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Credito d’imposta. Forse si potrà utilizzare con le scadenze di metà novembre. A passettini verso il ristoro

Un passo – anzi un passettino – dopo l’altro, il credito d’imposta del 28% calcolato sugli acquisti di gasolio del primo trimestre 2022 si avvicina sempre di più – anche se molto lentamente – ai portafogli degli autotrasportatori. Al termine di un mese di agosto fitto di contatti tra i tecnici delle associazioni di categoria e quelli dell’Agenzia delle Dogane che hanno prodotto 145 FAQ di chiarimento, distribuite in tre comunicazioni della medesima Agenzia, è stato deciso che dalle ore 15, di lunedì 12 settembre sarebbe stata attiva la piattaforma sulla quale le imprese possono chiedere il ristoro, presentando le fatture per l’acquisto del gasolio emesse nel primo trimestre dell’anno.
Ne possono beneficiare – vale la pena ricordarlo – le imprese italiane di autotrasporto in conto terzi iscritte all’Albo degli autotrasportatori e al REN attive con veicoli di massa pari o superiore a 7,5 tonnellate e motori diesel di categoria Euro V o superiore, ma la singola impresa non può ottenere più di 400 mila euro, un de minimis rialzato per la circostanza dall’Unione europea alla luce dell’eccezionalità della situazione.

Applicabile alle scadenze di metà novembre

Dal momento che la piattaforma resterà aperta fino al 19 ottobre e che ci vorrà qualche altro giorno per atti di burocrazia varia, la scadenza fiscale più probabile per poter applicare il credito d’imposta appare quella dei pagamenti di metà novembre. Non dovrebbero esserci problemi neppure sulla copertura: i 496 milioni di euro stanziati alla bisogna dovrebbero coprire tutte le richieste, visto che – come hanno più volte ribadito i funzionari dell’Agenzia delle Dogane nel corso degli incontri con le associazioni di settore – sono stati calcolati sulla base dei consumi reali registrati negli esercizi precedenti per lo sconto delle accise. Malgrado tali rassicurazioni, però, in tanti a partire dalle ore 15 del 12 settembre hanno provato a presentare istanza, riscontrando insormontabili problemi nell’accesso. Dopo qualche giorno di nervosismo, la stessa Agenzia ha dovuto ammettere che effettivamente nel sistema informatico c’erano delle anomalie, che si manifestavano soprattutto mostrando un messaggio di allarme che inibiva l’accesso anche a chi disponeva dei requisiti necessari.
Ma al di là di questi «incidenti di percorso», utili comunque a mettere a dura prova la tenuta del sistema nervoso degli autotrasportatori, le associazioni dell’autotrasporto hanno sempre definito la soluzione «credito di imposta» come un «successo». Così ha fatto Sergio lo Monte, segretario generale di Confartigianato Trasporti, sottolineando tre caratteristiche positive della misura: è cumulabile con altre agevolazioni; non concorre alla formazione del reddito d’impresa; se non si riesce a esaurirlo in questo esercizio fiscale, si può riportare alle scadenze successive.
E, d’altra parte, le imprese potranno ritenersi soddisfatte anche dell’entità del ristoro: considerando che fino al 21 marzo lo sconto per le accise è stato già pagato e ipotizzando che incidesse (come sembra probabile) per 100 milioni di euro al mese, è come se quei 500 milioni andassero a coprire il mancato sconto per le accise (assorbito da quello generalizzato di 30 centesimi al litro per tutti) per altri cinque mesi e dunque fino a tutto agosto. Da settembre in poi, però, la questione si sta riproponendo: prolungato lo sconto generalizzato fino al 17 ottobre, si è tornati alla parità di trattamento fra i veicoli più ecologici e i veicoli esclusi dallo sconto sulle accise perché di classe inferiore agli Euro V.

Qualcosa da mettere a punto

Eppure, qualche codicillo da mettere a punto rimane, tanto è vero che gli incontri fra associazioni e Agenzia delle Dogane continuano. Lo stesso Paolo Uggè, presidente di FAI-Conftrasporto, quando il ministro per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, aveva firmato il decreto attuativo, lo scorso luglio, pur esprimendo soddisfazione aveva avvertito: «Ora si apre la fase di confronto sulle regole, tutt’altro che secondaria».
C’è stato, per esempio, il problema delle società di noleggio delle imprese di autotrasporto, una pratica sempre più frequente tra le aziende strutturate che creano al loro interno società ad hoc alle quali intestare i veicoli da impiegare nei loro trasporti. In un primo tempo era richiesto il contratto registrato comprovante la disponibilità del mezzo, ora – dopo una lettera del segretario generale di Assotir, Claudio Donati, al ministro Giovannini – la disposizione è stata attenuata: basterà una documentazione qualunque che dimostri l’effettiva vigenza del contratto di locazione nel periodo per il quale si chiede il ristoro.

Il decreto per l’AdBlue

Intanto è arrivato l’atteso decreto ministeriale per compensare i maggiori costi sostenuti dalle imprese per l’acquisto dell’AdBlue, l’additivo indispensabile per il funzionamento dei veicoli diesel con catalizzatore SCR, praticamente tutti i più ecologici: in giro ce ne sono quasi un milione e mezzo, 300 mila dei quali con portata superiore ai 35 quintali. Legato alla produzione del metano, il prezzo dell’additivo è quadruplicato, passando dai 6 ai 25 euro per 10 litri dello scorso marzo, una quantità – per intendersi – sufficiente a percorrere intorno ai 5 mila chilometri. Dal momento che quando si esaurisce l’AdBlue, il motore subisce un drastico taglio della coppia, è evidente che l’additivo è vitale per gli autotrasportatori più sensibili ai temi ambientali e che, in assenza di un sostegno economico, verrebbe favorita la circolazione dei veicoli più inquinanti.
Per far fronte a questa situazione il governo, il 1° marzo scorso, aveva stanziato nel decreto legge Bollette-Energia 29,6 milioni di euro per un credito d’imposta del 15% sugli acquisti dell’additivo effettuati nel 2022, cumulabile con il sostegno per il gasolio e non concorrente alla formazione del reddito d’impresa, ma con un tetto da definire (l’ipotesi è di 500 mila euro per impresa).
Il decreto legge era stato convertito in legge il 26 aprile. Il decreto ministeriale è stato firmato dal ministro Giovannini lo scorso 7 settembre. Di questi tempi meno di cinque mesi per la burocrazia è la velocità di un razzo. Ma adesso bisogna attendere il decreto direttoriale che definirà termini e modalità per la presentazione delle domande. Anche in questo caso si prevede la creazione di una piattaforma informatica e, dunque, l’avvicinarsi di un clic-day, senza sapere – almeno al momento – se in questo caso la copertura sarà sufficiente per accontentare tutti o se bisognerà mettersi in coda davanti al computer per arrivare prima degli altri.

Problemi per il gas

Lo stesso decreto Energia-Bollette aveva approvato un altro credito d’imposta (del 20%) per sostenere le imprese colpite dagli esorbitanti aumenti dei carburanti, cercando di compensare gli aumenti del costo del metano liquido o gassoso, utilizzato – secondo una ricerca di Unrae veicoli industriali – dal 3% dei mezzi al di sopra delle 3,5 tonnellate di portata e, dunque, da circa 20 mila veicoli merci. Non moltissimi, ma «virtuosi» per aver scelto un carburante a basso impatto ambientale il cui impiego era in netta crescita, anche per il basso costo, fino agli ultimi aumenti: a marzo, poco dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, il prezzo del gas alla pompa era cresciuto di otto volte, arrivando a toccare i 2,7 euro al chilo.
A cinque mesi dal varo del decreto, tuttavia, del provvedimento ministeriale che dovrebbe dettare le modalità di richiesta si sono perse le tracce. La pratica dovrebbe essere ancora ferma a Bruxelles in attesa di chiarimenti che sarebbero stati richiesti al nostro ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili. Nel frattempo, ad agosto, il prezzo del metano alla pompa ha superato i 4 euro al chilo.

Aspettando il nuovo governo

E mentre i prezzi salgono, le elezioni si avvicinano e l’impressione è che la patata bollente del costo dell’energia, in tutti i suoi aspetti – autotrasporto compreso – sia considerato sempre di più, soprattutto dalla burocrazia, un problema del prossimo governo. E, di fronte alla lentezza con cui si muove l’amministrazione, c’è chi mette le mani avanti. «Io sono come San Tommaso», mormora Patrizio Ricci, presidente di CNA-Fita, «se non vedo i soldi sul conto corrente non credo». Perché, alla fin fine, la chiave è sempre quella: i soldi. «Se le imprese vengono strangolate dai costi del carburante, il rischio di proteste di piazza si fa sempre più concreto», argomento Ricci. «Nel protocollo firmato a marzo», ricorda ancora, «c’erano una serie di regole. Ma in questa situazione, con il prezzo del gasolio alle stelle, se non vogliono darci le regole, ci diano i soldi. Traduco: se non vogliono dare alla testa, diano almeno alla pancia».

Dopo le elezioni. Le richieste delle associazioni alla politica. Lettera al ministro che non c’è

Le scrivo per segnalarLe l’ampia documentazione che le associazioni di rappresentanza dell’autotrasporto hanno elaborato per indicare le istanze del settore. Devo premettere che le suddette associazioni, abituate da decenni a corrispondere con la persona chiamata a guidare autorevolmente il Suo ministero, si trovano in difficoltà nei periodi di campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, non solo per la mancanza di un interlocutore a cui rivolgere le istanze del popolo che esse rappresentano, ma soprattutto per l’incertezza su chi sarà nel futuro imminente tale interlocutore e da quale parte politica possa provenire e, dunque, quale orientamento possa rappresentare.

Quindi, consapevoli della delicatezza della situazione (guerra in Ucraina, inflazione crescente, prezzi dell’energia proibitivi, costosi programmi europei di tutela ambientale), esse si sono risolte a rivolgersi genericamente a tutte le forze politiche candidate al prossimo Parlamento e, in molti casi, a incontrare il più ampio ventaglio di esponenti di tali organizzazioni. Ma, qualunque sia stata la strada scelta, voglio rispettosamente chiarirLe fin da ora che è alla Sua illustre persona che tali istanze sono rivolte.

Sono peraltro consapevole che Ella, all’assunzione del suo Alto Compito – e date le sue vaste competenze – sarà costretto («necessitato» direbbe il suo capo di gabinetto) a concentrare i Suoi impegni e non potrà dedicare all’autotrasporto tutto il tempo che Ella vorrebbe riservargli. Per evitare, tuttavia, che al primo incontro con le associazioni (che sarà verosimilmente programmato dopo qualche mese dal Suo insediamento) Ella manifesti – come hanno fatto, senza distinzione di colore politico, tutti i Suoi predecessori – il bisogno di impratichirsi in una materia così variegata e complessa e dunque di aver necessità di quell’ulteriore tempo necessario (un altro paio di mesi) per approfondire i problemi («le problematiche» direbbe il suo capo dell’ufficio legislativo) del settore; e nella convinzione che quand’anche il Suo fosse un ritorno alla guida di questo dicastero, la richiesta di tempo giungerebbe ugualmente, legata alla necessità di approfondire le tematiche sopravvenute durante la sua assenza (forse dovuta a un lungo viaggio in Patagonia, dove dell’autotrasporto italiano non giunge notizia o a una penosa malattia che ha impedito a Sua Eccellenza di aggiornarsi sulle vicende del medesimo settore); con tutte queste motivazioni e nell’intento di favorire e rendere più agevole il Suo Alto Compito, vengo a riassumerLe in un comodo schema l’ampia documentazione prodotta dalle associazioni di categoria dell’autotrasporto, accompagnandole con qualche rapida nota di spiegazione, non perché Ella – con la Sua vivida intelligenza – non comprenda al volo anche le più recondite implicazioni nascoste dietro un aggettivo o un sostantivo, ma perché possa avere a portata di mano una sintesi a cui attingere rapidamente, risparmiando il Suo prezioso tempo, e lasciando riposare la sua mente talora momentaneamente affaticata dai tanti pensosi oneri del suo Alto Incarico.

Qualora, peraltro, Ella dovesse incorrere in un qualche errore – evidentemente sempre a causa del sovrapporsi dei delicati e complessi impegni che Ella è chiamata ad assolvere – potrà pur sempre addebitarlo allo schema che umilmente sono qui a sottoporre alla Sua attenzione. Perché – ricordi – un Ministro non sbaglia mai. Semmai è mal consigliato.

A questo proposito vorrei concludere consigliandoLe rispettosamente di non spaventarsi di fronte alle numerose e talvolta contraddittorie richieste della categoria, ma soprattutto di non liquidarle con l’espressione «Vasto programma», essendo questa la frase con cui il generale Charles De Gaulle rispose a un suo ammiratore che al termine di un comizio gli rivolse il perentorio invito: «Morte ai cretini!».

Con ossequio

Dopo le elezioni. Le richieste delle associazioni alla politica. Sopratutto sostegni contro il caro energia

Sono due i documenti principali presentati dalle associazioni dell’autotrasporto alla politica impegnata nella campagna elettorale: quello promosso da Unatras (sottoscritto da nove rappresentanze: Confartigianato Trasporti, Fai-Conftrasporto, CnaFita, FIAP, SnaCasartigiani, Unitai, ma anche dalle associazioni del mondo cooperativo: Legacoop, Agci e Confcooperative), per dare un maggiore impatto alle richieste e quello della confindustriale Anita. A parte vanno considerati il documento di Assotir che ha proposto solo quattro punti specifici, largamente coincidenti con i temi di Unatras e quello di Confetra che è stato strutturato come domande alle forze politiche.

D’accordo su caro energia e autisti

Basta una rapida occhiata ai testi principali per constatare come il tema maggiormente sentito da tutte le associazioni sia quello dell’aumento dei costi dell’energia, con tutte le sue ricadute sui bilanci delle imprese. E, dunque, se Unatras gli dedica una delle quattro sezioni del documento (che nella tabella sono indicate tra parentesi per uniformare le singole rivendicazioni con quelle delle altre associazioni), chiedendo misure di compensazione, oltre alla riconferma delle risorse strutturali e un’accelerazione nel pagamento degli incentivi già assegnati, anche la confindustriale Anita chiede sostegni per le maggiori spese per carburanti, aggiungendovi la richiesta di alcune misure fiscali (ampliamento della Nuova Sabatini e reverse change nell’Iva).
Altro tema unificante è la carenza di autisti. Unatras (che le dedica la sezione «Professione Autotrasportatore») vorrebbe anticipare a 19 anni l’età per le patenti professionali (ma FAI-Conftrasporto in un suo precedente documento poi confluito in quello unitario aveva proposto 18 anni), introdurre sgravi e procedure snelle per il loro ottenimento, creare percorsi formativi ad hoc negli Istituti tecnici superiori, mentre Anita, che ripropone gli ultimi due punti, chiede anche di favorire l’assunzione di personale extracomunitario.

Ambiente: finanziare il rinnovo del parco

Punti di contatto anche sui temi ambientali (che Unatras riassume nella sezione «Europa»), soprattutto per quanto riguarda il finanziamento per il rinnovo del parco veicolare (che Anita chiede sia «importante»), ma poi le due organizzazioni entrano nel dettaglio: Unatras chiede di non toccare i rimborsi delle accise, né le esenzioni per il gas naturale e di non estendere all’autotrasporto il sistema ETS (lo scambio di quota di inquinamento acquistabili), mentre Anita vuole andare avanti con le immatricolazioni dei veicoli lunghi 18 metri e la sperimentazione di quelli da 25 metri, vuole incentivare il combinato strada-rotaia, riformare il Marebonus con voucher per gli autotrasportatori e rimborsare i pedaggi su base ambientale. I due documenti tornano ad avvicinarsi sul nodo del Brennero, chiedendo entrambi un intervento («risolutivo» per Anita) che garantisca la libera circolazione in Europa.

Le regole: meno divieti, no all’ART, revisioni da migliorare

Più diversificate, invece, le richieste in fatto di regole, sulle quali i principali punti di contatto riguardano la revisione del calendario dei divieti (in Italia le giornate proibite sono più di 80, più che negli altri paesi dell’Unione europea, dove Olanda e Belgio non applicano divieti nei giorni di festa), l’esclusione dell’autotrasporto dal contributo ART e la questione della revisione dei veicoli pesanti per i quali però Anita chiede l’affidamento ai privati mentre Unatras vorrebbe il potenziamento degli uffici della Motorizzazione.
Unatras chiede anche la regolamentazione del carico/scarico, la semplificazione della burocrazia per i trasporti eccezionali, la prosecuzione della sperimentazione del nuovo sistema per il tracciamento dei rifiuti (RENTRI), ma soprattutto la regolamentazione del carico/scarico, il rafforzamento della norma sui tempi di pagamento e l’obbligatorietà dei costi della sicurezza. Su questi tre temi è d’accordo anche Assotir (il quarto è la disciplina della subvezione, con un tetto alla percentuale di trasporti che è possibile subappaltare, ipotesi sgradita alle imprese più strutturate), il che non vuol dire che altri problemi non siano condivisi e siano, magari, compresi in formule più generali, come la revisione dell’accesso al mercato (a favore delle imprese meno inquinanti) o la «norma coerente sulla rappresentanza del settore», (richieste da Unatras) che sembra toccare la recente riforma dell’Albo che assegna alla Confederazioni la scelta delle associazioni (una per organizzazione) che ne fanno parte. O come la questione del voucher per il Marebonus che non compare nel testo di Unatras, ma è contenuto nel documento elettorale di Fiap (che poi ha aderito a quello generale), nel quale si parla anche di aree di sosta attrezzate, combustibile professionale, riduzione del cuneo fiscale e creazione di una Logistica 4.0 per la transizione ecologica. Anche se temi non citati sono spesso compresi in articolazioni più generali, tuttavia, nel caso dell’obbligatorietà dei costi minimi, l’assenza del tema nel documento dell’Anita è certamente significativa.

Le domande di Confetra

Un discorso a parte merita Confetra, che ha scelto di formulare alle forze politiche dieci domande sui temi principali che sono sul tappeto. È facile, tuttavia, ravvisare un’identità di vedute con tutte le altre rappresentanze nella domanda sul contributo ART e almeno con Anita in quella sull’incremento dell’intermodalità strada-rotaia. Per il resto sono molto specifiche: sulla distinzione tra pacchi postali e pacchi merci, sullo sportello unico doganale, sullo sviluppo della portualità, sul rispetto dei programmi del PNRR. Salvo una, la questione su come si intenda agevolare il rafforzamento strutturale del settore che, alla fine, è la domanda delle domande.

Ivano Russo, neo amministratore unico di RAM. Parola d’ordine «interoperabilità»

Doveva essere (nel 2004) lo strumento operativo per realizzare le Autostrade del Mare, sogno dall’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Oggi, a 18 anni compiuti, scopre che la vita reale è diversa dai sogni, che le necessità quotidiane le hanno cambiato il destino, che a forza di aggiungere competenze il carico di lavoro si è ingigantito. A un certo punto, qualcuno si è reso conto che non aveva più senso chiamare Rete autostrade mediterranee un soggetto che distribuiva incentivi (combinato, formazione, rinnovo del parco) ai camionisti, gestiva programmi europei legati alla rete TEN-T e non solo, forniva assistenza tecnica alla Conferenza di coordinamento delle Autorità di sistema portuale e segretariato al Partenariato per la logistica e i trasporti. E hanno deciso di ribattezzarla, lasciando del vecchio nome solo l’acronimo «RAM» e aggiungendo, dopo un trattino, «Logistica, Infrastrutture e Trasporti». Con il risultato che tutti continuano a chiamarla RAM. Poi, a novembre 2021 le hanno affibbiato anche la scommessa della piattaforma logistica nazionale, tolta a Uirnet, a cui non è bastato cambiare il nome in DigITAlog per salvarsi dalla liquidazione.
Adesso in vetta a questa montagna di competenze, assegnate alla società di gestione in house del ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, è stato collocato, come amministratore unico, Ivano Russo, dinamico dirigente pubblico passato per il Parlamento europeo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero per l’Innovazione della Pubblica amministrazione, quello per la Coesione territoriale e per lo stesso MIMS dal 2015 al 2018. Napoletano, 44 anni, fisico asciutto da atleta, occhi svegli e parlantina sciolta, Russo ha preso di petto il nuovo incarico, senza lasciarsi scoraggiare dalle tante facce della sua società. A chi gli chiede se questa RAM non abbia troppa carne al fuoco, risponde scuotendo la testa: «Direi di no. Le funzioni che svolge per conto del ministero sono effettivamente tante, ma non vedo difficoltà, tanto più che la società si sta molto irrobustendo sia dal punto di vista delle competenze, sia dal punto di vista dell’organico».

Anche lei ha sostenuto che è il momento di assestare la società, dopo i tanti cambiamenti, per cominciare a mettere in pratica le sue potenzialità. Cosa ha intenzione di fare?

Ho detto questo perché RAM è stata oggetto di una serie importante di ampliamenti delle proprie funzioni istituzionali nel corso degli ultimi anni, in alcuni casi per decisione dei vari ministri che si sono succeduti, in altri casi addirittura per volontà del Parlamento. Ne cito due su tutti: uno è quello del segretariato della Conferenza nazionale delle Autorità di Sistema portuale, introdotto con la riforma della portualità del 2016, l’altra, del 2021, è la realizzazione della piattaforma logistica nazionale, dopo l’esperienza di Uirnet. Quindi credo che sia venuto il momento di cominciare a svolgere tutte queste funzioni in maniera strutturata e solida, evitando almeno per i prossimi mesi di immaginare ulteriori ambiti di attività. C’è abbastanza da fare con la gestione degli incentivi intermodali, con l’assistenza all’Albo degli autotrasportatori, con la Conferenza dei porti, con gli interventi per la digitalizzazione di porti e logistica. RAM è anche – per legge – coordinatore tecnico dell’Organismo di Partenariato per la Logistica e i Trasporti presieduto dal ministro. Senza dimenticare la funzione di implementing body del ministero che la società svolge per quasi tutti i progetti europei.

Lei ha svolto un’interessante analisi sulle differenze storiche fra i porti del Northern Range e quelli italiani, i primi frutto di grandi imperi coloniali, gli altri più legati allo sviluppo dei Comuni. Questo vuol dire che il divario non sarà mai colmato?

Non è un problema di divario, ma di domanda. Purtroppo, l’Italia è abituata a ragionare di logistica solo dal lato dell’offerta: di infrastrutture, di vettori, di servizi. Ma le merci non è che vagano per il mondo a caso, vanno dove c’è domanda, sia di consumatori finali, sia di industrie. Sono 15 anni che il nostro paese non muove più di 10-12 milioni di container, sia vuoti che pieni. Il totale volumi in import/export del Paese – trasportato in tutte le modalità – è storicamente attestato tra le 470-480 milioni di tonnellate l’anno. Tra l’altro il 65-70% di questi volumi viaggia in un raggio massimo di 2.000 Km, circa due volte la distanza tra Milano e Catania. La nostra «gittata logistica» è piccola, perché la nostra economia reale, la nostra produzione industriale e i suoi scambi, la nostra bilancia commerciale, le nostre relazioni economiche internazionali sono sostanzialmente paneuropee e in parte nordafricane. Qualcosa si può recuperare, perché è ovvio che sarebbe meglio che le merci con destinazione finale in Pianura padana, ci arrivassero da La Spezia, da Livorno o da Genova e non da Rotterdam. Ma parliamo di percentuali poco rilevanti. Se la domanda del sistema economico italiano – cittadini consumatori e imprese – è questa, non possiamo immaginare di arrivare a 20 milioni di contenitori. Perché la merce di questi container per chi sarebbe?

La sfida della piattaforma logistica nazionale finora si è rivelata molto complicata. Come pensa di affrontarla?

In modo semplice, come già avviene in tutti i Paesi europei: attraverso il meccanismo dell’interoperabilità delle banche dati dei soggetti coinvolti. Non dobbiamo inventarci nulla. Esistono già chiare indicazioni europee incentrate sul sostegno all’interoperabilità delle banche dati. Tra l’altro nel 2021 anche l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) per conto del ministero dell’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale ha diramato una direttiva su come rendere interoperabili le banche dati delle pubbliche amministrazioni centrali. Noi dobbiamo mettere in condizione i sistemi informatici delle Capitanerie di Porto, delle Dogane, delle Autorità di Sistema Portuale – e anche degli altri generatori di dati: ANAS, RFI, gestori autostradali – di interoperare attorno a un set condiviso di informazioni minime.  

Solo alcune? Non c’è bisogno di un modello unico?

No. Non serve un modello, né un gestore unico. Si tratta di ragionamenti un po’ antiquati dal punto di vista tecnologico. Ovviamente bisogna – ripeto – fissare i pilastri in maniera corretta perché devono essere solidi. È chiaro che quando si è perseguito l’obiettivo del modello e del gestore unico, si è fatto fatica a far convogliare in un unico percorso storie digitali, software, gestori e amministratori di enti diversi. Ma se il tema è lo scambio di dati, allora cambia tutto. Faccio l’esempio dei bancomat. Se ritiro 100 euro a un bancomat che non è della mia banca, lo sportello chiede in tempo reale alla mia banca se c’è copertura: se questa risponde di sì, lo sportello eroga le banconote per poi farsele restituire. Non c’è bisogno che la banca che mi eroga i 100 euro sappia tutto di me, come lo sa la mia banca. Non c’è bisogno che tutte e due siano gestite da uno stesso gestore informatico o che abbiano lo stesso software gestionale. C’è bisogno solo che le due banche dati dialoghino machine2machine su un set di informazioni condivise.

E allora come mai non si segue questa procedura?

La legge Bassanini prevede che nessuna amministrazione possa chiedere al cittadino un documento già in possesso di un’altra pubblica amministrazione. Ma se iscrivi un figlio all’università, ti chiedono il certificato di nascita che c’è nell’archivio del Comune, l’attestato di licenza media che è in quello della scuola. La mancanza di interoperabilità tra banche dati della PA è un problema del Paese, non solo dei trasporti. Su alcuni settori si è andati avanti, altri sono un po’ indietro. Per esempio, se andiamo a fare una prenotazione sanitaria a un CUP in Campania, come mai mi dicono che c’è un posto disponibile in cardiologia nell’ospedale di Avellino? Perché il sistema digitale regionale che gestisce il CUP va a prendere quell’informazione specifica: non sa, dell’ospedale di Avellino, il numero di dipendenti, di infermieri o di medici, quanto prendono di stipendio o chi sono i fornitori esterni di servizi di quella struttura. Sono dati superflui. Né tutti gli ospedali hanno lo stesso sistema digitale o lo stesso gestore tecnologico: c’è solo uno scambio di informazioni necessarie tra vari «nodi» e un «aggregatore centrale» che quei dati vede e può utilizzare. Se applichiamo questo principio, che non è un astratto ma una pratica assai diffusa in altri settori, riusciremo nel nostro scopo.

Una scommessa che abbiamo contribuito a vincere. La bellezza della normalità

Lo ammettiamo: quando abbiamo letto l’ultimo rapporto dell’IRU sulla carenza di autisti (ne parliamo a p. 26) siamo rimasti sorpresi dallo scoprire che il nostro Paese si sia piazzato primo in Europa per avere la più alta percentuale di donne al volante di un camion (6,2%). Di fatto, è un risultato che va ben oltre le nostre stesse aspettative. Perché quando nel 2020 lanciammo il nostro blog-manifesto «Anch’io volevo il camion», nato proprio con lo scopo di incrementare l’occupazione rosa nel settore, avevamo in mente un obiettivo ben preciso: portare, entro il 2023, la presenza femminile al 5% tra gli autisti (dal 2% stimato nel 2020). E il fatto che questo traguardo sia stato già raggiunto con un anno d’anticipo, come confermano i dati IRU, è il segno che qualcosa sta positivamente cambiando. E anche noi, nel nostro piccolo – lo diciamo con una punta di orgoglio – ci sentiamo parte promotrice di questo cambiamento. Perché proprio con il nostro blog, trasformatosi nel tempo in una vera e propria community con tanto di idee, proposte, numeri, comparazioni, azioni e storie, abbiamo dato voce, volto ed eco mediatica a tantissime donne che «ce l’hanno fatta». A fare cosa? Ovviamente a inseguire il loro sogno: guidare il camion, sfidando i persistenti pregiudizi di chi si ostina a vedere le donne che lavorano in questo mondo con una certa sorpresa e con un po’ di diffidenza.

Storie di camioniste

Nei tre anni di vita del progetto «Anch’io volevo il camion» abbiamo raccontato tante storie di donne, provenienti da ambienti molto diversi, con situazioni e sensibilità differenti, ma tutte accomunate dal fatto di essere mostrate nella loro «normalità». Già, normalità. Perché è questa, a nostro avviso, la sensazione che si dovrebbe provare davanti a una donna che decide di salire su un camion. Non c’è nulla di straordinario, di atipico o di assurdo. Tutto è possibile e tutto si può fare, come ci ha ricordato l’autista Marta Bertazzo, 40 anni da Rovigo, 15 dei quali trascorsi a lavorare come grafica pubblicitaria, prima di decidere di lasciare tutto per ritrovare sé stessa, in cabina. «Tanti, soprattutto uomini, mi chiedono spesso come faccio a gestire la famiglia con questo lavoro, perché lo stereotipo c’è, è innegabile, ma siamo noi a dover dimostrare che invece è possibile». L’autista e nostra test-driver Laura Broglio non poteva che usare parole migliori per affinare questo concetto: «La parola camionista non ha genere. Non si declina. Rimane invariata sia riferita al maschile che al femminile. Una parola che ha un grande potenziale racchiuso in sé, quello di andare bene per tutti».

Contro gli stereotipi

Molte autiste che svolgono questo lavoro da diversi anni, come ad esempio Barbara Strozzi, bolognese, quasi sempre al volante di notte, ci hanno raccontato che negli ultimi tempi le cose stanno cominciando a cambiare. Nel senso che la mentalità si è evoluta e differenze salariali vanno pian piano scomparendo. «Semmai – appunta Barbara – servirebbero strumenti per aiutare a far andare maggiormente d’accordo il tempo del lavoro con quello della famiglia e della vita privata. Piccoli aiuti vanno dati per chi non vuole rinunciare alla propria passione». Qualcun’altra invece si scontra con resistenze dure a morire, come rileva Silvia Martellotta, 50 anni, da Livorno, con una grande esperienza maturata nel settore del trasporto di ferro e acciaio: «Purtroppo, nonostante i progressi, noi donne siamo ancora rappresentate poco, specialmente nel settore – come il mio – di chi lavora con camion centinati. Per dirne una: ci sono aziende che scartano le donne a priori. Puoi avere tutte le competenze del mondo, ma non prendono in considerazione neanche il curriculum».

I muri della disparità

Certo, i muri da abbattere sono ancora tanti. È inutile nasconderlo. Ma noi pensiamo che bisogna continuare ad andare avanti per sradicare gli stereotipi, promuovere la parità di genere e aumentare le opportunità. «Per esempio, tutti sbagliano, un sinistro può capitare a chiunque – punge Frida Fiocco, 46 anni, da Padova, da quasi sei alla guida di un bilico per il trasporto di frutta e verdura – ma se oggi sbaglia una donna allora quello stesso sbaglio che avrebbe potuto commettere anche un uomo assume tutto un altro valore».

Marilisa Luciano, Responsabile Sviluppo e Relazioni esterne del Gruppo Lucianu:«Organizzare i viaggi conta quanto guidare un camion»

«Essere la figlia del capo non è facile, anzi. Significa non poter mai sbagliare e dover dimostrare di essere sempre all’altezza delle aspettative». A parlare è Marilisa Luciano, responsabile Sviluppo e Relazioni esterne della Lucianu Trasporti, capogruppo della Holding LS Group che vanta un parco di oltre 1.000 mezzi, gestita oggi dalla terza generazione di Luciano: Fabrizio, Luca e Marilisa.
«Era il 1986 – ricorda Marilisa – quando mio papà e i suoi fratelli presero le redini della realtà che aveva avviato mio nonno, all’anagrafe Nostasio Lucianu perché il mio bisnonno lo registrò alla nascita con il nome sardo». Un errore che però segnò l’inizio di storia familiare di grande successo. «Mio padre e i miei zii decisero di mantenere per il nome dell’azienda la “u” finale, per ricordare la nostra forte impronta territoriale e le nostre origini. Ho visto costruire questa azienda sin da quando ero bambina, con impegno e sacrificio. Iniziarono da una piccola stanza in quella che era la casa di mia nonna. Qualche anno dopo aprirono i primi uffici nella casa dei miei genitori e poi, con il boom degli anni 90, arrivarono i primi terreni a Olbia e successivamente le sedi in diversi punti strategici, sia della Sardegna che della penisola».

La difficoltà di essere la «figlia del capo»

Laurea in Economia aziendale all’Università di Pisa con una tesi, neanche a dirlo, sul ricambio generazionale, Marilisa Luciano ha messo subito in pratica i frutti dei suoi studi nell’azienda di famiglia. Non con poche difficoltà, come ci racconta. «Lavorare in famiglia non è sempre semplice e spesso, quando ero più giovane, ho creduto di non potercela fare. Ricordo che mio padre Stefano mi diceva: “Tu sei e resterai sempre mia figlia, ma l’azienda è un’altra cosa”. E così sono entrata a piccoli passi, cercando prima di capire e di imparare dagli altri dipendenti. Ho attraversato diversi momenti tosti, essere “la figlia del capo” significa dover gestire una pressione ulteriore, soprattutto perché mio padre è sempre stato molto severo. Ancora oggi capita di vivere dei momenti di scontro, perché il ricambio generazionale non è facile, va affrontato con prudenza e responsabilità. Ma la passione per questo mestiere e i sacrifici che ho sempre visto fare a tutti in famiglia, mi hanno portata a sentire l’azienda come parte di me e a impegnarmi ancora di più».


Marilisa al volante del camion del papà Stefano

Eppure, da bambina, il suo sogno era un altro. «Volevo fare la commessa in un negozio di abbigliamento, amavo la moda e pensavo sarebbe stata quella la mia strada. In realtà, crescendo, mi sono resa conto che non mi vedevo da nessun’altra parte se non qui. Penso sia il sogno di ogni padre, quando crea qualcosa con tanto impegno, che vi sia un proseguo».
Figlia d’arte, ma ben consapevole che la sua strada sarebbe stata in salita. «Il settore della logistica e dei trasporti non è facile, per noi donne ancora meno, perché gli stereotipi ancora ci sono, dobbiamo ammetterlo. È capitato anche a me che qualcuno mi rispondesse “ma tu cosa ne sai di un camion”. È vero, io i camion non li guido e non ne so certo quanto un autista. Ma non c’è solo la parte del trasporto in questo mestiere. Serve anche chi organizza i viaggi, gestisce i rapporti con le altre aziende, e spesso dietro queste mansioni c’è una donna. Per cui la mia risposta è sempre stata molto schietta. Io faccio bene il mio lavoro, tu fai bene il tuo e unendo le nostre capacità e competenze possiamo davvero fare qualcosa di eccezionale. È il lavoro di squadra che fa la forza».

Un’azienda con tante donne

E infatti, la rappresentanza femminile nella Lucianu Trasporti non manca di certo. «Oltre a me, ci sono donne in tutti i nostri uffici, talvolta anche in maggioranza rispetto agli uomini, tutte validissime. Penso per esempio al nostro reparto operativo dove abbiamo una ragazza davvero in gamba che con il suo modo di fare riesce a tenere testa a chiunque, anche agli autisti che di fronte a una donna a volte storcono il naso. Eppure, quello è un reparto molto complesso. Bisogna saper dare tempestivamente risposte precise e puntuali agli autisti in viaggio e gli orari spesso sono molto lunghi. Dal canto nostro cerchiamo di andare incontro alle esigenze dei nostri dipendenti, sia delle mamme che dei papà. Quando mi interfaccio con aziende estere, però, mi rendo conto che in altri Paesi le donne che operano in questo settore sono molte di più e ne conosco personalmente alcune che sono arrivate a ricoprire ruoli di primo piano. Serve un cambio culturale anche in Italia».

Ricordi e pensieri nascosti dietro ai camion

Cambiare, sia dal punto di vista culturale che sotto il profilo generazionale. Questa la parola d’ordine per il futuro del settore secondo Marilisa Luciano. «Pensiamo per esempio al problema della carenza di autisti. L’unico modo per incentivare i giovani a ritrovare la passione per questo mestiere è qualificarlo, restituendogli la dignità che merita. Non lodiamo solo chi studia e si laurea, ma anche chi svolge lavori così cruciali come quello di autotrasportatore. So perfettamente quanto possa essere difficile questo lavoro. Da piccola quando vedevo mio padre partire soffrivo molto. Insieme a mia madre lo accompagnavamo al porto e piangevo spesso vedendolo allontanarsi. Tornava da noi il sabato mattina e ripartiva la domenica sera, eppure ho dei bellissimi ricordi di quando vivevamo a Piombino e papà mi portava in camion con lui a fare il giro della città. Per me era come una gita, mi addormentavo nella cuccetta del camion e prima di ogni occasione importante ci metteva in posa davanti al suo mezzo per scattare una foto. Oggi quando guardo i nostri camion riesco a vedere tutto quello che ci sta dietro: i sacrifici, i pensieri, le preoccupazioni, ma anche le gratificazioni ricevute e le difficoltà che siamo riusciti ad affrontare, per ultima la pandemia, che ha messo in luce l’importanza di questo settore ma è stata una grossa sfida, soprattutto dal punto di vista psicologico, dalla quale però siamo riusciti a uscirne vincitori. L’azienda è cresciuta nonostante questo periodo duro e ciò significa che anche noi giovani, in fondo, qualcosa di buono lo sappiamo fare».

A prova di Laura | Scania P280 Hybrid. Il magnetico di cui fidarsi

Ogni camionista lo ammetterà: guidare i piccoli camion non è mai stato entusiasmante.
In effetti, nella solida e rigida gerarchia degli autisti, chiunque guidi un camion da distribuzione, rischia quasi di non essere classificato come camionista.

Questo accade perché il sogno di bambino prevedeva esclusivamente che il camion avesse determinati requisiti che racchiudessero, possibilmente, aggettivi come «potente» e «grande».
D’accordo, anche gli adolescenti sognano serate romantiche in compagnia delle star del cinema preferite, finendo poi per sposare una vicina di casa. La vita, infatti, ci insegna a cogliere il bello di quello che abbiamo a disposizione.
Tanto che, quando mi hanno detto che avrei provato un camion da distribuzione, ammetto di aver pensato: «Tu vuoi uscire con me? Ma lo vedi che potrei essere tua sorella maggiore».
Solo per l’età, s’intende, non certo per la statura.
Poi sbuca uno Scania P280, che è il fratello minore, quello forse meno “cool”, lo svedese avventuroso che decide di portarti a fare una gita tra laghi e montagne o tra le vie delle città alla scoperta di posti sconosciuti, anziché prediligere le più gettonate mete ordinarie. E allora, perché non accettare?

LO SVEDESE AVVENTUROSO

Noi piccoli lo sappiamo bene: per poter innescare un minimo di interesse durante una serata in compagnia dobbiamo puntare tutto sulla simpatia. Però, è anche vero che siamo quel tipo di persone che non mettono in soggezione e con cui gli altri, in genere, si sentono a proprio agio.
Magnetar 280P è così, con il suo aspetto tipicamente Scania annulla ogni sensazione di soggezione. E quando mi ha proposto un bel giro sul Lago di Garda, sono saltata su all’istante, senza alcuna fatica, dicendomi: «Perché no?». Ma devo ammettere che una parte importante della risposta era anche giustificata dalla ridotta altezza da terra.

ANIMA PRAGMATICA

Funzionalità e praticità sono lo stile di vita di questo camion da distribuzione urbana. Lo chiarisce immediatamente, perché è un tipo diretto, senza fronzoli e giri di parole.
Cassettoni dietro ai sedili per riporre un cambio e quelle cose che devi sempre avere con te, soprattutto se parti all’avventura, e il pratico frigo centrale da poter aprire comodamente seduti sul sedile, in pelle e dotato di riscaldamento e ventilazione.
La loro struttura fa anche da base a una piccola branda per riposare durante le attese.
Più che un viaggio in tenda, sembra un piccolo bungalow. Avventuroso, ma con tutte le comodità essenziali.

IL TANTO IN VERSIONE FUNZIONALE

Alla guida invece, rispetto i grandi della casa, non ci sono differenze: ottima posizione di guida, volante con i comandi bassi tipici del Grifone e la classica console sulla destra, sotto lo schermo.
Lo ammetto, non sono mai stata amante di quei cruscotti carichi di pulsanti al pari di una plancia di un aeroplano. Mi danno un po’ un senso di opulenza.
Preferisco i cruscotti più snelli ed essenziali (sobri, diciamo), ma i pregiudizi vanno lasciati fuori dalla portiera e, per fare bene un test, è necessario entrare nella filosofia di un marchio per riuscire davvero ad apprezzare ciò che ti stanno presentando.
Scania sceglie un approccio metodico: a ogni tasto affida una funzione in modo tale che, una volta presa confidenza con l’accoppiata, riesci a lavorare in modo immediato, rapido e reattivo.
Nel caso della distribuzione, lavoro in cui devi fare i conti con il traffico cittadino, la fretta di chi lo popola e l’impertinenza di chi vuole passare a tutti i costi, essere veloci è un requisito fondamentale.
Magnetar è il tipo da fritto misto sulla spiaggia, una bottiglia di birra ghiacciata aperta con l’accendino e poi via, verso una nuova destinazione.

UN CAMION PER DUE… MOTORI

Pragmatico è anche il motore, che alla propulsione diesel ne affianca una elettrica. L’intenzione, mi spiega Anders, il driver Scania, è quella di muoversi verso l’elettrificazione con un atteggiamento più concreto e realistico.
Non tutti i settori lavorativi, non tutte le aziende sono organizzate al punto da poter calcolare in modo preciso l’autonomia di un veicolo. Anche perché la distribuzione non è sempre quella della raccolta rifiuti o del food&beverage in centro città, ma a volte richiede spostamenti più lunghi di un semplice circuito cittadino.
In più l’autotrasporto accoglie ancora tra le sue braccia innumerevoli imprevisti che, ad oggi, possono effettivamente essere gestiti proprio perché approcciati con una mentalità diesel-centrica. Si fa il pieno e si va, tanto poi un distributore si trova.
Diverso invece è per l’elettrico, che oggi (lo ripeto: oggi) non è ancora per tutti.
Scania sfrutta quello che è, effettivamente, un grande difetto del settore e lo fa diventare un’opportunità e pensa all’ibrido rendendo un falso mito il detto «Chi troppo vuole, nulla stringe» e dimostra che, unendo le forze, si fa meno fatica entrambi.
Il motore elettrico non solo può viaggiare in autonomia per circa sessanta chilometri (fino a un massimo di 50 km/h, nel rispetto dei limiti cittadini), ma sostiene il diesel nelle accelerazioni e nei momenti in cui sono richieste maggiori prestazioni, aumentando la potenza e diminuendo drasticamente i consumi.
Com’era? «Du gust is megl che uan».

ALLA GUIDA

Verona – Peschiera – Affi e ritorno.
Un primo appuntamento che esclude i luoghi comuni, inevitabile visto che anche Magnetar non rientra nei cliché.
Quando incontri qualcuno, devi considerarne la provenienza: ogni famiglia, infatti, ha tratti tipici che vengono trasmessi di generazione in generazione.
Un po’ come quando esci con una donna e ti dicono di conoscere sua madre per sapere come invecchierà.

Nei detti popolari c’è sempre un fondo di verità.
Lui, così ibrido, nonostante non sia un tipo da autostrada ma preferisce portarti a scoprire angoli di mondo in un modo che non credevi possibile, porta con sé il tratto tipico della famiglia da cui proviene, ossia la fluidità di guida e la precisione. Tra le bellissime strade del Garda, infatti, contornate dalle vigne e dai colori estivi, il paesaggio e la sensazione di guida sono stati letteralmente magnetici.
Perfetto nei cambi direzione, comodo ad affrontare le asperità della strada, manovrabilità indiscutibile (qui il terzo asse sterzante e l’assenza di sbalzo giocano un ruolo centrale) ed è anche un tipo che lascia ampio campo di veduta. E anche l’occhio, a maggior ragione in strada, vuole la sua parte.
Lui guida, tu controlli… un perfetto connubio tra pilota e navigatore.

IN CONCLUSIONE

Un test inaspettato quello con Magnetar che mi ha fatto rivalutare l’esperienza di trasporti meno desiderabili, trasformandoli in piccole avventure.
In questo settore, del resto, non sempre possiamo scegliere cosa guidare e dove andare (anzi).
Il suo pragmatismo trasforma i punti deboli in opportunità e con lui divertirsi anche nei piccoli cantieri e nelle vie della città diventa una certezza. Salite a bordo e lasciatevi trasportare: scoprirete che anche essere piccoli ha i suoi vantaggi.
Ritrovare lo spirito avventuroso a ridotto impatto ambientale, tipico dei viaggi plein air che mi piacciono tanto, in un camion è stato una magnetica… ops, magnifica sorpresa.

IAA 2022 | I costruttori tradizionali di veicoli pesanti: le sorelle non vogliono fratellini

La transizione energetica apre spazi bianchi. Chi era aggrappato, cioè, a una precisa tecnologia deve sapersi adeguare al nuovo. Sempre che abbia chiaro a cosa questo equivalga. In caso contrario potrebbe accadere che qualcuno, fino a ieri non presente sul mercato, arrivi in tutta fretta e conquisti posizioni. Il caso di Tesla sulle vetture ha fatto scuola e ha anche creato un qualche patema nei costruttori tradizionali. Che non a caso si sono rimboccati le maniche cercando di «tappare tutti i buchi», lavorando su ogni possibile alternativa in termini di alimentazione. Oggi, a parte qualche sopravvivenza di biometano presente in almeno tre case, per il resto tutti puntano sull’elettrico. Con una diversificazione a valle, tra chi copre il matto con la versione alimentata a batterie e chi contempla anche, almeno sul lungo raggio, la cella a combustile. Girare tra gli stand dell’IAA quest’anno è servito a questo: a comprendere come ormai il camion elettrico – ma sarebbe meglio parlare al plurale, vista la segmentazione che qualcuno sta operando in funzione delle missioni – è una realtà. Tanto che qualche casa lo produce già in serie, mentre altre lo faranno in tempi brevissimi. Una cosa, quindi, è certa: per arrivare a tutto ciò ci sono voluti investimenti talmente considerevoli (messi sul piatto, peraltro, senza attendere lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica) da richiedere a volte un’unione delle forze, joint venture tra costruttori concorrenti per sviluppare insieme tecnologie grandemente onerose. Ragion per cui ipotizzare che tutto questo potrebbe non essere il programma che andrà in onda domani sulle strade europee è praticamente impossibile. Equivarrebbe a realizzare un intero film senza poi mostrarlo nelle sale o in streaming. Montagne di soldi buttati al vento, in grado di far piegare le gambe all’intera industria del settore.
Senza considerare che, mentre i costruttori investono nel domani, contemporaneamente devono puntellare il presente, quello che ancora garantisce i fatturati con cui proiettarsi nel futuro. E il presente, comunque la si metta, si chiama e si chiamerà «diesel» ancora per un paio di decenni abbondanti. Ecco perché, magari in posizione più defilata, su quasi tutti gli stand dei costruttori tradizionali comparivano motori endotermici ottimizzati in grado di consumare (e quindi di inquinare) meno, ma anche tante lussuose e funzionali dotazioni supplementari per gli interni cabina, utili ad accarezzare autisti sempre meno reperibili. Uno sguardo alla tecnologia e uno all’uomo.

DAF

Tutti i modelli sono camion dell’anno

DAF ha messo il turbo e nell’arco di un paio di anni non soltanto conquista il 17,4% del mercato europeo (e il primo posto nei trattori), ma ha anche completamente rinnovato la propria offerta di veicoli. L’ultimo arrivato, già eletto Truck of the Year 2023, è l’XD, veicolo da distribuzione proposto in tre differenti cabine (Day – con molto più spazio alle spalle dei sedili – sleeper sia a tetto basso che alto, in grado di raggiungere i 10,3 m3 di volume) per coprire una varietà di missioni che lambisce le soglie della linea. Si abbina solo con il Paccar MX 11 che arriva a 450 CV, ma dispone di coppia ottimizzata e di un numero di giri contenuto. Per il resto beneficia di tutti i vantaggi della nuova generazione – anche quella interamente eletta TOY 2022 – in termini di visibilità e di aerodinamica, ma se possibile amplificati dal posizionamento della cabina a 17 cm più in basso. La nuova organizzazione industriale, poi, consente da subito di proporre l’XD in versione elettrica – già ordinabile, con produzione da avviare nella prima metà del 2023 – che beneficia, insieme all’XF, di nuovi motori Paccar EX-D1 e EX-D2, con potenze da 230 a 480 CV e di gruppi batterie modulabili (da 2 a 5 pacchi) in grado di garantire oltre 500 km di autonomia e una ricarica molto veloce (la versione da 5 pacchi passa da 0 al 100% in 2 ore). Infine, insieme all’XF, l’XD è anche proposto in versione C («Costruction»), munita di paraurti robusto, solida calandra, piastra di protezione del radiatore in acciaio per svolgere i lavori più impegnativi e di angolo di attacco generoso per essere affidabile anche nell’off road.

Mercedes-Benz

Da soli, ma con un’onda elettrica di novità

Per Daimler Truck è stato il primo IAA senza i van, il primo dopo la separazione societaria. Ma sullo stand non ci si sentiva soli, tante erano numerose le novità. Partiamo dall’approccio: Mercedes-Benz è da sempre mirata a realizzare il giusto veicolo per ogni missione. Operando così conta nel 2030 di coprire con mezzi elettrici il 60% delle vendite. Per la linea propone l’eActros LongHaul, identificato come Truck Innovation Award 2023. Grazie alle nuove batterie litio-ferro-fosfato, percorre 500 km con una ricarica ultrarapida – dal 20 all’80% in circa 30 minuti con colonnina da un megawatt – e dispone di potenze avanzate. I tre pacchi batteria forniscono capacità di oltre 600 kWh e i due motori, parte di un nuovo assale elettrico, generano una potenza continua di 400 kW e una di picco di oltre 600. La produzione in serie partirà nel 2024 (a Wörth, sulla linea esistente) e quindi il veicolo potrebbe mutare ancora volto, ma il design fornisce una chiara idea di come saranno le nuove cabine. Per una gamma variegata di missioni, ma in particolare per coprire le tratte stradali di un trasporto intermodale arriva l’eActros 300 in versione trattore con autonomia di 220 km, garantita da tre pacchi batteria da 112 kWh. La produzione in serie parte nella seconda metà del 2023. Per le applicazioni urbane c’è l’eEconic, da luglio prodotto in serie. Ai suoi tradizionali punti di forza (ridotta altezza da terra e porte a libro), unisce ora pianale piatto per facilitare gli spostamenti interni, vetratura panoramica, parabrezza anti-appannamento, possibilità di coprire un turno di impiego nella raccolta rifiuti senza carica intermedia. Dopo questa scorpacciata elettrica diamo uno sguardo al mondo diesel per ricordare l’edizione limitata in 400 esemplari, dell’Actros Edition 3, equipaggiato con 30 dotazioni supplementari. Quelle interne, utili ad accrescere il lusso e a fidelizzare autisti sempre più rari, contemplano plancia e maniglie in nappa, elementi in carbon look, botola sul tetto con illuminazione soffusa, zona riposo SoloStar con rivestimento in pelle beige, letto superiore largo 900 mm. Può essere equipaggiato con l’OM 473 da 15,6 litri o con il nuovo OM 471 di terza generazione, chiamato a dialogare con il PowerShift Advanced.

SCANIA

I tanti volti dell’efficienza

Non solo elettrico per Scania. L’offerta «alla spina» è garantita dal nuovo trattore full electric equipaggiabile con cabine R o S e con motori da 560 e 610 CV, pronti per la ricarica megawatt ultraveloce. E con 350 km di autonomia e 625 kWh di capacità della batteria si candidano a trasporti pesanti. Ma un’offerta degna per il costruttore svedese deve essere versatile e supportata da servizi utili a innalzare l’efficienza. Ecco perché in alternativa all’elettrico Scania continua a ottimizzare il motore 13 litri a biometano, ora arricchito delle potenze da 420 e 460 CV, con cui aumentare la versatilità, anche grazie alle nuove configurazioni dei serbatori che portano l’autonomia della versione LNG a 1.400 km. I valori prestazionali di questi due motori – ordinabili dal terzo trimestre 2023 – sono allineati a quelli dei diesel Super. Prova ne sia che la coppia raggiunge i 2.100 e i 2.300 Nm. Rispetto ai servizi l’IAA ha tenuto a battesimo il My Scania e l’applicazione Scania Driver. Nel primo, già disponibile, sono stati riuniti tutti i possibili servizi – dai gestionali della flotta a quelli dedicati al tachigrafo e al planning dei veicoli – in unsolo strumento, unico punto di accesso ai dati di tutta la flotta. Con il secondo, un’app che supporta gli autisti nelle attività quotidiane, si cerca di rispondere a specifiche esigenze operative, raccolte direttamente da chi ogni giorno guida i camion. La app, cioè, dà accesso a tutte le informazioni sui veicoli, mostra le sessioni di manutenzione prenotate e aiuta a calcolare il tempo di guida rimanente e a interagire con l’azienda.

IVECO

Un, due… Tre: il Nikola che c’è

Anche Iveco si è votata alla diversificazione delle fonti energetiche per tutta la gamma. Infatti all’IAA sia il leggero Daily (se ne parla a p. 60), sia i pesanti, offerti da tempo con alimentazione biometano, contemplano ora, tramite il Nikola Tre, una versione elettrica a batteria (BEV) e una, in parte futuribile, alimentata con fuel cell. Uno stravolgimento dell’offerta evidenziato da una nuova cromaticità del marchio, in cui il colore blue che da sempre lo connota, è ammorbidito e reso più elettrizzante. Forse, per i più distratti, sarà il caso di ricordare che la versione europea del Nikola Tre BEV è il frutto di una joint venture tra Nikola e Iveco. Prova ne sia che nasce nell’impianto Iveco di Ulm, in Germania, si basa sulla piattaforma dell’S-Way e monta un assale elettrico prodotto da FPT Industrial. Da oggi è ordinabile in versione trattore 4×2 con passo di 4.021 mm ed equipaggiato con 9 batterie che offrono energia fino a 738 kWh e autonomia di 500 km. Per una ricarica dal 10 al 90% a 175 kW occorrono 162 minuti, ma diventeranno meno quando – entro l’anno – il cambio potrà accettare fino a 350 kW. All’interno, spazi e volumi sanno di S-Way, ma alcune funzionalità di bordo, come il sistema di infotainment basato su tecnologia operativa Nikola, sono inedite e integrano anche funzioni di navigazione e comandi per tutte le funzionalità del veicolo. Ma non è tutto, perché all’IAA è apparsa anche la versione beta del Nikola Tre a idrogeno (FCEV) in configurazione 6×2 e con passo da 3.932 mm, in grado di trasportare circa 70 kg di idrogeno a una pressione di 700 bar. Un rifornimento di 20 minuti garantisce autonomia per 800 km. Sarà disponibile dal 2024.

VOLVO TRUCKS

Un assale ti allunga l’autonomia

Volvo Trucks è avanti sull’elettrico. Ha già in portafoglio più di 1.000 veicoli elettrici pesanti e oltre 2.600 mezzi complessivi, articolati in un’offerta composta da sei diversi modelli. Non a caso ha già deciso di intraprendere la produzione in serie dei veicoli da 44 tonnellate nello stabilimento di Tuve, a Göteborg, a cui si aggiungerà nel 2023 quello di Gent, in Belgio. Ma si può sempre migliorare. Come lo ha chiarito all’IAA dove ha mostrato un nuovo assale posteriore completamente elettrico su cui si possono integrare motori e trasmissione. Con il vantaggio di contenere l’ingombro e poterlo sfruttare per montare sul telaio un numero superiore di batterie così da allungare l’autonomia dei camion. In più, il contenimento di ingombro tornerà utile quando sarà introdotta la versione alimentata con celle a combustile e quindi servirà spazio per montare altri componenti. Questa versione, in grado di raggiungere un’autonomia di 1.000 km emettendo soltanto vapore acqueo, è sotto osservazione e nel 2025 prenderanno il via i test reali nel traffico, condotti con clienti prima del Nord Europa e poi di altri paesi. Secondo il costruttore questi mezzi saranno congeniali per i trasporti su lunghe distanze, per quelli più attenti alla tara o in quei contesti in cui le infrastrutture di ricarica per le batterie fossero scarse. Questo perché la cella a combustibile genera elettricità in autonomia sfruttando l’idrogeno a bordo e quindi non va ricaricata da fonte esterna. I camion elettrici Volvo ne utilizzeranno due per generare 300 kW di potenza e avranno un tempo di rifornimento inferiore a 15 minuti.

MAN

Un elettrico capace quanto il diesel

Proposte variegate anche quelle di MAN. Al centro della scena il prototipo di trattore elettrico da cui emerge la visione di transizione energetica del costruttore bavarese, molto orientata al full electric. Proprio per questo il camion con la spina del Leone – in test con i clienti dal 2024 – punta al lungo raggio e si candida a coprire buona parte delle missioni affidate oggi al diesel. A tal fine sfrutta un’autonomia fino a 800 km e una capacità di ricarica nell’ordine dei megawatt. In parallelo allo sviluppo del veicolo, è stato mostrato in anteprima il MAN eMobility Consulting, che comprende consulenza su mezzo e infrastruttura di ricarica e supporto al trasportatore nell’analizzare condizioni d’impiego, percorsi e metodi per ottimizzare i costi. Ma il diesel rimane comunque protagonista con la nuova versione del motore D26 che contiene fino al 3% i consumi di carburante rispetto alla versione attuale, aumentando la coppia di 50 Nm e la potenza di 10 CV su tutte le varianti. A tagliare i consumi sul TGX di un altro 1% aiuta l’aerodinamica con accorgimenti e prolunghe per migliorare il passaggio dell’aria verso il semirimorchio. Infine, sul fronte delle coccole da dispensare agli autisti, MAN ha costruito un nutrito pacchetto composto dall’allestimento Individual Lion S, disponibile ora anche per la serie TGS e arricchito di accenti cromatici che investono i bracci delle telecamere e i lati delle cabine lunghe con elementi neri o rossi. Esiste pure un pacchetto virato sul nero.

FORD TRUCKS

L’inizio di una nuova era

Non sono state soltanto novità quelle mostrate da Ford Trucks all’IAA. Nel complesso, far vedere tutti insieme design futuristici, applicazioni elettriche inedite, soluzioni differenti di guida autonoma doveva servire a fornire un’immagine più evoluta, più tecnologica di un marchio che altrimenti si corre il rischio di valutare bene soltanto perché «costa meno». E non è un caso che Serhan Turfan, vice president Ford Trucks International, ha detto a chiare lettere che nel prossimo futuro la casa darà sempre maggiore priorità agli sforzi di ricerca e sviluppo nel campo dell’elettrificazione, con l’obiettivo di «portare al 50% le vendite di veicoli a zero emissioni entro il 2030» e di «raggiungere 50 paesi entro il 2024 in Europa».

Eccolo allora in prima fila il prototipo del primo camion 100% elettrico, una motrice allestita con compattatore per trasporto rifiuti, attualmente in fase di test presso un operatore di igiene urbana a Istanbul. I numeri sono rilevanti: 392 kwh di capacità installata, fino a 300 km di autonomia e ricarica rapida in 75 minuti dal 20 all’80%. Poi, mostrate ancora come «tecnologie di supporto per l’autista» ecco pure tre tecnologie applicative della guida autonoma. La prima è la guida da remoto (Remote Driving), che permette di assumere il controllo del veicolo a distanza, la seconda è la guida autonoma di livello 4 (Highway Pilot), che consente al veicolo di muoversi senza l’ausilio dell’autista, la terza è il parcheggio autonomo (Autonomous Reverse Parking), che rende il camion autonomo anche durante l’aggancio e lo sgancio del semirimorchio o nelle manovre di accosto in banchina in retromarcia.

IAA 2022 | I nuovi operatori alla conquista del mercato: Ci siamo anche noi

È ormai una certezza. La corsa verso l’elettrificazione dei veicoli utilizzati nel trasporto merci – soprattutto nell’ultimo miglio, ma oramai anche nel medio e lungo raggio – sta facendo emergere nuovi operatori che si propongono al mercato al di fuori dei tradizionali circuiti dei costruttori storici. Ne abbiamo avuto contezza proprio all’IAA Transportation di Hannover dove, accanto ai «big», hanno esposto tantissimi «outsider» provenienti un po’ da tutto il mondo, pronti a sfidare senza timore le più blasonate «sette sorelle» sul campo dei veicoli elettrici e a provare, in generale, a ridisegnare il mercato su scala globale. In alcuni casi si tratta di giovani start-up, in altri di aziende più strutturate (spin-off o filiali di grossi gruppi). In ogni caso la sfida resta la stessa: accelerare il cambiamento dell’industria automotive, apportando nuove competenze e spingendo ulteriormente i limiti dell’innovazione.

La cosa che più ci ha sorpreso dell’IAA 2022 è stata forse proprio questa: mai si era visto in una manifestazione internazionale una presenza così massiccia e arrembante di nuovi (e sconosciuti ai più) operatori. E ancora più significativo è il fatto che non sembravano affatto essere lì per caso: avevano il piglio deciso di chi ha fame di mercato e vuole sedersi ambiziosamente allo stesso tavolo dei grandi. Anche perché si tratta di società che conoscono bene la rete di fornitori, dispongono di esperienze di marketing, sanno combinare prodotto e software e possiedono montagne di liquidità. C’è qualcosa di tutto questo che ricorda i tempi dell’esplosione della telefonia, quando verso la fine degli anni 90 l’euforia degli imprenditori abbondava. Il tempo, oggi come allora, ovviamente è tiranno e questo mantra vale anche per il mondo dei camion: solo nei prossimi anni sarà possibile capire effettivamente quanti e quali di queste nuove società saranno in grado di sopravvivere.

Ma intanto quello che abbiamo visto ad Hannover – e che vi proponiamo in queste pagine – restituisce il senso di un momento vivace e brillante per il comparto dei veicoli industriali dal punto di vista tecnologico. Un momento in cui si affastellano non solo nuovi produttori di camion elettrici o a idrogeno, ma anche sviluppatori di powertrain e piattaforme per gli OEM, operatori specializzati in retrofit per la conversione dei veicoli da endotermici a zero emissioni, esploratori della guida autonoma, sognatori (o sarebbe meglio dire «concretizzatori») di soluzioni a idrogeno a elevata perfomanza prossime alla commercializzazione. Come si dice in questi casi, chi vivrà (a lungo), vedrà!

BYD

Il colosso cinese che butta giù Tesla dal podio

Vi siete mai chiesti chi è il costruttore che in questo 2022 ha venduto più veicoli elettrici in assoluto a livello globale? La risposta vi sorprenderà. Eh no, non è Tesla, bensì Byd, colosso cinese che in soli sei mesi ha veduto 641.000 auto a batteria (contro le 564.000 di Tesla). Le vendite dei suoi veicoli decollano e ora il costruttore asiatico punta a conquistare ulteriori fette di mercato anche nel mondo dei mezzi pesanti. L’occasione per mettersi in vetrina a livello europeo è stata proprio l’IAA, dove ha presentato due camion completamenti elettrici, l’ETM6 da 7,5 ton e l’ETH8 da 19 ton. Il primo è pensato per le consegne urbane, il secondo per la logistica e la raccolta dei rifiuti.

EINRIDE

Il tir del futuro senza autista

Un camion elettrico e autonomo, che si guida senza conducente. Potrebbe essere un’idea uscita dalla mente di Elon Musk e invece a partorirla è stata la giovane start-up svedese Einride. Il camion in questione si chiama T-Pod e ha fatto passerella in quel di Hannover. È tutto elettrico, si presenta con un design aerodinamico e futurista e accoglie il livello 4 di guida autonoma. Ovviamente non ci sono ancora permessi e normative in grado di consentirne la libera circolazione. Solo i test sono ammessi, oltre a impieghi in aree chiuse o su brevi tratti di strada pubblica con una speciale autorizzazione. A renderlo unico è il fatto che l’autista, anziché sedersi in cabina, può controllare il veicolo e gestirne il funzionamento in «modalità remota» (per esempio in ufficio), lasciando che il T-Pod circoli su strada praticamente da solo. A questo punto sorge spontanea la domanda: l’autotrasportatore del futuro diventerà un operatore a distanza?

ENGINIUS

Sull’onda dell’idrogeno (con lo zampino Daimler)

Far avanzare l’idrogeno sulle flotte di camion. A impegnarsi in questa promessa non sono solo i grandi costruttori, ma anche realtà più piccole come Enginius, filiale della tedesca Faun che produce camion con sistemi di alimentazione alternativa. Ad Hannover la società di Brema ha presentato Citypower, autocarro a celle a combustibile a idrogeno basato su telaio Mercedes Atego. Con un carico utile di 9 ton, un’autonomia di 500 km e un tempo di rifornimento di 30 minuti, il Citypower entrerà in fase di test a fine 2023, mentre la produzione di serie è prevista nel 2024.

HYZON

In «veste» DAF per conquistare l’Europa

Hyzon Motors è un’azienda americana impegnata a realizzare in patria camion elettrici alimentati a idrogeno. L’IAA è stata l’occasione per farsi conoscere sul mercato europeo, dopo l’avvio dello stabilimento olandese di Groningen. A gestire e ad assemblare i camion è un suo partner, la Holthausen Clean Technology di proprierà di Max Holthausen, che però monta sopra alla catena cinematica di matrice statunitense una cabina tutta europea, anzi olandese: la Space Cab di produzione DAF.

PEPPER

Il camion diesel trasformato in elettrico

Pepper è un operatore tedesco specializzato in retrofit. Ad Hannover ha presentato il suo sistema di trazione modulare per l’elettrificazione dei mezzi pesanti (camion e autobus, sia nuovi che usati). Il componente chiave del sistema è l’unità di controllo del veicolo (VCU) di proprietà Pepper, adattabile a diversi tipi di veicoli. Nella fase di conversione, viene sostituito il gruppo propulsore termico con uno elettrico e anche tutte le componenti ausiliari precedentemente azionate dal motore a combustione (aria condizionata, compressore d’aria, pompe ecc.) vengono rimosse e sostituite da componenti azionati elettricamente. L’operatore garantisce che la trasformazione completa di un veicolo avviene in 6 settimane, previa verifica tecnica dei mezzi e delle condizioni di impiego.

QUANTRON

Fino a 1.500 km con un pieno di idrogeno

Spin-off tecnologico della tedesca Haller, Quantron è un operatore specializzato nella mobilità a emissioni zero che offre sia la conversione di veicoli diesel a batteria e a idrogeno, sia veicoli propri a emissioni zero. All’IAA ha presentato in anteprima mondiale quattro mezzi che si basano su piattaforme a idrogeno e a batterie, sviluppate in proprio. Il primo veicolo è il Quantron QHM FCEV, trattore stradale per il trasporto pesante a lungo raggio con un range di autonomia record fino a 1.500 km. È equipaggiato con celle a combustibile a idrogeno della Ballard Power e con l’assale elettrico integrato della Allison Transmission. Il secondo è un QHM BEV, un concept elettrico molto vicino alla produzione in serie che promette un’autonomia fino a 350 km. Gli altri due veicoli in mostra erano il QLI FCEV a idrogeno da 4,2 a 7,2 ton, per impieghi con un’autonomia fino a 500 km e per l’ultimo miglio, e il QLI BEV elettrico come transporter da 3,5 a 7,2 ton (sempre per l’ultimo miglio).

TEVVA

L’elettrico made in UK

Protagonista tra i «nuovi» di scena ad Hannover anche Tevva, costruttore inglese di camion che ha portato in mostra il prototipo del nuovo truck a idrogeno da 19 ton. L’autonomia attesa è di 500 km e la ricarica è possibile in soli 10 minuti. In esposizione c’erano anche diversi esemplari elettrici da 7,5 ton con vari allestimenti, tra cui uno con livrea della trevigiana Codognotto, che fa parte del pool di trasportatori a cui Tevva ha chiesto di testare su strada i veicoli. L’azienda ha annunciato l’intenzionedi produrre, a partire dal 2023, 3.000 veicoli all’anno per il mercato britannico e internazionale.

VOLTA TRUCKS

Luci accese sul nuovo Volta Zero

Sotto i riflettori di Hannover non poteva mancare Volta Trucks, produttore di veicoli industriali che mira a contendere la leadership di mercato nel campo dell’elettrico ai costruttori tradizionali. In molti ricordano come abbia avuto una certa risonanza la notizia diffusa dallo stesso produttore svedese nel novembre 2021, quando annunciò il più grande acquisto di autocarri totalmente elettrici in Europa, grazie all’ordine effettuato da DB Schenker per 1.470 unità. Allo IAA Volta Trucks ha portato la generazione più recente del suo Volta Zero da 16 tonnellate, il prototipo di autocarro medio-pesante a zero emissioni progettato per la logistica urbana. La produzione in serie è prevista per l’inizio del 2023 e avverrà nello stabilimento austriaco della Steyr Automotive. L’impianto ha riservato a Volta Trucks una capacità di 14.000 veicoli all’anno.

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