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Escludere i veicoli non-Ue dai rimborsi pedaggi? Il «no» del Tar

È una questione spinosa, scaturita da una presunta discrasia di comportamento del Comitato centrale per l’Albo degli autotrasportatori, rilevata dal TAR Lazio nella sentenza pubblicata il 28 giugno scorso, in materia di ammissione al beneficio della «riduzione compensata dei pedaggi autostradali» pagati dalle imprese di autotrasporto.
Ricordiamo che tale misura, attivata alla fine degli anni 90 e poi evoluta nel tempo per favorire l’utilizzo di veicoli a minore impatto ambientale, trova la sua ragion d’essere nel decreto legge 28 dicembre 1998, n. 451, che ha previsto l’assegnazione al Comitato centrale di risorse finanziarie, finalizzate alla «protezione ambientale» e alla «sicurezza della circolazione, anche con riferimento all’utilizzo delle infrastrutture», e ha affidato al ministero dei Trasporti il compito di emanare annualmente apposita direttiva al riguardo.

Cerchiamo, quindi, di ricostruire l’accaduto:

  • la direttiva ministeriale n. 148 del 7 aprile 2020 si riferisce, tra l’altro, alla riduzione compensata dei pedaggi autostradali pagati negli anni 2019 e 2020 dalle imprese di autotrasporto con sede nel territorio dell’Unione europea, ma nulla dispone sul luogo di immatricolazione dei veicoli impiegati dalle imprese stesse, ai fini dell’individuazione dei soggetti ammessi al beneficio;
  • in esecuzione di tale direttiva, il Comitato centrale ha adottato la deliberazione n. 2 del 24 aprile 2020, riferita ai transiti effettuati nel 2019. In essa, al Titolo I, sono individuati i soggetti destinatari del beneficio, gli scaglioni di fatturato globale annuo, la classe Euro dei veicoli interessati e la relativa percentuale di riduzione. Al Titolo II, in sede di istruzioni per la presentazione delle domande, è fatta menzione anche alle targhe estere dei veicoli, fra le quali sono espressamente citate quelle emesse da uno Stato non appartenente all’Unione europea;
  • sempre con riferimento alla citata direttiva ministeriale, la deliberazione n. 4 del 10 giugno 2021, riferita ai transiti effettuati nel 2020, nel Titolo I non figurano innovazioni rispetto a quella dell’anno precedente, ma, nel Titolo II, con riferimento alle targhe dei veicoli, prevede che, per quelli immatricolati all’estero, occorre specificare lo Stato che ha rilasciato la targa, «considerando che sono ammessi comunque solo veicoli che circolano in Italia con licenza comunitaria»;
  • quest’ultima deliberazione è stata impugnata davanti al TAR del Lazio da un Consorzio iscritto all’Albo degli autotrasportatori e composto da imprese con sedi nel territorio dell’Unione europea e anche in Paesi non appartenenti all’UE (per lo più di nazionalità turca), a nome delle quali presenta annualmente la domanda di riduzione compensata dei pedaggi, facendo leva sulla possibilità di indicare il fatturato aggregato dei propri iscritti. Il Consorzio ha rilevato, in particolare, la circostanza che, negli anni precedenti, non erano mai stati previsti ulteriori criteri per accedere alla riduzione dei pedaggi, tanto meno in ragione dello Stato di immatricolazione del veicolo, come risulterebbe dalle istruzioni fornite per la presentazione delle domande;
  • il TAR, nelle motivazioni addotte per l’accoglimento del ricorso, fa esplicito riferimento alla difformità fra le due delibere adottate dal Comitato centrale in esecuzione della medesima direttiva ministeriale, per di più senza alcuna apparente motivazione. Richiama, inoltre, il divieto di discriminazione fondato, tra l’altro, sul luogo di immatricolazione del veicolo (ove appartenente al territorio di uno Stato membro dell’UE ovvero a un Paese terzo), imposto dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n.7, che ha dato attuazione alla direttiva 2006/38/CE (di modifica della Eurovignette), ed espressamente riferito al regime di imposizione dei pedaggi. Il giudice amministrativo ritiene che tale divieto sia applicabile anche alla riduzione compensata dei pedaggi, in quanto «misura idonea a riflettersi sul regime impositivo nei riguardi degli operatori economici del settore».

In questa situazione, è ipotizzabile un’impugnativa della sentenza del TAR Lazio, supportata da adeguate motivazioni, da parte del Comitato centrale, anche perché quest’ultimo ha previsto la stessa preclusione per i veicoli immatricolati in uno Stato non appartenente all’UE nella delibera n. 7 del 10 maggio 2022, riferita alla riduzione dei pedaggi per i transiti effettuati nell’anno 2021.

Assotir scrive alla politica: «Ecco le nostre quattro proposte per l’autotrasporto»

In vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, Assotir ha elaborato un proprio documento denominato «Quattro proposte per l’Autotrasporto Italiano», con cui analizza le principali criticità del settore e proponendo una serie di soluzioni.

Vediamo nel dettaglio le proposte, così come presentate da Assotir:

  1. L’introduzione di una nuova disciplina della subvezione, così come prevista dal Regolamento UE 1055/2020, «affinché si metta fine a quella intermediazione parassitaria ormai imperante nel settore che comprime le capacità di guadagno di quegli imprenditori che operano con veicoli effettivamente nelle loro disponibilità a tutto vantaggio delle cosiddette agenzie»;
  2. La reintroduzione dei costi minimi obbligatori per legge al fine di «porre un argine alla rincorsa al massimo ribasso a cui sono soggette le tariffe dei servizi di trasporto»;
  3. Il rafforzamento della legge riguardante i tempi di pagamento al fine di «interrompere quel meccanismo perverso per il quale le imprese di trasporto si trovano spesso e volentieri ad anticipare denaro ai propri clienti non venendo pagate nei tempi previsti dalla legge»;
  4. L’introduzione di una nuova disciplina per rafforzare il sistema di accertamento e pagamento delle attese al carico e allo scarico delle merci.

Claudio Donati, Segretario Generale di Assotir, ha dichiarato che la campagna elettorale rappresenta un’occasione importante per confrontarsi con le forze politiche che si candidano a governare il Paese.

«Il trasporto delle merci su gomma riveste un ruolo strategico per l’economia nazionale e necessita di un’attenzione particolare. Per questo – ha motivato Donati – presenteremo le nostre quattro proposte che mirano a contrastare due problemi fondamentali che affliggono l’autotrasporto italiano: eccessiva intermediazione e sotto tariffazione, fenomeni questi che generano danni per le imprese regolari, per la sicurezza stradale e sono causa di ingresso di capitali di origine malavitosa nell’autotrasporto».

Contratto di logistica: ora è nel Codice

Come è noto, il contratto di logistica, pur rappresentando una tipologia di rapporto sempre più diffusa nella prassi, non dispone di norme specificamente dedicate né, tantomeno, è presente nel nostro ordinamento una disposizione che ne fornisca una definizione normativa: conseguentemente tale contratto viene solitamente ricondotto a una fattispecie atipica di contratto di appalto.
All’interno del D.L. del 30 aprile 2022, n.36, coordinato con la legge di conversione 29 giugno 2022, n.79, recante «Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)», il legislatore ha modificato l’art. 1677-bis cod. civ. in materia di contratto di appalto.
In particolare, la nuova formulazione, in vigore dalla data di pubblicazione di tale norma, è rubricata «Prestazione di più servizi riguardanti il trasferimento di cose» e stabilisce che «Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività  di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili».

Nel codice, finalmente
La nuova norma appare alquanto rilevante sotto più profili.
Innanzitutto, la novella introduce per la prima volta nel Codice Civile del 1942 un embrione di definizione di contratto di logistica, sanando in tal modo la lacuna normativa ricordata: d’ora in avanti, sotto il profilo normativo, il contratto di logistica potrà essere qualificato come un contratto di appalto che abbia ad oggetto la prestazione di più servizi riguardanti il trasferimento di cose e che ricomprenda congiuntamente almeno due delle attività indicate nell’art. 1677-bis cod. civ.
La portata innovatrice della nuova norma, tuttavia, non si esaurisce sotto il profilo definitorio, in quanto introduce profili di natura sostanziale che andranno a impattare anche sui contratti di trasporto.

Appalto e trasporto: profili di responsabilità
Negli ultimi anni, a seguito di una circolare del ministero del welfare, si è cominciata ad affacciare una distinzione (sempre più frequentemente condivisa alla giurisprudenza) fra la fattispecie di contratto di trasporto e quella di appalto di servizi di trasporto. Ci si troverebbe innanzi alla seconda fattispecie ogniqualvolta, a fianco del mero trasferimento di merci da un luogo a un altro, le parti abbiano inteso affidare al vettore lo svolgimento di qualche prestazione accessoria. L’inquadramento del contratto di trasporto nel novero dei contratti di appalto (ancorché di servizi di trasporto) ha comportato rilevanti conseguenze in tema di responsabilità solidale: negli ultimi anni, infatti, sempre più spesso la giurisprudenza si è orientata ad addossare al committente (con ciò potendosi intendere anche il vettore contrattuale che affida il trasporto a un subvettore) le responsabilità che normalmente l’appaltante è chiamato a condividere con l’appaltatore. Ed è proprio sotto questo profilo che la nuova formulazione dell’art. 1677-bis cod. civ. esplicherà i propri effetti più rilevanti: la norma stabilisce infatti che, sia pure nell’ambito di un contratto di appalto, qual è il contratto di logistica, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto e non quelle relative al contratto di appalto.

Conseguenze giuslavoristiche
Tale nuovo intervento normativo risulta, dunque, particolarmente interessante per il settore posto che, dal tenore dell’articolo citato, si delineano rilevanti conseguenze sul piano civilistico e giuslavoristico. In particolare, da tale secondo punto di vista risulterà ancora meno pertinente il richiamo costante, anche da parte della giurisprudenza, dell’istituto dell’appalto di servizi anche qualora l’oggetto dell’accertamento siano mere prestazioni di trasporto con la conseguenza, teorica se non altro, di vedersi riconoscere l’inapplicabilità della responsabilità solidale ex art 29 Dlgs 276/03 nonché delle norme relative al cambio appalto con riferimento agli autisti.

Guidare un camion oltre i 65 anni

È nota la difficoltà dell’autotrasporto nel riuscire a soddisfare l’attuale domanda di servizi di trasporto. Infatti, oltre alle croniche criticità organizzative (dei committenti e delle aziende di trasporto) e infrastrutturali si è aggiunta da qualche tempo la carenza di autisti e i ritardi nelle consegne dei veicoli. Alla luce di ciò la patente-cqc assume ancora maggiore rilevanza e pertanto non ci si può permettere di perderla a seguito di un ritiro dovuto a infrazioni commesse durante la circolazione o a causa del mancato rinnovo dei requisiti psicofisici.
Relativamente alla validità, l’art. 126 del CdS («durata delle patenti») prevede che le patenti di guida delle categorie C1, C1E, C e CE, sono valide per 5 anni fino al compimento del 65mo anno di età. Oltre tale limite la validità scende a 2 anni, previo accertamento dei requisiti fisici e psichici da parte della Commissione Medica Locale (C.M.L.). Il medesimo articolo prevede anche che, superati i 65 anni, le patenti C e CE abilitano alla guida di autotreni e autoarticolati di massa complessiva a pieno carico non superiore a 20 ton.
Questa regola generale è confermata dal collegato art. 115 («requisiti per la guida») in cui si aggiunge la possibilità di condurre autotreni e autoarticolati anche con massa superiore a 20 ton, fino al compimento massimo dei 68 anni, previo conseguimento di specifico attestato di possesso dei requisiti fisici e psichici a seguito di visita medica specialistica annuale in C.M.L. per l’innalzamento dei limiti di età.

Tirando le fila, quindi, dopo il compimento dei 65 anni, il rinnovo ordinario della patente C-CE, di durata pari a 2 anni, avviene soltanto tramite visita in C.M.L. e consente di condurre autotreni o autoarticolati con m.c.p.c. fino a 20 ton. Se il conducente volesse continuare a guidare veicoli di massa superiore a tale limite e fino al compimento del 68mo anno deve sottoporsi a una visita, sempre in C.M.L., richiedendo il rilascio dello specifico attestato con validità annuale dalla data del rilascio. Pertanto, non basta disporre solo della patente in corso di validità, seppure rilasciata a seguito di visita in C.M.L., ma è necessario avere con sé anche l’attestato.
Si precisa pure che al compimento dei 65 anni scatta subito la scadenza e quindi l’obbligo di andare in Commissione, indipendentemente da quanto tempo è passato dal rinnovo precedente (pena sanzione amministrativa e sospensione patente di guida).
Con il 29 giugno 2022 sono terminate le proroghe legate al Covid-19 tranne per la cqc, visto che è stata data la possibilità a chi ha concluso il corso per il rinnovo, ma non ha ancora ottenuto il nuovo documento per ingolfamento degli UMC, di ottenere un permesso di guida valido 6 mesi. Anche le C.M.L. hanno arretrati da smaltire e, pertanto, si consiglia di richiedere la visita annuale per confermare il possesso dei requisiti psico-fisici almeno 6 mesi prima per evitare di far scadere il titolo.
Il funzionamento delle C.M.L. è disciplinato principalmente dal Regolamento di attuazione del Codice della Strada (art. 330). Alla visita il paziente deve presentarsi con i referti di specifiche visite ed esami richiesti dalla Commissione in base alle patologie (esempio: visita cardiologica, ecocardiogramma, visita oculistica, visita diabetologica, ecc).
Ovviamente, il suddetto regolamento fornisce le linee guida principali, poi ciascuna struttura sanitaria determina il proprio funzionamento in termini di prenotazioni e rilascio della documentazione prevista. Pertanto, vista la sottile differenza di tali regole, è possibile incappare in disguidi dando, per esempio, per scontato che l’esito positivo della visita e il conseguente rilascio della patente di guida per 2 anni sia requisito sufficiente per condurre un veicolo di massa superiore a 20 ton, senza specificare dall’una o dall’altra parte il fine del rinnovo della patente e il rilascio dello specifico attestato.
Per quanto riguarda il declassamento, è possibile in qualsiasi momento chiedere in maniera facoltativa il passaggio da una patente a una categoria più bassa.

Relativamente alle sanzioni, il codice della strada prevede l’ipotesi come da tabella

500 milioni. Deciso a metà marzo, dopo quattro mesi il sostegno «urgente» ancora non c’è. Una corsa al rallentatore

Probabilmente, mentre questa rivista va in stampa, la questione del credito d’imposta di 500 milioni a compensazione delle maggiori spese sostenute dalle imprese dell’autotrasporto per il forte aumento del prezzo dei carburanti, sarà stata risolta; il decreto attuativo sarà stato emanato e il codice tributo sarà stato comunicato dall’Agenzia delle Entrate. E le aziende del settore avranno potuto utilizzare il credito d’imposta per ridare ossigeno alle loro casse ormai allo stremo. Ma la storia di questa misura – ritenuta da tutti urgente e indispensabile – è al tempo stesso tormentata ed esemplare di quanti ostacoli disseminino la strada di ogni provvedimento adottato in Italia e di quante difficoltà, incertezze, confusioni, incomprensioni, ma anche superficialità e imprevidenza finiscano per allungare i tempi di realizzazione di qualunque provvedimento, anche il più urgente.

18 marzo. Il governo approva i 500 milioni
Il gasolio costa 56 cent in più da inizio anno

Lo stanziamento di 500 milioni per «mitigare gli aggravi economici» subiti dall’autotrasporto con la fiammata del prezzo del gasolio a causa (ma non solo) della guerra in Ucraina è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 18 marzo scorso, nello stesso decreto-legge in cui è stata stabilita la riduzione dell’accisa sui carburanti di 25 centesimi al litro. In quella settimana, stando alle rilevazioni del ministero per lo Sviluppo economico, la media dei prezzi alla pompa del gasolio da autotrazione, con l’invasione dell’Ucraina, era schizzata a 2,124 al litro contro i 1,598 di inizio anno: 56 centesimi in più.
La decisione aveva fruttato al governo il «congelamento» del fermo proclamato dagli autotrasportatori (si sarebbe dovuto svolgere il 4 aprile) per protestare contro gli aumenti del gasolio e cinque giorni di tranquillità sul fronte dei rapporti con le rappresentanze degli autotrasportatori. Ma già il 23 marzo, appena letto il provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale, le proteste erano ricominciate: si era scoperto che lo sconto per i veicoli Euro V ed Euro VI (21 centesimi al litro) veniva assorbito dal taglio generale. In altre parole, ne venivano esclusi proprio i veicoli meno inquinanti e più sicuri, su cui avevano investito gli imprenditori più attenti e, dunque, la «mitigazione dell’aggravio economico» per loro sarebbe stata di soli 4 centesimi al litro.
Amedeo Genedani, presidente di Confartigianato Trasporti (e di Unatras), chiedendo un nuovo incontro con la viceministra Teresa Bellanova, la definì «irrisoria» e, comunque, insistette sulla necessità di definire con urgenza le modalità di erogazione «che devono essere destinati a beneficio degli autotrasportatori, affinché già nelle prossime settimane ricevano direttamente liquidità nelle proprie casse aziendali». Quelle «prossime settimane» sono diventate quattro mesi e, a metà luglio, «nelle proprie casse aziendali» gli autotrasportatori più corretti ancora non hanno visto un euro. Anche perché per due trimestri consecutivi, l’Agenzia delle Entrate ha sospeso il rimborso delle accise, proprio per via del taglio lineare di 25 centesimi al litro.

21 aprile. Non si userà il credito d’imposta
Il gasolio costa 17 cent in più di gennaio

Sarà stato che il gasolio ad aprile aveva cominciato a calare di prezzo (nella settimana tra l’11 e il 17 ha toccato il punto più basso del periodo con 1,750 euro al litro, pur sempre però 15 centesimi in più dei primi di gennaio), ma il confronto governo-associazioni per concordare le modalità dell’erogazione segna il passo. Un primo incontro serve solo a stabilire che il beneficio sarebbe toccato unicamente ai veicoli Euro V ed Euro VI, remunerando in tal modo gli imprenditori più «virtuosi» che sarebbero stati beffati dal taglio lineare. Ma ancora il 21 aprile – con il gasolio a 1,767 euro, 17 centesimi più caro di gennaio – dopo una nuova riunione con la viceministra, non c’era ancora neppure la certezza che si potesse impiegare il credito d’imposta per ottenere le risorse. «Dal confronto», recitava una nota diffusa da CNA-Fita, «è emerso, in particolare che, molto probabilmente, non sarà il credito d’imposta lo strumento per distribuire i 500 milioni alle imprese. La viceministra ha spiegato infatti che, in alternativa a questa modalità, si starebbe studiando la possibilità di assegnare tali risorse tramite l’Agenzia delle Dogane che già dispone dei dati relativi al consumo di gasolio dei primi tre mesi di quest’anno».

28 aprile. Contrordine: si userà il credito d’imposta
Il gasolio costa 23 cent in più di gennaio

Il 28 aprile, un nuovo incontro dà il contrordine: si userà il credito d’imposta, ne potranno usufruirne le aziende con mezzi Euro V ed Euro VI e con massa totale maggiore di 7,5 tonnellate. E finalmente il 2 maggio (il gasolio sta ricominciando a salire: nella settimana 2-8 maggio è a 1,791 euro al litro: più 23 centesimi rispetto a gennaio) il Consiglio dei ministri, insieme alla proroga all’8 luglio del taglio lineare dell’accisa, (ri) approva, nel cosiddetto decreto «Aiuti», l’erogazione dei 500 milioni (496.944.171, per la precisione), questa volta con qualche indicazione in più: l’importo riconosciuto a ciascuna impresa sarà commisurato al quantitativo dei gasolio consumato nel 1° trimestre 2022: il credito d’imposta sarà pari al 28% dei costi sostenuti per l’acquisto del carburante (con un beneficio stimato in 25-30 centesimi al litro). In più tale beneficio non concorrerà alla formazione del reddito. Grande festa. CNA-Fita annuncia: finalmente in dirittura d’arrivo i 500 milioni per l’autotrasporto merci.

12 maggio. Adesso c’è il problema del de minimis
il gasolio costa 23 cent in più di gennaio

Ma dev’essere una dirittura più lunga dell’arrivo della Milano-Sanremo, se dopo dieci giorni – il 12 maggio (con il gasolio, intanto risalito, quella settimana, a 1,828 euro al litro, 23 centesimi in più di gennaio) – sorge il problema del de minimis, cioè del limite di sostegno alle imprese che un governo non può superare per non incorrere, da parte dell’Unione europea, nella procedura d’infrazione per «aiuti di stato»; limite che per l’autotrasporto è di soli 100 mila euro (in tre anni) per singola azienda contro i 200 mila di quasi tutti gli altri settori produttivi. In realtà, per attutire gli effetti negativi della pandemia, da marzo 2020 questa disposizione è stata attenuata da Bruxelles, ma il decreto non esplicita il ricorso alla norma «attenuata», lasciando il dubbio che in questo caso non possa essere applicata con il rischio, soprattutto per le imprese maggiori – e quindi più esposte – che il tetto del de minimis faccia diventare il beneficio davvero minimo.

17 maggio. Il decreto in Gazzetta
il gasolio costa 10 cent in più di febbraio

Per capire come stanno le cose bisogna attendere la pubblicazione del decreto-legge sulla Gazzetta ufficiale, il 17 maggio (il gasolio è il leggera discesa, a 1,820 euro al litro, ma ancora 22 centesimi più di gennaio). Nel testo, in effetti, non compare la dizione circolata in bozza che faceva riferimento al de minimis pre-Covid, ma una conferma da Bruxelles è, comunque, necessaria, nel senso che – sia pure formalmente – l’applicazione della norma «attenuata» deve essere notificata alla Commissione europea che la deve valutare. Soltanto dopo – con la certezza che il sostegno non cadrà sotto la tagliola del de minimis – si potrà emanare il decreto attuativo e, soprattutto, l’Agenzia delle Entrate potrà comunicare alle imprese il codice tributo da usare per «scalare» il contributo dal primo F24 possibile.

7 giugno. Giovannini: il decreto è fermo a Bruxelles
Il gasolio costa 34 cent in più di gennaio

Solo una semplice formalità? Forse no, se venti giorni dopo, il 7 giugno (il gasolio quella settimana è risalito a 1,935 euro al litro, più 34 centesimi rispetto a inizio anno), il ministro per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, ammette candidamente in un’audizione alla Camera che il decreto-legge 50 è oggetto di una «interlocuzione» presso la Commissione europea per evitare opposizioni da Bruxelles. Le associazioni di rappresentanza cominciano a preoccuparsi. Unatras si sente costretta a scrivere direttamente al presidente del Consiglio, Mario Draghi, oltre che a Giovannini e a Bellanova, per sollecitare l’erogazione del sostegno.

16 giugno. Giovannini: il decreto è fermo a Bruxelles
Il gasolio costa 34 cent in più di gennaio

Ma ci vuole un’altra decina di giorni per arrivare, il 16 giugno (mentre il gasolio arriva a 1,935 euro al litro, più 34 centesimi su gennaio) all’ennesimo incontro risolutivo tra associazioni e governo (MIMS e MISE, ma anche Agenzie delle Entrate e delle Dogane): se ne esce con l’impegno del governo di far partire in giornata «la documentazione utile alla conclusione della procedura», secondo una nota di Unatras. Alla fine, tutti esprimono soddisfazione, ma deve restare nell’aria un pizzico di diffidenza se, da una parte Unatras promette di monitorare i successivi passaggi, e dall’altra il presidente di Anita, Thomas Baumgartner, nel riconoscere al governo «l’ottimo lavoro svolto», si augura che «le tempistiche per il riconoscimento del credito siano brevi come promesso e che l’iter procedurale sia tecnicamente funzionale». Perché nel frattempo si avvicina la scadenza fiscale del 31 luglio, in occasione della quale sarà possibile utilizzare l’F24 per ottenere il beneficio. Ma a tre settimane da quella data – 114 giorni dopo la prima approvazione della misura da parte del Consiglio dei ministri – in mano ai trasportatori non rimane che il silenzio dell’attesa, rotto soltanto da un comunicato di Unatras del 12 luglio che annuncia il via libera di Bruxelles alla misura e mette pressione il governo, che non a caso il giorno seguente annuncia di aver firmato il decreto ministeriale e di aver convocato le associazioni dell’autotrasporto per venerdì 15 luglio per fornire gli aggiornamenti sulle procedure per la fruizione del credito d’imposta.
Nel frattempo, mentre si attende la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate che dovrebbe comunque servire a minimizzare i sovraccosti degli acquisti di carburante effettuati nel primo trimestre dell’anno, il gasolio, indifferente ai problemi degli autotrasportatori e del governo, supera nuovamente la soglia non solo psicologica dei 2 euro (il 20 giugno) per poi schizzare, il 27 giugno, a 2,033. A metà luglio concede una tregua scendendo fino a 1.981,63. Tornerà a salire? Non resta che trasformare il silenzio dell’attesa nel silenzio della speranza.

Alessandro Pitto, presidente Fedespedi: «Sostenibilità, digitalizzazione e nuove competenze»

È una fase delicata per il sistema dei trasporti mondiale, quella in cui Alessandro Pitto è stato chiamato alla guida di Fedespedi. I prossimi anni si presentano nel segno degli squilibri creati dalla pandemia, dell’incertezza del quadro politico-economico mondiale di cui il conflitto in Ucraina sembra una prima drammatica avvisaglia, della transizione verso il trasporto a zero emissioni. Ma Pitto, genovese di 52 anni, abituato dalla nascita ad affrontare i pericoli del mare – meteorologici ed economici – non sembra aver paura. Neppure del fatto di essere il 17° presidente dell’associazione degli spedizionieri italiani. Anzi è la sfida interna a mettere al primo posto del suo programma: «Dobbiamo innanzitutto consolidare», esordisce, «il ruolo della nostra Federazione come interlocutore esperto nel dialogo con stakeholder e decisori pubblici, ruolo che abbiamo costruito in 76 anni di storia al servizio delle imprese di spedizioni italiane e rafforzato nell’ultimo triennio grazie alla rilevanza acquisita dal mondo della logistica nello scenario internazionale e al lavoro portato avanti insieme a Confetra».

Come contate di raggiungere questo obiettivo?

Il modo migliore è continuare a valorizzare la pluralità di competenze presenti nelle imprese associate e stimolare il confronto tecnico tra colleghi su questi temi strategici. La sede del confronto sono i Gruppi di lavoro che compongono la Federazione, dedicati a materie core per le imprese di spedizioni internazionali (mare, terra, aereo, dogana e regolamentazione normativa) e a tematiche trasversali che riguardano sempre più da vicino il settore (digitalizzazione, sostenibilità, organizzazione del lavoro e competenze). La sfida più impegnativa è questa: affiancare ai temi tecnici che da sempre presidiamo con successo, l’attenzione a temi orizzontali, consapevoli che questi sono oggi imprescindibili per garantire la competitività della categoria. Penso, in primo luogo, al tema della digitalizzazione su cui ho lavorato nello scorso mandato come vicepresidente con delega a IT. Il nostro compito è lavorare perché la categoria e l’intero settore della logistica, dei trasporti e delle spedizioni possa compiere importanti transizioni, essenziali per un sistema logistico nazionale efficiente e competitivo. Proprio di cambiamento abbiamo parlato all’evento di celebrazione del 75° anniversario di Fedespedi che si è tenuto a Venezia lo scorso maggio, declinandolo su tre direttrici principali: sostenibilità in tutte le sue accezioni, digitalizzazione delle procedure che scandiscono i processi logistici, valorizzazione e attrazione di nuove competenze in aziende strutturate su nuovi modelli organizzativi. A questo si aggiunge una sfida che è il patrimonio e la linea guida di lavoro della nostra Federazione: assicurare al mercato contesti normativi funzionali alle esigenze del business, garantendo alle imprese di lavorare in un quadro legislativo che assicuri certezza delle regole nel rispetto del leale gioco della concorrenza, che è imprescindibile per rafforzare il pluralismo e quella eterogeneità che caratterizza il vivace tessuto imprenditoriale italiano.

Lei viene dal mare. E dal mare sono arrivati i primi squilibri creati dalla pandemia, con navi container bloccate fuori dai porti. Nella difficoltà, tuttavia, le compagnie marittime fanno utili con crescite a due cifre. Quali conseguenze ha tale squilibrio sugli spedizionieri?

Rispetto alle dinamiche di mercato a cui eravamo abituati, è in corso una rivoluzione, che pesa quotidianamente, da due anni, sull’operatività delle imprese di spedizioni e soprattutto sui flussi in import e in export. I disagi a danno della merce che tutti conosciamo – noli elevati, affidabilità ai minimi storici, mancate partenze – sono esplosi nel post pandemia, ma le loro cause vengono da lontano e affondano le radici nella rincorsa al gigantismo navale che ha messo in crisi gli altri snodi della logistica. Grazie a processi di acquisizione orizzontale e di integrazione verticale le compagnie marittime hanno consolidato una posizione di assoluta dominanza nel mercato che sfruttano a proprio vantaggio grazie anche a una legislazione europea non più adeguata al contesto di mercato – penso in particolare al Consortia Block Exemption Regulation. La forza delle shipping line sta nella capacità di controllare l’offerta di stiva e di conseguenza il livello dei noli. L’ultima analisi del Centro Studi Fedespedi lo mette bene in evidenza: nel primo trimestre 2022 è stata registrata una diminuzione del livello di traffico di container a livello mondiale (a causa degli effetti della crisi in Ucraina) ma i profitti finali delle shipping line continuano ad avere segno positivo. Davanti a tale scenario, mi preme sottolineare che il conto non lo pagano solo le imprese di spedizioni ma pesa sul Made in Italy, sui flussi di import-export, sulla merce, sui consumatori. Dunque, il tema non è solo tutelare il ruolo delle imprese di spedizioni, ma proteggere il mercato. In USA la questione è ben presente anche agli organi di governo, in primis al presidente Biden che rintraccia nell’oligopolio delle compagnie marittime una delle cause dell’inflazione. Purtroppo, il nostro interlocutore in Europa è stato finora passivo davanti alle istanze delle rappresentanze dell’industria logistica. Ma noi continuiamo a lavorare con il CLECAT, nostra rappresentanza in Europea, e con FIATA, la nostra federazione a livello mondiale, richiamando il decisore pubblico e le autorità competenti a intervenire a tutela del mercato.

Per la prima volta la logistica entra nel Codice civile, grazie a un emendamento al DL sul PNRR, con cui il legislatore ne riconosce il ruolo e il contratto che definisce il suo svolgimento assume forma specifica all’interno della regolamentazione dei contratti di appalto. Dopo l’ammodernamento – sostenuto da Fedespedi – della disciplina del contratto di spedizione, c’è una nuova attenzione di governo e Parlamento riguardo alla logistica?

L’emergenza pandemica ha fatto guadagnare all’industria logistica popolarità inedita di cui abbiamo giovato anche in termini di dialogo con i decisori pubblici che sempre più spesso ci hanno coinvolto tra gli interlocutori chiave per gestire la crisi prima e i piani di ripresa dopo. Un nostro merito è sicuramente quello di aver dato il massimo dell’impegno favorendo l’accreditamento della nostra rappresentanza, per la preparazione tecnica e la capacità di confronto e dialogo nei tavoli politici. In questo è stato ed è fondamentale il ruolo della nostra confederazione, Confetra: grazie a tale sinergia, è stato possibile instaurare il confronto in sede di CNEL che ha portato all’approvazione della nostra proposta di modifica del Codice civile in materia di contratto di spedizioni. Lo spirito con cui abbiamo avviato il lavoro, infatti, è stato di adattare il dettato normativo all’operatività delle filiere di approvvigionamento del 2022, restituendo agli operatori uno strumento legislativo che sia una guida alla propria attività e non motivo di incertezza o contenzioso.

Altro risultato conseguito da Fedespedi è il SuDoCo, sportello unico doganale dei controlli che dovrebbe accelerare le procedure doganali e minimizzare le attese nei porti. Ci riuscirà veramente?

Per quasi vent’anni il mondo degli operatori ha richiesto la realizzazione dello Sportello Unico Doganale e dei Controlli, strumento cardine per garantire qualità, efficienza, velocità del ‘momento doganale’. L’obiettivo è stato in parte raggiunto con l’inserimento dell’effettiva realizzazione del Sudoco nella misura 3.2 del PNRR a cui è seguito il Decreto n. 235 dello scorso dicembre contenente il Regolamento istitutivo dello Sportello Unico e la determinazione dell’Agenzia delle Dogane che ha definito l’architettura generale della piattaforma. Noi crediamo che questo strumento possa segnare un punto di svolta per il sistema logistico italiano, gravato da decenni dal peso di oneri amministrativi che ci rendono meno competitivi rispetto ai Paesi nostri vicini in Europa. L’architettura del sistema, per come la conosciamo oggi, mira a questo facendo propri i principi sanciti dalla legislazione europea: once only e single window, trasmissione di dati e informazioni una sola volta e interfaccia comune a tutte le autorità competenti per l’espletamento di controlli e formalità doganali. Sappiamo che l’Agenzia delle Dogane ha avviato già a febbraio il processo di realizzazione della piattaforma informatica. Dunque, non possiamo che chiedere di accelerare il processo e portare finalmente concretezza al progetto. Nostro compito sarà continuare a monitorare con attenzione e sollecitarne alle autorità l’effettiva e rapida attuazione.

Giezendanner: Il futuro è intermodale e aggregativo. Storia e ambizioni del pioniere svizzero del trasporto

85 anni di storia, un fatturato di circa 100 milioni di euro, una flotta composta da 700 container (tra tank e silo) e da 190 camion (di cui 140 di proprietà e 50 di padroncini in subvezione). È il ritratto in cifre della Giezendanner, società svizzera specializzata a livello europeo nel settore del trasporto intermodale e stradale, dal 2021 approdata anche nel nostro Paese con l’apertura di una filiale con sede a Ravenna. A guidare la rappresentanza italiana è Simon Valvassori, che ha raccontato a Uomini e Trasporti progetti, numeri e ambizioni della società, entrata dallo scorso luglio a far parte anche del Gruppo Federtrasporti.

Com’è nata e qual è la storia di Giezendanner?

La società è nata in Svizzera nel 1934. Agli inizi era una piccola impresa a conduzione familiare che nel tempo è diventata un grande player. In questo momento il gruppo è leader nel trasporto interno alla Svizzera e negli ultimi anni è cresciuto ulteriormente grazie all’acquisizione di nuove società. La sede centrale è a Rothrist, nel cantone di Aargau, dove vengono coordinate tutte le attività principali. È qui, infatti, che si trova il motore di tutto: il terminal dei treni, le stazioni di lavaggio delle cisterne con certificazione SQAS, le officine, gli uffici e 25.000 metri quadri di magazzini. C’è poi la filiale di Colonia, in Germania, attiva dal 1995, che organizza tutte le operazioni di trasporto in nord Europa. Il collegamento tra Rothrist e Colonia è assicurato ogni giorno grazie a una coppia di treni con 40 unità: il primo treno parte alle 16 da Rothrist in direzione Koln e il secondo alle 17 in direzione opposta. Così vengono inviati sia i carichi dei clienti, sia le unità vuote per i successivi ricarichi. Giezendanner è anche azionista di maggioranza della Kombiverkehr, l’associazione dei trasportatori intermodali tedeschi.

Cos’ha portato la società a sbarcare anche in Italia?

La filiale italiana è stata ufficialmente costituita nel 2021, ma in realtà le basi di questa operazione affondano le radici nel 2017. All’epoca la società era intenzionata ad allargare i propri orizzonti e a espandersi sul mercato italiano alla ricerca di nuovi clienti. Allo stesso tempo io, che venivo da 15 anni di lavoro come direttore presso una grande ditta privata di trasporti stradali in cisterna, ero alla ricerca di nuove opportunità lavorative di più ampio respiro e così decisi di iniziare a collaborare con Giezendanner. Diciamo che è stato un mutuo arricchimento. È successo infatti che molti dei miei clienti precedenti mi hanno chiesto di poter collaborare seguendomi nella nuova realtà, per cui abbiamo sviluppato un lavoro che ad oggi ha portato la filiale a gestire una flotta di circa 100 container dedicati prevalentemente al trasporti di prodotti colloidi, come latici, dispersioni ecc.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?

I nostri tank non sono dedicati al mercato italiano, ma viaggiano per tutta Europa anche su tratte «esotiche». Solo a titolo di esempio, carichiamo regolarmente dal Belgio per Svezia e Finlandia, ma anche per Polonia e Repubblica Ceca. Ovviamente il mercato italiano dal Belgio è il principale, ma per noi è importante offrire un servizio a 360° e i clienti apprezzano molto questa caratteristica e la nostra flessibilità. Un lavoro, del valore di 6 milioni di euro annui per un totale di circa 350 trasporti al mese, svolto con i nostri tank container e con 5 subvettori integrati che svolgono per noi i trasporti stradali in caso di ritardi o emergenze.

Qual è il bilancio dell’attività fin qui svolta?

La crescita dei trasporti e del lavoro gestito è stata pari a un 25% annuo. Ed è proprio questa crescita che ha portato nel 2021 alla costituzione della succursale italiana, che in realtà è molto più di una semplice filiale: nei fatti è una società autonoma con status interno di business unit. Abbiamo completa autonomia per la selezione dei clienti, le tariffe, le strategie commerciali.

A luglio Giezendanner Italy è entrata a far parte nel Gruppo Federtrasporti. Cosa vi ha spinto a intraprendere questo processo di affiliazione?

Crediamo nelle sinergie e nell’aggregazione. La nostra ambizione è quella di lavorare sempre più a stretto contatto con trasportatori locali e di crescere al fianco delle cooperative italiane. I vantaggi sono reciproci. Anche Federtrasporti può trarre benefici da questa operazione, perché potrebbe, per esempio, fornire servizi di trazione a una grande ditta intermodale europea che si immette sul mercato italiano.

Un tratto essenziale che contraddistingue la vostra attività?

Il lavoro di squadra. In ufficio sono affiancato da tre professionisti, tra i quali Cristina Grecu – responsabile operativo – che è il mio braccio destro e il mio vice. Non meno importanti sono gli autisti per le trazioni: rappresentano una risorsa preziosissima e sono il nostro biglietto da visita. Del resto, in tempo di Covid, quando non ci si vedeva con i clienti, chi erano gli unici a mandare avanti il lavoro?

Quali sono i piani per il futuro?

La società, come accennato, cresce per acquisizioni e questa resta la strategia principale anche per i prossimi anni. A tal proposito possiamo dire che siamo interessati anche ad acquisire una o più società del nostro Paese per una crescita organica nel sistema Italia.

Trasporti Pesanti inaugura un «ponte» ferroviario tra Belgio e Italia. Dalla Padania al mare del Nord

Con il settore dell’autotrasporto attanagliato dalla cronica carenza di autisti e dalla crescente pressione sui tempi di transito, spesso a causa di strade sempre più congestionate dal traffico e dai cantieri eterni, il ricorso all’intermodalità può rappresentare una boccata d’ossigeno per le imprese di autotrasporto. Attraverso un’equilibrata combinazione tra strada e rotaia, è possibile infatti riuscire a ottimizzare con maggiore efficienza i flussi di merci, oltre che a renderli più sostenibili. Così sì potrebbe riassumere la visione di Trasporti Pesanti, operatore logistico con sede a Piadena (Cremona), da sempre convinto della bontà della soluzione intermodale che, secondo il direttore generale Stefano Storti, «diventerà sempre più indispensabile per le strategie di movimentazione delle merci dei prossimi anni».

Una logistica alternativa a quella su gomma

Una visione, quella di Trasporti Pesanti, che è stata corroborata da continui investimenti per il potenziamento delle infrastrutture per l’intermodalità. Ne è una chiara conferma l’annuncio, nello scorso luglio, dell’avvio di un nuovo collegamento ferroviario tra il proprio terminal, situato a Piadena (a 150 km da Milano), all’hub Interface di North Sea Port, situato a Gand. L’apertura di questa nuova rotta unisce la Lombardia al Belgio e rappresenta il secondo accesso ferroviario in Italia dopo quello di Segrate, avviato nel 2021. Il servizio, come ha sottolineato Storti nel corso dell’evento di inaugurazione della nuova linea, «è stato reso possibile da un notevole sforzo da parte del team della Trasporti Pesanti e anche dei nostri fornitori, che hanno garantito l’approvvigionamento dei mezzi di movimentazione e la realizzazione delle infrastrutture necessarie». Strategica in tal senso, per la finalizzazione del progetto, la sinergia avviata con la compagnia ferroviaria belga Lineas.

15.000 container all’anno

«I clienti chiedono capacità di trasporto ferroviario aggiuntiva sul corridoio europeo tra il Nord e il Sud – ha sottolineato Storti – e riteniamo che questo collegamento sia la risposta perfetta: una soluzione ferroviaria veloce e affidabile, capace di collegare in circa 24 ore due tra le regioni industriali più importanti d’Europa». Ma si tratta anche di una soluzione ecologica, considerando che questo servizio, aggiunge Storti, «è in grado di trasferire dalla strada alla rotaia circa 15.000 container l’anno, evitando così l’immissione nell’ambiente di 90.000 tonnellate annue di CO2». La frequenza del servizio sarà di cinque viaggi la settimana, in entrambe le direzioni. Le principali merci trasportate dai treni riguardano prodotti chimici, acciaio, piastrelle, prodotti per la casa, merci sfuse e polveri in tutti i tipi di container.

Carrelli elevatori. Largo all’elettrico

Nel settore della movimentazione di carichi su brevi-medie distanze si sta sempre più affermando a livello mondiale la tendenza a utilizzare carrelli elettrici. Questo perché i forklift a batteria possono operare al meglio nelle stazioni di carico e scarico come nelle operazioni di consegna in area urbana o infine sulle strette aree di carico dei camion.
Anche Linde e Still, due dei principali produttori del comparto, hanno abbracciato questo trend, lanciando recentemente nuovi carrelli a motore elettrico.

Il nuovo transpallet elettrico Linde T14.

Per Linde stiamo parlando dei transpallet elettrici T14-T20 con operatore a terra, che hanno una portata tra le 1,4 e le 2 ton e si presentano più robusti e silenziosi. Ideali per la movimentazione e il trasporto di pallet, i T14-T20 hanno un design compatto, con un telaio di soli 429 mm che rende il carrello più maneggevole e allo stesso tempo più leggero. Tutti i transpallet sono dotati di un motore elettrico a prestazioni elevate. La funzione Safety Speed riduce automaticamente la velocità di marcia in base all’angolo del timone, mentre il caricabatteria integrato consente di effettuare la ricarica da qualsiasi presa di corrente (entrambi optional).
Sul fronte sicurezza, se l’operatore rilascia l’interruttore a farfalla o modifica la direzione di marcia, il mezzo frena automaticamente. Un sistema anti-schiacciamento rileva il contatto, anche leggero, del piede con il veicolo e lo arresta, evitando l’intrappolamento dei piedi tra carrello e ostacolo. Un freno di stazionamento automatico impedisce lo spostamento involontario in pendenza e la funzione marcia lenta – opzionale – consente un controllo supplementare in situazioni difficili.
Rispetto al comfort, il display sul telaio fornisce all’operatore tutte le informazioni su ore di funzionamento, batteria e stato di manutenzione. Il motore silenzioso, così come la pompa idraulica, gli equipaggiamenti speciali e le ruote opzionali a triplo rullo portante, mantengono la rumorosità al di sotto dei 60 DB per un impiego serale o notturno in aree urbane.
Infine, per i servizi di assistenza i tecnici del Gruppo sono in grado di accedere ai dati del transpallet tramite un’interfaccia centrale, per effettuare la diagnostica degli errori e gli aggiornamenti software, anche da remoto.

Anche Still ha lanciato una nuova gamma elettrica, la RXE 10-16 C, con portata fino a 1,6 ton e velocità max di 12,5 km/h. Alti meno di 2 m e larghi meno di 1 m, questi frontali sono ideali per lo scarico dei camion. Possono essere equipaggiati con batteria al piombo-acido o agli ioni di litio e sono alimentati da un motore trifase da 24 v a bassa manutenzione. Anche in questo caso la sicurezza è stata garantita con il Curve Speed Control, che regola automaticamente la velocità in curva e aiuta a mantenere il veicolo in traiettoria, l’indicatore di direzione, l’illuminazione di sicurezza Safety Light 4Plus, il segnalatore dell’altezza di sollevamento, l’assistente di stabilità e il rilevamento del sovraccarico. Infine, il computer di bordo intelligente Still Easy Control permette di visualizzare l’altezza di sollevamento, l’angolo, il brandeggio del montante, il carico e il suo baricentro.

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