dobbiamo creare le condizioni affinché non ci siano morti sul lavoro (seppure non vengano catalogati come tali), affinché tutti possano viaggiare su veicoli maggiormente sicuri e fare in modo che ci sia una concorrenza leale, perché quella sleale rischia di mandare fuori mercato le imprese che rispettano le regole, grandi o piccole che siano. Io credo che all’interno del settore si siano già fatti passi importanti: negli ultimi anni ci sono stati accorpamenti e c’è stato un riposizionamento anche delle imprese più grandi. Quelle più piccole hanno perso magari il rapporto diretto con la committenza, ma se i rapporti di filiera sono corretti possono comunque concorrere a migliorare le condizioni del settore. Per fare questo abbiamo pensato di istituire un luogo di confronto proprio sulle regole e sulle politiche di settore. Perché la sfida delle sfide è proprio questa: garantire sicurezza. E io ritengo che garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro sia un tratto di civiltà di un paese democratico e per ottenere tale risultato bisogna produrre ogni sforzo possibile.

La viceministra è intervenuta lo scorso 13 maggio, tramite video, alla presentazione dei «100 Numeri per capire l’autotrasporto. Storie in movimento» avvenuta nella cornice del Transpotec Logitec in fiera a Milano.

Presentata la terza edizione di «100 numeri per capire l’autotrasporto». Il doppio riflesso di un settore allo specchio

La terza edizione del volume «100 numeri per capire l’autotrasporto. Storie in movimento», edito Federservice – Uomini e Trasporti, è stata presentata lo scorso 13 maggio nella cornice di Transpotec Logitec. Il libro è un ritratto in cifre dell’autotrasporto in cui, attraverso lo studio dei dati statistici, viene messo a fuoco un settore dai molteplici volti e in continua evoluzione: da un lato, sempre più maturo ed evoluto dal punto di vista tecnologico, in grado di assecondare processi vorticosi come quello del commercio elettronico; dall’altro, un settore che continua a essere caratterizzato da un parco veicolare tra i più vecchi d’Europa (14 anni è l’età media dei veicoli industriali al di sopra delle 3,5 t di portata), un’età media sempre più elevata (51,6 è la media di età delle patenti C attive nel 2021, in aumento di 0,66 anni rispetto al 2019) e da imprese di piccole dimensioni, nonostante i numeri indichino come oggi sia in corso un consolidamento organizzativo e strutturale del comparto, evidenziato dal crescente spazio occupato dalle società di capitali che crescono in cinque anni del +22,7%. Proprio quest’ultimo dato è stato confermato da Francesco Florio, Responsabile Mercato, Imprese e PA InfoCamere che, intervenuto nel corso della presentazione, ha sottolineato come «nel primo trimestre del 2022 si assiste a un ulteriore lieve calo delle imprese individuali e la loro progressiva trasformazione in realtà più strutturate, come società di capitali e di persone. Un trend confermato anche dalla contrazione degli addetti familiari, controbilanciata dall’aumento degli addetti con contratti subordinati, mentre aumentano fenomeni quali fusioni, acquisizioni e incorporazioni. Sintomo – ha spiegato Florio – della forte pressione esercitata sul mondo dei trasporti, soprattutto nell’era pandemica, che spinge le aziende più strutturate in grado di dialogare con la committenza a inglobare le società più piccole, così come avviene già in altri settori».

Una normativa da diversificare

Un fenomeno che però richiede un necessario ripensamento del settore anche dal punto di vista normativo. «Ci troviamo di fronte a un fenomeno partito da lontano – ha spiegato Massimo Campailla, Professore di Diritto dei Trasporti e della Logistica presso l’Università degli Studi di Ferrara – ma che sta arrivando a un punto d’accordo. Fino a pochi anni fa lo scenario era dell’85% del mercato dell’autotrasporto rappresentato da imprese composte da 1 a 6 veicoli. Da questa realtà ci siamo spostati nella direzione descritta nel volume. Oltre alla massa delle imprese sembrerebbe in crescita anche il livello di professionalizzazione e di capacità di stare sul mercato, elemento fondamentale per mettere le imprese nelle condizioni di padroneggiare quello che è il sempre più complesso controllo normativo nel mondo del trasporto. Oggi, però, serve iniziare a ragionare sul fatto che le regole che disciplinano questi aspetti potrebbero essere diverse. Sarà compito della politica e degli organi rappresentativi immaginare un contesto che risponda dal punto di vista del quadro regolatore alle esigenze delle diverse tipologie di società, così che anche il mondo dell’autotrasporto possa andare incontro al futuro, già attuato in altri settori, tutelando due mondi che non sono antitetici, ma devono essere sinergici, soprattutto in questo momento storico».

La dignità garantita dall’aggregazione

L’esigenza da parte delle imprese di aggregarsi sarebbe inoltre giustificata secondo Claudio Villa, Presidente del Gruppo Federtrasporti, dalla necessità di non accontentarsi, ma di ambire a qualcosa di meglio, occupando spazi e cogliendo nuove opportunità che si creano oggi, così come si sono create in passato. «Una cultura consortile e cooperativistica – ha spiegato Villa – garantisce ai suoi associati la dignità, dal momento che una struttura aggregata e organizzata riesce a colloquiare alla pari con la committenza, ma anche con le imprese multinazionali e con il mondo politico e sindacale ai massimi livelli». Prendendo come esempio Federtrasporti, Villa ha sottolineato come «negli anni si sia voluto far crescere i propri uomini e le proprie donne istituendo corsi formativi per la crescita, la formazione e l’informazione degli operatori. Un’attività non fine a sé stessa, ma mirata a migliorare la condizione dell’intera categoria degli autotrasportatori».

Una committenza da responsabilizzare

Tema, quello della dignità, ripreso anche da Massimo Marciani, Presidente del Freight Leaders Council, che ha enfatizzato come «l’autotrasporto svolge un servizio per la committenza, la quale negli anni ha però agito per i suoi interessi, portando all’attuale situazione di balcanizzazione del settore. Ad oggi la logistica è infatti considerata ancora un costo da minimizzare e non come una leva di marketing fondamentale per le aziende, come insegna invece il mondo dell’eCommerce in cui la logistica diviene motivo per cui un cliente sceglie una piattaforma invece di un’altra». Che cosa fare dunque per ristabilire gli equilibri? «In primo luogo – ha proseguito Marciani – occorre che la committenza si faccia carico della consegna, preoccupandosi anche di quanto accade tra i subvettori. Altresì, per creare un vero ecosistema, anche i contratti devono essere prolungati, così da garantire agli imprenditori la possibilità di compiere investimenti in varie direzioni come, per esempio, l’acquisto di nuovi veicoli».

Veicoli accessoriati per attirare autisti

Quest’ultimo punto – vale a dire dotarsi di camion più sicuri e confortevoli – si rivela inoltre essere per Paolo A. Starace, Amministratore delegato di DAF Veicoli Industriali, una leva in grado di attirare e mantenere gli autisti, la cui carenza oggi raggiunge – secondo i calcoli della stessa viceministra Teresa Bellanova, intervenuta in video – le 18mila unità.  «Alcune flotte – ha spiegato Starace – hanno fatto una scelta per noi sorprendente, optando per i veicoli più grandi e accessoriati proprio per queste ragioni. Inoltre, in questi ultimi anni siamo stati chiamati a produrre e sviluppare non solo veicoli, ma anche servizi in grado di rispondere al cosiddetto Uptime e alla necessità di non far mai fermare il veicolo».
Un’esigenza che risulta quasi compensativa dei lunghi tempi di attesa al carico e scarico delle merci che, come evidenziato nel volume, raggiungono in media le 4 ore e 35 minuti. Ore di improduttività che impediscono di generare profitti del settore per circa 3 miliardi all’anno, «oltre che danneggiare l’intera economia sotto il profilo della competitività a livello internazionale», ha ricordato Massimo Campailla sottolineando la necessità di «prendere spunto da altri Paesi europei come Spagna e Portogallo che si sono dotati di leggi in cui si prevede che i caricatori debbano comunicare lo slot in cui il camion verrà recepito con un certo anticipo rispetto alla presentazione del camion stesso. Superata la soglia di franchigia, scattano non soltanto indennizzi, ma vere e proprie pesanti sanzioni in capo a chi non è stato in grado di organizzare il processo e che quindi crea un danno non soltanto per l’autotrasporto, ma per l’intero sistema».

Oltre che dal punto di vista economico, il problema è però insostenibile anche dal punto di vista sociale, considerando le importanti ricadute sullo stress e sullo stato di salute psico fisico complessivo del trasportatore, derivante sia dai tempi morti che dall’ansia di dover recuperare e riallinearsi alla tabella di marcia. Per questo motivo, Claudio Villa ha lanciato la proposta di «rinunciare all’1 o al 2% della tariffa, pari a un contributo rispettivamente di 450 milioni e 900 milioni calcolato sui 45 miliardi di fatturato del settore, per garantire slot più ampi per il carico e lo scarico delle merci».
Anche la digitalizzazione potrebbe correre in soccorso in tal senso, «anche se – ha concluso Massimo Marciani – non rappresenta la soluzione al problema. Occorre ripensare le procedure e i processi per garantirne l’ottimizzazione e non far ricadere gli svantaggi sull’intera collettività».

Un hasthag di successo.
100 NUMERI PER CAPIRE L’AUTOTRASPORTO? LETTA!

Enrico Letta è stato il primo, quello che ha aperto le danze e ci ha indirettamente suggerito di inaugurare l’hasthag: #ancheioleggoi100numeri. A quel punto è stato un fiume in piena: nei giorni successivi alla presentazione la nostra mail e le nostre pagine social hanno ricevuto e ospitato foto di politici, rappresentanti di categoria, imprenditori o autisti che si sono fatti un selfie con il volume dalla copertina arancione. Tra gli altri, potete riconoscere il segretario generale di Fiap, Alessandro Peron, il presidente dell’associazione europea UETR, lo spagnolo Julio Villaescusa. Dopo il tam tam dei social nei giorni a seguire, ci sono arrivate le richieste di tanti trasportatori non presenti a Milano, ma desiderosi di ricevere una copia.

Intervista al presidente dell’albo degli autotrasportatori, Enrico Finocchi. Operazione regolarizzazione

Piccole imprese in calo, autisti introvabili, forse anche a causa degli eccessivi tempi di attesa. E poi l’intermediazione, celata molto spesso dietro quella marea di aziende iscritte all’Albo degli autotrasportatori seppure prive di veicoli e che quindi sarebbe opportuno cancellare, ma di fatto risulta in qualche modo complicato. Mai come in questa fase l’Albo degli autotrasportatori, quel registro professionale in cui sono conservate le informazioni di tutti coloro che in Italia sono attivi nel settore, ha il suo bel da fare per affrontare una serie di criticità destinate a modificarne pelle e assetto organizzativo. Lo si capisce chiaramente ascoltando il suo presidente, Enrico Finocchi, che su ogni questione stila un lungo elenco di iniziative. Tutte insieme però sembrano puntare su un obiettivo superiore, quello di rendere il «settore regolare – come sottolinea – di fare in modo che rispetti le regole e le faccia rispettare a tutti coloro con cui interagisce».

Partiamo dalla scomparsa delle piccole aziende: secondo i nostri calcoli ne sono sparite circa 31 mila in dieci di anni. È un dato positivo o negativo? Vale a dire va letto con soddisfazione, perché è il sintomo di un contenimento di quella polverizzazione da sempre considerata fattore di debolezza del settore, oppure è un trend preoccupante perché rimuove dal mercato un fondamentale elemento di flessibilità?

È vero, il trend esiste e da diversi anni. Credo però che vada guardato con favore, nel senso che in Italia abbiamo ancora quasi 100mila imprese e di queste 21mila sono padroncini e circa 32mila riguardano imprese fino a 5 veicoli. Quindi, ne abbiamo ancora un numero ragguardevole e quindi la flessibilità, che è la grande forza dell’autotrasporto, è ancora ben salvaguardata. Forse più che in altri paesi europei, come per esempio la Germania, dove c’è un numero di imprese che è meno della metà di quelle italiane. Ciò detto, seppure le imprese piccole e artigiane hanno fatto e fanno ancora la ricchezza dell’Italia, è anche vero che una struttura più grande fornisce alle aziende una forza maggiore. Perché l’autotrasportatore, spesso, è l’ultima ruota del carro e la sua debolezza consente ad altri di sfruttarlo e di farlo lavorare in maniera non corretta.

Cosa fa l’Albo per colmare la carenza di autisti?

Tante cose. Intanto, lanceremo molto presto una campagna di comunicazione che interesserà anche i social in modo massiccio e sarà diretta non solo agli operatori del settore, ma al pubblico generalista. Una campagna di comunicazione istituzionale finalizzata a far conoscere il settore e le sue potenzialità. In secondo luogo, per migliorare la qualità di vita degli autisti puntiamo a realizzare nuove aree di sosta, ulteriori a quelle costruite in passato. A tale scopo facciamo ricorso a fondi europei, attiviamo studi e, prossimamente, anche un bando, con fondi del Comitato centrale, per realizzare aree sicure e dotate dei servizi necessari. Inoltre, siccome il ministero ha stanziato fondi pubblici per la campagna giovani conducenti, il Comitato, insieme a una commissione creata appositamente, sta valutando come utilizzare tale contributo. Poi, stiamo lavorando col ministero dell’Istruzione e, probabilmente già dal prossimo anno scolastico, attiveremo borse di studio per i CPIA (Centri di istruzione professionale per adulti), dove chi sta prendendo il diploma potrebbe avere una borsa di studio, se nel contempo acquisisce anche la patente e la CQC. Nello stesso tempo stiamo cercando di semplificare la normativa europea sulle patenti e sulle qualificazioni, mentre, insieme alla direzione generale della motorizzazione, stiamo studiando la possibilità di modificare il codice della strada per consentire di guidare con la patente B i veicoli fino a 4,5 ton, cioè i veicoli per la distribuzione urbana elettrici, che stanno prendendo piede ma pesando più di 3,5 ton richiedono una patente superiore. Insomma, lavoriamo a tutto campo con interventi di breve periodo, legati a patenti e semplificazione, di medio periodo, espressi con incentivi e borse di studio, e di lungo periodo, mirati a realizzare aree di sosta.

Dalle aziende che scompaiono e quelle che si fatica a far scomparire. Parlo delle aziende senza veicoli per le quali un anno fa è stata lanciata un’operazione pulizia. A che punto è?

Premesso che il nostro obiettivo non è di fare pulizia, ma di regolarizzare l’iscrizione, devo riconoscere che il dato è inquietante. L’anno scorso a novembre le aziende senza veicoli erano più di 20 mila, a fine aprile ne gestiamo 18 mila. Sono tantissime, ma in realtà la normativa, anche europea, non ci aiuta, nel senso che per accedere al mercato basta avere un veicolo, a qualunque titolo lo si possegga. Quindi anche in noleggio. La mia idea, da concordare con le associazioni di categoria, è quella di registrare al CED della motorizzazione i contratti di noleggio, per avere almeno un elemento con data certa, un riscontro per distinguere chi agisce senza veicoli, da chi invece dispone ne ha in disponibilità tramite noleggio. Inoltre, fin dall’anno scorso abbiamo iniziato a verificare anche le imprese non iscritte alla Camera di Commercio. E ne abbiamo trovate una marea. Solo nel 2021 ne abbiamo cancellate 9.500 – delle quali circa 8.000 senza veicoli – per arrivare oggi a circa 10.000. Tra queste ci sono alcune aziende che avevano veicoli e li revisionava pure, ma le abbiamo cancellate perché abusive a tutti gli effetti. Di quelle senza veicoli abbiamo avviato una verifica a tappeto sulla regolarità della loro iscrizione all’albo e al registro elettronico nazionale, ma anche dei veicoli, del rapporto di lavoro degli autisti e così via. Ebbene, abbiamo attivato quasi 17.000 verifiche ed è risultato che circa 5.500 non esistono, nel senso che o sono fallite, in liquidazione oppure sospese, però risultano ancora iscritte e quindi le stiamo monitorando in attesa di cancellarle. Infine, un altro dato allarmante riguarda il fatto che delle 17.000 aziende verificate, quasi 6.000 non hanno implementato in maniera corretta il requisito di stabilimento, uno dei tre requisiti richiesti, insieme all’idoneità professionale e finanziaria, per esistere come impresa. Quindi, stiamo svolgendo le ultime verifiche insieme agli uffici della motorizzazione, in quanto titolari degli albi provinciali, e poi vedremo. Ripeto, il fine è di regolarizzarle, se ci non riusciamo le cancelleremo. E comunque, tra il 2022-2023 conto di verificare quasi tutte le imprese e spero di ottenere non una moria, ma una struttura migliore del settore.

Gli operatori si spostano sull’intermodale, ma l’offerta non regge la domanda. Il combinato scombinato

Il 19 dicembre del 2018 dalla stazione di Bologna si è mosso un treno particolare. Aveva a bordo un semirimorchio P400, un bestione alto 4 metri, il primo a percorrere l’intera linea ferroviaria adriatica fino a Bari per imbarcarsi poi verso Grecia e Turchia. A inaugurare il servizio era stata la società di trasporti greca Karassulis, la prima a cogliere l’occasione offerta dalla completa apertura del traforo ferroviario di Cattolica (ampliato e raddoppiato) la cui altezza ridotta aveva impedito fino a quel momento il transito dei giganteschi semirimorchi già diffusi in Europa e, dunque, frenato il flusso di merci su rotaia dai porti pugliesi al centro del continente.
Da quel giorno, in quattro anni l’opportunità è stata colta da molti altri trasportatori che si sono orientati decisamente verso il combinato strada-rotaia, soprattutto sulla linea adriatica, dove l’adeguamento del traforo di Cattolica ha fatto da contraltare a un traffico autostradale sempre più caotico per i lavori di ripristino di ponti e gallerie, i sequestri del guardrail ordinati dalla magistratura e i dirottamenti sulla statale già intasata di suo dal traffico intorno ai centri abitati.

I dati col contagocce

È quello che Giuseppe Acquaro, amministratore delegato di Terminali Italia definisce, con espressione immediata ed efficace, lo «sbottigliamento» della linea adriatica, che – come in un sistema di vasi comunicanti – ha riversato traffico merci su ferro anche su rotaie più lontane. La crescita della produzione della sua società nel 2021 rispetto al 2020 è stata del 21,7% e la movimentazione dell’impianto di Bari è salita del 29,3%, ma anche quelli di Parma e di Bologna hanno registrato un balzo rispettivamente del 38,6% e del 30,8% e perfino Segrate (Milano) è cresciuta di 21 punti percentuali. È un dato parziale, ma significativo, dal momento che Terminali Italia, società del Gruppo FS, gestisce i 12 terminal di Rete ferroviaria italiana (RFI) che movimentano il 40% del traffico: 30 mila treni intermodali l’anno su 75 mila.
D’altra parte, nel deserto dei Tartari delle statistiche italiane – dove tutti attendono il dato più recente, che non arriva mai – non è facile rivestire di numeri le sensazioni che gli operatori più sensibili al polso della situazione avvertono immediatamente. E quando il dato arriva, arriva in ritardo e con il contagocce. Il Conto nazionale dei trasporti assegnava nel 2018 al combinato strada-rotaia l’11% del traffico merci totale ed Eurostat faceva salire (nel 2017) la quota al 13,6%, ma limitatamente al trasporto terrestre (ancora assai poco rispetto al 30% auspicato da Bruxelles). Finché, a metà febbraio, il direttore commerciale di RFI, Christian Colaneri, partecipando un webinar di Fise Uniport, ha annunciato che nel 2021 si è registrata una crescita, in treni/km, del 21% rispetto al 2020 e dell’8% rispetto al 2020.

Oltre la pandemia

Prima della pandemia, cioè. Acquaro conferma: «Avevamo già iniziato a registrare un incremento a gennaio-febbraio 2020, fino a marzo. E durante i mesi di lockdown non c’è stata un’inversione, diciamo che la crescita si è fermata, ma non siamo mai tornati ai valori del 2019. Poi a partire da maggio 2020 i traffici hanno ricominciato ad aumentare. Il Covid in qualche modo ha solo frenato la crescita di Verona – limitata all’8,5% – perché lì si lavora molto per l’automotive e si concentrano i traffici con la Germania, entrambi particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia».
E il direttore dell’Interporto di Bologna, Sergio Crespi, intervistato da K44 risponde, il videocast di Uomini e Trasporti e di Trasporto Europa, ha addirittura segnalato una crescita proprio in piena pandemia: «Nel periodo gennaio-ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, abbiamo registrato un +23,9% di treni e un +10,6% di carri. Quindi, nonostante il periodo di difficoltà legata al Covid, a livello di trasporto ferroviario merci in Interporto, abbiamo numeri positivi e importanti».

I P400 e le linee TEN-T

In effetti, lo «sbottigliamento» della linea adriatica ha attirato nuovi player verso il combinato strada-rotaia. Ma lo sblocco del traforo di Cattolica è solo un momento – importante ma non unico – del fervore d’opere che si sta realizzando lungo lo Stivale sulla rete TEN-T, le principali direttrici di trasporto dell’Unione europea, sulle quali convergono fondi comunitari, nazionali e locali e adesso anche quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Basti pensare che il piano industriale del Gruppo FS 2022-2031 prevede un investimento di 2,5 miliardi solo per raddoppiare il volume delle merci trasportate da Mercitalia Logistics che costituiscono circa la metà dell’attuale traffico merci totale su rotaia.
Per capire meglio, però, bisogna partire dallo scenario europeo, su cui si gioca la partita. I corridoi europei che passano in Italia sono quattro e costituiscono, grosso modo, una specie di H con le due aste laterali formate dalle direttrici tirrenica e adriatica (anche se non tutta la seconda fa parte della rete TEN-T) e la barra trasversale attraverso la pianura padana. Rendere fluido il traffico attraverso queste linee in direzione del resto dell’Europa significa garantire all’Italia un ruolo rilevante nello scacchiere del commercio globale.
Ma perché questo si realizzi, l’operazione «sbottigliamento» va completata su tutte le barre della «H». La direttrice adriatica ha un andamento lineare e non incontra rilievi importanti, diversamente dalle altre tratte che devono superare gli Appennini e le Alpi. A quella del Brennero – la barra orientale – si lavora dal 2005 per aprire un tunnel di base in grado di consentire non tanto il passaggio dei semirimorchi P400, già in transito sulla linea attuale, quanto un maggior numero di treni (60-90 in più al giorno), convogli più lunghi e con carichi maggiori (un 20% in più) e velocità più sostenute (fino a 120 km/h). Purtroppo – dopo l’ennesimo rinvio – bisognerà attendere il 2032 prima che la nuova linea diventi operativa.
Per sbottigliare l’altra barra verticale – quella occidentale – l’attesa si presenta più breve (benché anch’essa sia in ritardo) per quanto riguarda la tratta più settentrionale: nel 2026, l’apertura del Terzo Valico del Giovi (definito dal presidente dell’Autorità portuale del Mar Ligure occidentale, Paolo Emilio Signorini, «la madre di tutti gli interventi») collegherà il porto di Genova ai trafori ferroviari del San Gottardo e del Ceneri, sbloccati per i P400 già dal 2020. Più o meno simili le previsioni di entrata in esercizio della rinnovata Bologna-Prato (dove si stanno adeguando 42 gallerie per una lunghezza complessiva di 30 km) che dal 2025 dovrebbe consentire il transito dei P400 e sbloccare, a quel punto, anche la linea tirrenica.

Il boom del semirimorchio

Sbloccare la sagoma dei tunnel, per un paese montuoso come l’Italia è importante per garantire una circolazione ferroviaria fluida e veloce. Lo dimostra accanto alla crescita d’interesse per il combinato l’aumento – questo sì documentabile – dei semirimorchi diventati ormai lo strumento principale dell’intermodalità ferro-strada. Tra il 2014 e il 2021 il mercato italiano del settore è più che raddoppiato, balzando da 6.866 a 15.085 pezzi venduti. Lo scorso anno il numero ha superato non solo il 2020, anno del Covid (il 32,1% in più), ma anche il 2019 (del 4,6%). E il trend non solo non accenna a fermarsi (nei primi quattro mesi del 2022, ne sono stati venduti il 4,6% in più dello stesso periodo del 2021), ma si sta sbilanciando nettamente a favore del semirimorchio (6,2% in più) a scapito del rimorchio (che perde il 10,7%).
Come mai? «Il semirimorchio», ha spiegato a K44 Risponde Alessandro Valenti, deputy managing director di Hupac, azienda leader nel trasporto combinato in Europa, «è l’unità di carico che oggi è usata prevalentemente dai trasportatori che viaggiano via strada, per cui è l’unità di carico che è più facile da trasferire su rotaia». E ha aggiunto che, anche Hupac ci sta puntando, «anche se dal punto di vista tecnico richiede degli accorgimenti per poter essere utilizzato nel sistema intermodale». Perché il semirimorchio per l’intermodale, in realtà, è leggermente diverso (e costa di più) di quello classico. Stefano Savazzi, amministratore delegato di Real Trailer, importatore italiano della tedesca Kröne, lo ha spiegato a K44 risponde: «C’è un aggravio della tara – ma non tanto consistente, perché sono circa 150 kg – e dal punto di vista del prezzo è un 7-8% in più».
Ma anche per questo la crescita del mercato dei semirimorchi è significativa dello spostamento dei trasportatori verso il combinato. Per Tobia Mazzi, trasport purchase manager di Arcese, che tratta oltre 50.000 spedizioni intermodali l’anno, ha spiegato sempre a K44 risponde chesi tratta di una modalità «che sta vivendo una grossissima transizione dalla richiesta di mercato». E ha segnalato che sul trasporto intermodale si affacciano sempre di più nuovi player. «Ma», si è chiesto, «può il network intermodale esistente assorbire tutta questa richiesta di mercato? Questo è il grosso punto di domanda».

Il problema del modulo

Perché proprio la crescita d’interesse per il combinato, lo «sbottigliamento» della linea adriatica, il boom dei semirimorchi ha messo a nudo tutti i nodi di una rete che fatica a tenere il passo con la domanda di trasporto. Non è solo questione di sagoma, ma anche di modulo, cioè la lunghezza dei treni e quella delle banchine. Lo standard europeo lavora con convogli lunghi 750 metri e con banchine nei terminal ferroviari ovviamente della stessa lunghezza, mentre in Italia, spesso le banchine non arrivano a 550 metri.
La situazione l’ha fotografata lo stesso gestore delle linee, Rete ferroviaria italiana (RFI) nel Piano commerciale 2021-2024: mentre quelle con la massima sagoma (P400 o P/C 80) a fine 2021 erano il 59% delle linee TEN-T e l’obiettivo per il 2024 è fissato nell’81%, quelle con la possibilità di comporre treni da 750 metri erano solo il 28% e nel 2024 al massimo potranno arrivare al 38%. «Purtroppo», ha sintetizzato a K44 risponde, Francesco Pagni, presidente di Fercargo terminal, «sia sul lato infrastrutturale, nei raccordi di collegamento tra le stazioni e i terminal, sia all’interno dei terminal stessi ci sono ancora problemi enormi da superare e la capacità che oggi possono esprimere gli impianti, soprattutto del Nord Italia, non è minimamente in grado di accogliere il numero di treni che le grandi nuove infrastrutture ferroviarie transalpine potrebbero permettere di effettuare».

Il caso di Busto Arsizio

Ma in questo cocktail – che Pagni ha racchiuso in tre parole: «migliorie, sviluppo, digitalizzazione» – il combinato è ancora in mezzo al guado e i lavori, le carenze, i disallineamenti ricadono sugli autotrasportatori, costretti a farsi carico delle attese provocate da un sistema ancora lontano dall’essere a punto. «Già è difficile trovare autisti», scuote la testa Roberto Spizzirri, titolare della Spiz trasporti di Milano. «Se poi mi restano quattro ore fermi in un terminal ferroviario, io li pago a vuoto e a loro passa la voglia di lavorare». E racconta la giornata di un suo conducente: si sveglia alle 4 del mattino, arriva al terminal dove resta quattro ore in attesa, riparte alle 9 e mezza, arriva a destinazione (magari a soli 60 km) dopo due ore di fila sulla tangenziale, attende altre due ore, scarica alle 14-15 e la giornata è finita. Nessun secondo viaggio ed è andata bene che non è stato costretto a pernottare fuori casa.
Emblematica è la situazione del terminal Hupac Busto Arsizio-Gallarate, su cui si appuntano le critiche di moltissimi autotrasportatori. L’impianto è il più grande interporto strada-rotaia d’Europa con una capacità di 8 milioni di tonnellate di merci l’anno e un traffico annuale di 420 mila unità di trasporto intermodale. Proprio per questo, però, basta un granello a incepparne i meccanismi. Lo stesso Valenti lo ha ammesso: «Effettivamente abbiamo vissuto delle difficoltà negli ultimi mesi dell’anno scorso e nei primi di quest’anno» e ha spiegato: «Il terminal è il punto di arrivo e di partenza di treni che poi entrano in una rete e quindi subiscono molto spesso anche le irregolarità della rete. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che negli ultimi periodi riscontriamo delle anomalie legate vuoi a sbilanciamenti dei flussi di traffico nelle diverse direzioni, vuoi a qualche difficoltà nella velocizzazione dei ritiri per via, a detta dei nostri clienti, anche di carenze con gli autisti».

Ma la notte no

Per ovviare alle attese, alcuni terminalisti hanno allargato le finestre di carico e scarico. Acquaro ha investito in personale a Bari e a Milano per aumentare i turni di lavoro e ampliare le fasce lavorative giornaliere. «Anche a questo investimento», aggiunge, «vanno attribuiti gli ottimi risultati dei due impianti». E Hupac a Busto Arsizio ha incentivato i ritiri fuori orario. «Cerchiamo», spiega Valenti, «di spingere il mercato a utilizzare quelle fasce orarie meno affollate, meno frequentate, dando anche dei bonus di incentivazione al ritiro». Ma non tutti sono convinti. «L’iniziativa», racconta Spizzirri, «non ha avuto grande successo ed era ovvio. Avremmo bisogno di due autisti, moltiplicati per il numero di semirimorchi che gestiamo giornalmente, che sono oltre 150. È assurdo».

Armando De Girolamo, presidente di Assofer «Evitiamo la tela di Penelope»

Armando de Girolamo è già stato presidente Assoferr, l’associazione degli operatori ferroviari e intermodali costituita da imprese nazionali ed estere, che sviluppano un volume d’affari annuo di 3,5 miliardi di euro e un indotto diretto di oltre 5.000 dipendenti. Lo era stato dal 2008 al 2010, gli anni iniziali della crisi, ma anche l’ultimo periodo in cui, sia pure tra mille difficoltà il trasporto ferroviario delle merci oscillava tra i 70 e i 60 milioni di treni-km contro i 48 attuali. Un ritorno, il suo – confortato dall’unanimità del Consiglio direttivo – che cade in un altro momento particolare per il trasporto merci su ferro: da una parte i due anni di pandemia e l’esplosione del conflitto in Ucraina hanno segnato negativamente il ciclo economico generale e le sue prospettive; dall’altra, si registra una ripresa del combinato strada-rotaia dopo anni di stagnazione se non di rallentamento.

Quali sono le dimensioni di questa ripresa?

I dati di settore rilevano una crescita, in termini di treni-km, del 12% circa nel 2021 rispetto al 2020, l’8% circa rispetto al 2019, anno precedente la pandemia. Dal 2015 c’è stato l’avvio di una politica di rilancio del settore basata su una strategia chiara: investimenti infrastrutturali finalizzati nel medio lungo periodo al recupero di competitività della modalità ferroviaria, realizzazione dei grandi tunnel di base sulle direttrici alpine e programmi di ultimo miglio. Non solo, ma anche incentivi per avviare la ripresa del settore pure nel breve periodo: alle imprese ferroviarie (sconto traccia), al mercato (Ferrobonus), per la formazione del personale e l’ammodernamento dei carri. Sono quindi dimensioni importanti per le quali occorre considerare oltre alla dimensione, anche la durata nel tempo. Nel settore dei trasporti, e in quello ferroviario in particolare, che richiede investimenti a medio e lungo termine, è la durata unita alla dimensione l’elemento credibile per essere competitivi sul mercato e per consentire che alla rinnovata capacità produttiva dell’infrastruttura si accompagni la sostenibilità economica della scelta ferroviaria.  In tal senso abbiamo sempre richiesto come Assoferr che le misure incentivanti, quali il Ferrobonus e lo sconto traccia, per avere un effetto compiuto devono essere strutturali, a lungo termine. Inoltre, è necessario investire nel consolidamento del sistema ferroviario più virtuoso, ecosostenibile rispetto ad altre modalità. Se davanti alle oggettive criticità e complessità che il sistema ferroviario porta con sé, si pensa che il mercato, così com’è impostato, decida tout-court di scegliere il treno anziché altre modalità (tutto strada e navale) è un’utopia, poiché alla fine la scelta del mercato è effettuata in base all’economicità del trasporto.

A cosa attribuisce laumento della domanda di trasporto merci su rotaia e come può influire sulle prospettive economiche del paese?

Da un lato, le trasformazioni del tessuto industriale e distributivo del nostro Paese, non ultimo la consapevolezza del mondo dell’autotrasporto di puntare sulla multimodalità in alternativa al tutto strada, dall’altro, gli enormi investimenti e adeguamenti da parte di RFI, consentono di offrire – e lo sarà ancor di più nei prossimi anni – capacità e servizi adeguati. Non dimenticando la difficoltà che il mondo dell’autotrasporto sta vivendo per la carenza di autisti a livello internazionale. Tutto iò deve portare a una visione nuova del sistema logistico italiano con più spazi per la sicurezza e la qualità di vita degli autisti (riduzione di lunghe percorrenze stradali), con altrettanti benefici per il pianeta e la collettività (minori emissioni di CO2, meno incidenti, minore usura del manto stradale). Oggi in Italia la quota di mercato del cargo ferroviario è del 13%, al di sotto della media europea (19-20%), assai inferiore al dato di Svizzera e Austria (intorno al 35%) e molto più bassa di quella degli Stati Uniti (46%). Il raggiungimento della soglia del 30% entro il 2030, come ci impone l’Unione europea, richiede gli investimenti che il governo, attraverso il gestore dell’Infrastruttura ferroviaria nazionale, sta mettendo in atto.

Nonostante la crescita del trasporto intermodale – o forse proprio per quella – le infrastrutture non sembrano in grado di sopportare laumento della domanda a causa di strozzature infrastrutturali e tecniche. Quanto tempo ci vorrà per rimuovere i principali ostacoli al pieno sviluppo del combinato?

Come detto, governo e RFI stanno compiendo sforzi molto importanti ma, in talune tratte, persistono oggettive difficoltà tecniche di adeguamento, che richiederanno ancora qualche anno. Contiamo e speriamo di avere quanto prima la nostra parte di rete TEN-T completamente operativa, a cui possano afferire linee secondarie. Alla stessa stregua ci aspettiamo sempre, laddove tecnicamente possibile, che tutti i terminal pubblici e privati possano essere adeguati per un efficiente scambio modale, cioè sia tramite il trasporto combinato che convenzionale. È necessario intervenire in tempi rapidi per far sì che i terminal di scambio modale esistenti possano dare il massimo della qualità e aumento della quantità del servizio prestato. Quest’azione non può essere limitata nei confronti di alcuni interventi legati a singole strategie, ma in una logica di sistema Italia complessivo.

Il governo punta, con il PNRR, a sostenere lo shift modale e puntare alla transizione ecologica, secondo il programma europeo Fit for 55. Ma sono sufficienti gli stanziamenti previsti? E dove dovrebbero essere indirizzati?

Lo sviluppo del trasporto merci intermodale su ferro è l’obiettivo fissato nell’art. 1 comma 392 della Legge 30 dicembre 2021, che ha recepito, in Italia, il cosiddetto «Pacchetto climatico Fit for 55». L’obiettivo di realizzare uno shift modale capace di far crescere la quota del trasporto ferroviario che sappia valorizzare’intermodalità e multimodalità è davvero sfidante e deve essere un obiettivo del sistema-Paese. Come al tempo stesso deve essere fondamentale la facilità di gestione di tali fondi. Purtroppo, assistiamo da anni all’inefficacia di tante misure, non solo sul ferroviario, a causa di un’eccessiva rigidità burocratica. Riteniamo che questi fondi debbano essere celermente messi a disposizione per il raggiungimento degli obiettivi fissati rispetto anche a una scelta chiara e inequivocabile che eviti di determinare le solite contraddizioni come la tela di Penelope, dove la mattina si agisce a favore dello sviluppo della modalità ferroviaria e la notte si interviene per sostenere le altre modalità. Le misure importanti sono quelle già indicate prima, ma non in maniera esaustiva. Quindi: cosiddetta norma merci, Ferrobonus, incentivi per la formazione, digitalizzazione, ricerca e innovazione, istituzione di sistemi premiali per lo spostamento di traffico dalla strada alla rotaia e – last but not least – gli adeguamenti infrastrutturali e tecnologici di rete, raccordi e terminal. L’ultimo miglio ferroviario, infatti, rappresenta spesso una quota che oscilla tra il 20 e il 30% del costo complessivo. Da solo è in grado di liberare risorse (tempi e costi) a beneficio della performance complessiva del settore ferroviario.

Nella sua dichiarazione desordio lei ha dato rilievo alla digitalizzazione del sistema. Per quale motivo ritiene che possa costituire un elemento di spinta nella crescita del trasporto merci su rotaia? Non sono prioritari gli interventi infrastrutturali sia rete e terminal?

Gli investimenti infrastrutturali sono avviati da tempo e sono quindi da monitorarne l’attuazione ed eventuali correttivi se necessari. Molto resta invece da innovare sul materiale rotabile merci che, in combinazione con la digitalizzazione, ritengo sia la sfida più grande. Si sta per esempio lavorando sulla progettualità del DAC (Digital Automatic Coupling) che è in fase di standardizzazione e test di esercizio. Processi quali quelli di digitalizzazione sono sempre lunghi e difficili in quanto spesso rappresentano vere e proprie rivoluzioni settoriali. Di fatto non si tratta di rendere i carri solo automaticamente accoppiabili tra loro ma di dotarli, tramite l’elettrificazione, della possibilità di integrare la sensoristica già oggi presente in molti casi e di fornire informazioni e dati utili alla gestione del treno in tutte le sue fasi di gestione. Si pensi anche ai potenziali servizi che potrebbero essere sviluppati tramite l’interfacciamento con portali di rilevamento e comunicazione dati all’interno di terminal e industrie. Non tutto forse riusciamo oggi a immaginare. Le potenzialità delle innovazioni sono infinite. La tecnologia, il mercato, la realizzabilità e molti altri fattori e variabili saranno gli elementi discriminatori che ci diranno realmente cosa si potrà fare o non fare o cosa sarà conveniente fare e non fare.

Il protocollo TCR per migliorare i rapporti vettori-committenza. Un modello di successo

Era il 2019 quando la Fiap lanciò un progetto interessante e innovativo, basato sull’idea di un protocollo e del relativo osservatorio, battezzato con il nome di TCR – Transport Compliance Rating, che valutasse l’affidabilità delle aziende di trasporto e ne fornisse un valore numerico (rating) su cui la committenza potesse basare la scelta del vettore. L’idea era di spingere le aziende di autotrasporto a migliorare i loro standard qualitativi, in modo da evitare l’annosa abitudine di affidare la concorrenza esclusivamente sul prezzo, prescindendo da qualità e professionalità del servizio. A tre anni dal lancio è arrivato il momento di tirare le somme e l’occasione per farlo è stata il Transpotec Logitec 2022, dove la stessa Fiap ha organizzato un convegno per raccontare le tappe che hanno portato alla creazione dell’Osservatorio, i risultati ottenuti e i progetti per il prossimo futuro.

Dal convegno è emerso come vi sia stata una forte adesione al TCR da parte della committenza, con ottime reazioni anche al di sopra delle aspettative iniziali. Anche sul fronte dell’autotrasporto il progetto ha attecchito, con molte aziende che hanno completato il processo e raggiunto la certificazione nelle otto aree di valutazione del rating (struttura e organizzazione, integrità e reputazione, utilizzo di tecnologie e sistemi informativi, coperture assicurative, sicurezza stradale, rispetto ambientale, sicurezza sul lavoro e sicurezza del prodotto) e molte altre ancora stanno considerando l’accreditamento all’Osservatorio come un’ulteriore opportunità per poter, da un lato, migliorare il servizio offerto e, dall’altro, fidelizzare i propri clienti. Del resto, i vantaggi sono tangibili, anche perché il TCR interviene non solo come strumento di controllo e verifica dei cosiddetti «potenziali fattori di rischio», ma fornisce agli autotrasportatori e agli operatori logistici una roadmap per il miglioramento continuo dei propri servizi. Ma questa è solo la prima fase del progetto, che ora si avvia verso la fase di consolidamento. All’orizzonte, come è stato ribadito al convegno, c’è infatti la volontà di rilanciare il sistema anche all’estero, presentandolo a soggetti privati ma anche pubblici.

(IR)Responsabilità del vettore per mancata riconsegna pallet

La legislazione nazionale in tema di autotrasporto è ricca di norme che, sulla carta, potrebbero contribuire a garantire maggiore equilibrio nei rapporti contrattuali fra parte debole (l’autotrasportatore) e parte forte (committente). Molto spesso, tuttavia, norme invocabili dai vettori a proprio favore trovano scarso o, talvolta, nullo ambito di applicazione.

Rientra in tale categoria di norme l’art. 11bis del D.lgs 286/2005, introdotto nel febbraio 2011 per tutelare quei vettori che si imbattevano (prevalentemente nei trasporti da e per la GDO) nell’annoso problema della movimentazione e successiva restituzione dei pallet. La norma citata stabilisce che «nell’ipotesi in cui la merce da trasportare sia imballata, oppure stivata su apposite unità per la sua movimentazione, il vettore, al termine dell’operazione di trasporto, non ha alcun obbligo di gestione e non è tenuto alla restituzione degli imballaggi o delle unità di movimentazione utilizzate». La regola generale, dunque, è quella dell’irresponsabilità del vettore per l’eventuale mancata consegna dei pallet: regola generale che ammette, tuttavia, deroghe su base pattizia. Il secondo comma dell’art. 11bis stabilisce, infatti, che «qualora il committente e il destinatario della merce si siano accordati per la riconsegna degli imballaggi o delle unità di movimentazione, il vettore non è responsabile per il rifiuto di restituzione da parte del destinatario di unità di movimentazione di numero o di qualità inferiore rispetto a quelle con cui è stato effettuato il trasporto, ed ha comunque diritto ad un compenso per ogni prestazione accessoria eseguita».

Nella pratica, la regola generale dell’art. 11bis primo comma (ossia, la non responsabilità del vettore per mancata restituzione dei pallet) è largamente meno diffusa rispetto all’ipotesi che dovrebbe rappresentare l’eccezione, ossia la responsabilità del vettore introdotta contrattualmente. Nel nostro ordinamento, infatti, l’esistenza di un accordo contrattuale può desumersi dall’esistenza di un’esplicita pattuizione o per fatti concludenti. Molto spesso vettore e committente, pur nel silenzio sul punto del contratto che li lega, instaurano una prassi tale per cui viene tenuta la contabilità dei bancali ricevuti e riconsegnati dal vettore. La presenza di tale contabilità può essere interpretata come un comportamento che testimonia un accordo derogativo dell’esclusione di responsabilità del vettore per la mancata riconsegna dei bancali.

Tale schema, introdotto nel 2011, potrebbe oggi considerarsi superato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del Decreto Ucraina (si tratta della L. 51 del 20 maggio 2022). Rispetto all’originaria formulazione, tale legge introduce, fra gli altri, l’art. 17ter rubricato «Disciplina del sistema di interscambio pallet», in cui si stabilisce che «i soggetti che ricevono, a qualunque titolo, fatta salva la compravendita, i pallet di cui all’articolo 17-bis sono obbligati alla restituzione al proprietario o al committente di un uguale numero di pallet della medesima tipologia, con caratteristiche tecnico-qualitative assimilabili o equiparabili a quelle dei pallet ricevuti». Al secondo comma prevede poi che, «Fatto salvo il caso in cui siano stati espressamente dispensati dal proprietario o dal committente, l’obbligo di cui al comma 1 permane in carico ai soggetti tenuti alla restituzione dei pallet, indipendentemente dallo stato di conservazione e dalla conformità tecnica degli stessi. La tipologia dei pallet interscambiabili di cui all’articolo 17 -bis è indicata sui relativi documenti di trasporto del mittente e non è modificabile dai soggetti riceventi». 

La nuova normativa, dunque, ha totalmente ribaltato le originarie previsioni, introducendo al primo comma (quale regola generale) la responsabilità del vettore (al pari di qualunque altro soggetto che ne riceva la detenzione) per la restituzione dei pallet. Tale responsabilità viene meno solo nel caso di espressa liberatoria da parte del committente. 

La novità è troppo recente per poter registrare reazioni delle organizzazioni di categoria dei vettori rispetto al venir meno di una delle norme poste a loro tutela. In ogni caso, come anticipato, la non responsabilità dei vettori per la mancata riconsegna dei pallet era sino ad oggi più teorica che effettiva: occorrerebbe, quindi, chiedersi se la nuova norma non abbia quantomeno il pregio di disciplinare la fattispecie in modo conforme a quanto quasi sempre avviene nella prassi, consentendo così a tutti i protagonisti di questa tipologia di trasporto di organizzare le proprie attività sgombrando il campo da potenziali tutele che hanno dimostrato elevati margini di aleatorietà nell’applicazione pratica.

A prova di Laura | DAF XG+ 480. Bello e possibile

È una storia del tutto personale quella tra camion e autista. E sempre lo sarà. Un rapporto simbiotico che, soprattutto oggi, deve accogliere lo spazio e il tempo dell’uomo e non solo rispecchiare aspettative prestazionali. Insomma, perché la coppia funzioni, devono stare bene entrambi.I camion, però, non sono perfetti. Sono figli di idee altrui e, come tutti i figli, acquisiscono pregi e difetti di chi li concepisce e li cresce. È questo il motivo per cui il camion non è solo un mezzo di trasporto, ma un compagno di avventure. E come tutti i compagni va conosciuto, ascoltato, osservato e capito prima di poter percorrere della strada insieme.
Ecco perché in definitiva il rapporto stretto con un camion può insegnare davvero molto sulle relazioni.

Il classico «Settebellezze»

Quando arrivate a un appuntamento, qual è la prima cosa che notate? Siate sinceri: l’aspetto fisico, ovviamente. D’altra parte, vi avvicinereste mai a qualcuno che non vi attrae minimamente?
Forse ci scambiereste amichevolmente due chiacchiere, ma certo non lo fareste con l’intenzione di costruire un rapporto. Non all’inizio, almeno, perché si sa che le cose belle si nascondono dietro l’inaspettato.
Beh, non è questo il caso, perché XG+ di DAF è ammaliante. È il tipico «bello» che si girano tutti a guardare. E più mi avvicino a lui per il test di guida in compagnia di Paul, il driver della casa olandese, più non vedo l’ora di conoscerlo. Incuriosisce e allo stesso tempo attrae.
Il fisico svettante e le linee affusolate lo rendono il classico uomo (o donna, per par condicio) affascinante e intrigante e, perché no, anche un po’ misterioso.
Ti viene immediatamente voglia di invitarlo a bere una birra, anche se forse è più tipo da whisky.
Se al liceo mi fosse capitato di avvicinarmi a uno così, avrei subito pensato: «Io? Proprio con lui?». Peccato che al liceo non mi sia mai capitato realmente…

Scale e missioni

Il desiderio di entrare subito in confidenza mi ha fatto salire i gradini in velocità, nonostante siano alti e forse uno in più non ci sarebbe stato male.
La scelta di DAF di lasciarne solo tre mi fa subito capire che XG+ è uno da rapporto stabile, che ti guarda e ti dice a chiare lettere: «O stai con me a lungo o ti renderò la vita un po’ complicata». Vale a dire, è chiaramente un camion da lungo raggio con cui trascorrere molto tempo. Impiegato per fare altro equivale un po’ a sprecarne le virtù.
Insomma, affascinante, ma anche sfacciatamente deciso.

La scoperta dello spazio

L’interno è tipicamente DAF, con quei dettagli marroni che scaldano l’ambiente. È vero, possono non piacere a tutti (a me, sì), ma si fanno scegliere dagli intenditori. DAF, comunque, lo sa e prevede anche i più mainstream grigio e nero. Ai miei occhi, però, appare sprecato chiedere a un tipo così di essere più austero, quando ha una parte “interiore” (o interna) decisamente gentile.
È sufficiente un’occhiata per capire che è un tipo calmo e piuttosto compiacente, uno che lascia i giusti spazi e su cui puoi contare perché, in qualsiasi frangente della giornata, sarà presente, ma non invadente.
Accoglie tutte le mie personalità – e, fidatevi, non è roba da tutti – riuscendo ad assecondarle. In che modo si capisce tramite i tanti ripiani di appoggio che ti propone in ogni dove.
Il mio preferito è quello centrale, dietro alla console, dove già immagino di riporre la mia attrezzatura per i contenuti social da avere a portata di mano (tablet, microfono, taccuino e stabilizzatore per i video), grazie anche a tante prese USB sempre pronte per la ricarica.
Insomma, se non mi dimentico il cavo, non ho proprio scuse: si può ricaricare anche in branda e lui ha già capito che sono una smemorata.
Quello che si definisce, un tipo attento!
Come se non bastasse è anche il primo uomo a non sfruttare la borsa della donna come porta oggetti, anzi te ne offre uno decisamente ampio nel cassettone inferiore.

Paul mi fa notare che c’è anche un tavolino estraibile e… è amore a prima vista.
È perfetto per scrivere accomodandosi comodamente sul sedile passeggero – peraltro girevole – con tutto il mio ufficio a portata di mano e, finalmente, senza dover più incastrare alcunché sul volante per sfruttarne l’appoggio. Né per scrivere, né per mangiare.
Con una cabina così, il «naufragar» nel mare infinito delle ore di attesa diventa persino «dolce».

Pago io, ma lui è un signore

Mi accomodo sul sedile passeggero perché decidiamo che, per la prima tratta Milano-Berceto (via A1 e A15), sarà Paul a guidare.
Ammetto che non sono abituata a stare seduta sul lato destro, ma scelgo questo momento per prendere un po’ di feeling con le mirrorcam e per capire se è uno da «braccino corto».
Considerato che, vista la parità di genere giustamente dilagante, sarò io a pagare, XG+ è un galantuomo e percorre la prima tratta consumando 4,46 km/l. Al volante, però, c’era l’esperto Paul. E questo dimostra quanto sia importante un corso di formazione per sfruttare al meglio il veicolo.
Con me alla guida, invece, chiuderà a 4,3 km/l. Non sono stata all’altezza, ma d’altra parte chi al primo appuntamento non si trova un attimo impacciato?

Gli intoccabili:
sedile,
volante,
specchi

È il momento del cambio di testimone e di entrare nel vivo della relazione, iniziando a valutare più da vicino il mio nuovo compagno.
Sono sempre stata la classica donna senza ragazzo ideale e questo mi permette di non scartare a priori potenziali belle storie. Su certe cose, però, non transigo, quelle cioè che mi servono per poter dire: «Sì, viaggiamo insieme».
Mi focalizzo subito, con l’aiuto di Paul, sulle regolazioni del sedile: di certo sono infinite, anche se noto che DAF predilige una guida molto dritta.
In ogni relazione, comunque, ci vuole qualche tempo per adattarsi al partner e per coglierne tutte le necessità. Ragion per cui non basta un test drive per trovare l’incastro perfetto.
Premo il pedale sul lato sinistro e inizio a regolare il volante. Anche qui “lui” lascia che sia io a condurre il gioco, ponendomi solo il limite di poter inclinare al millimetro anche la corona del volante, ma evitando che ciò vada a interferire con quanto fatto finora.
Meno male che non mi trucco, perché gli specchi non ci sono (anche se si possono richiedere) e con le mirrorcam non riesco ad andare molto in profondità. Percepisco cioè che non utilizzo subito le potenzialità di cui dispongono.
Paul mi rassicura, dicendomi che ci si abitua nel giro di poco e che è del tutto normale incontrare un primo impatto un po’ difficile. Che sia un modo di DAF per dirmi di andarci piano?

Una veranda sulla strada

Berceto-Milano, sfidando il saliscendi, sfilando con eleganza tra le curve, lasciandoci trasportare in direzione Nord: nessun rumore, ma solo morbidezza.
Alla guida XG+ è come appare: deciso e accogliente. È un tipo preciso sia nelle cambiate che nella tenuta di strada, trasmette sicurezza e delicatezza e anche nella ricerca dell’orizzonte non mi ostacola: il parabrezza è grande e mi regala una meravigliosa vista sul mondo.
Sembra proprio di quelli che ti tolgono di impaccio quando non ci si mette d’accordo su dove andare nel week-end: alla fine fa strada lui.

Una pioggia tecnologica

Uscire con qualcuno che non ha un telefono, oggi diventerebbe complicato. Per quanto potremmo tornare al fascino delle lettere, alla lunga risulterebbe una comunicazione macchinosa.
Superfluo dire, quindi, che l’XG+ in prova è equipaggiato di tutta la tecnologia che serve, non solo per l’intrattenimento, ma soprattutto per le informazioni di bordo e gli Adas.
Una comunicazione semplice, intuitiva ed efficace quella che si stabilisce tra me e lui. XG+ è un tipo diretto, che ti guarda dritto negli occhi. Sì, perché le informazioni utili alla guida sono lì sul display che ospita il contachilometri, in modo da individuarle con un colpo d’occhio e poter navigare facilmente con i comandi al volante.
Lascia ampio spazio all’intrattenimento (radio e navigatore), tenendolo però in disparte e non mescolando mai il dovere con il piacere.
Cercavo un uomo facile da capire e l’ho trovato.

Un camion complice

È stato un bellissimo incontro quello con DAF XG+, un esaltante primo passo alla scoperta del mondo dei camion, questi strani compagni che molti all’esterno considerano ingombranti pezzi di ferro.
Per noi autisti non lo sono mai, perché, dovendo trascorrere con loro gran parte della nostra vita, dobbiamo essere capaci di scegliere il partner ideale, così da evitare una convivenza difficile.
E DAF XG+ è un compagno in grado di rispettare i vostri spazi, di stabilire un rapporto semplice e di diventare complice delle vostre giornate. In cambio vi potrà chiedere un minimo di impegno per abituarsi alle mirrorcam e un po’ di agilità nel salire in cabina.
Con uno così, però, il viaggio vi porterà lontano.

Cronache dal Transpotec | Ritorno al futuro

Era appena il 2019 quando andava in scena l’ultima edizione del Transpotec, ma sembra trascorsa un’era geologica. Negli ultimi tre anni il mondo è cambiato radicalmente. Gli avvenimenti prima pandemici, poi addirittura bellici, hanno segnato e scandito un nuovo ritmo del nostro vivere quotidiano, dal passo più frammentato, obbligandoci a fare i conti con una situazione di costante e complessa incertezza. Verona 2019, tuttavia, sembra una vita fa anche perché in questi tre anni c’è stato qualcosa che invece non si è mai arrestato, anzi semmai è accelerato a un ritmo decisamente vorticoso. È l’evoluzione tecnologica, commerciale e anche sociale che ha investito il mondo del trasporto e della logistica. La sempre maggiore diffusione dell’e-Commerce, la «scintilla» dell’elettrificazione e in generale la spinta verso soluzioni sempre più sostenibili sono solo alcune delle tendenze che sono letteralmente esplose nell’ultimo triennio. Ed è per questo motivo che Transpotec 2022, già prima di aprire in cancelli, era stata considerata da molti come un’edizione cruciale, tanto attesa quanto «pesante» dal punto di vista dei cambiamenti in atto che era chiamata a mostrare, a raccontare, a far vedere al grande pubblico per la prima volta.

In effetti, le premesse per quella che si è rivelata una delle edizioni di maggior successo nella storia ormai ultratrentennale di Transpotec si sono confermate positive, non solo per quanto riguarda i numeri (a Milano, dal 12 al 15 maggio scorsi, erano presenti oltre 350 aziende espositrici, di cui il 15% di provenienza estera, e 6 brand di truck, in rappresentanza di oltre l’80% del mercato) ma soprattutto per il tipo di approccio alla manifestazione. Perché al Transpotec si sono viste certamente tante e belle novità, soprattutto elettriche, che tra poco vi illustreremo in queste pagine, ma per la prima volta sono comparsi anche i clienti. Nel senso che è la prima volta che in questa manifestazione sono saliti sul palcoscenico non solo i veicoli elettrici, sempre più protagonisti del futuro, ma con loro anche chi è (o chi ha promesso di essere) disposto ad acquistarli. Molti stand di costruttori hanno ospitato infatti camion elettrici con livree personalizzate da tal committente o trasportatore, anch’essi presenti in fiera, che hanno scelto di acquisirli all’interno delle loro flotte per puntare a un trasporto il più sostenibile possibile. Un po’ come a dire: «Ci metto la faccia». Segno che quando tra attori diversi della filiera c’è una condivisione di valori (e perché no, anche del prezzo del veicolo) si possono raggiungere risultati concreti e innescare sinergie virtuose, interessi, opportunità di cambiamento.

Infine, una menzione d’onore la merita il diesel. Perché Transpotec 2022 è stata sì l’edizione più elettrificata della storia, ma anche quella in cui si è fatto sfoggio dei motori diesel più efficienti e sostenibili di sempre. Con buona pace dei suoi detrattori.

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