Non confidate troppo in Matteo Salvini. Non perché difetti di capacità , quanto per la sua indole caratteriale. Quella del nuovo ministro delle Infrastrutture si nutre infatti di riflettori ed è in grado di percepire con anticipo i temi che l’attualità tenderà ad amplificare e, di conseguenza, a cavalcarli. Per forza di cose, però, gli argomenti che, un po’ come carta moschicida, assorbono l’aria che tira, hanno due caratteristiche di fondo: devono essere estremamente facili, perché devono poter essere compresi da una platea il più ampia possibile; devono (o, meglio, possono) durare lo spazio di un mattino, nel senso che se l’attualità domani si tinge di nuance e profumi diversi rispetto a ieri, bisogna saper virare in fretta. Scordandosi il passato con estrema nonchalance.
Due tratti opposti all’autotrasporto, che per un verso è un settore in ombra, sottotraccia, poco incline a conquistare la scena dell’attualità , se non per episodi più o meno tragici rispetto ai quali è meglio prendere le distanze. Per un altro, perché è un comparto complesso, tecnico, governato da logiche tutte proprie. E per di più afflitto da sempre dagli stessi problemi, a cui se ne aggiunge qualcuno di nuovo soltanto per «importazione». La carenza di autisti, per esempio, è sì un’emergenza di questi anni e in parte figlia del settore, ma è anche la conseguenza di un calo demografico della società . Perché, detto banalmente, se in Italia avessimo un tasso di natalità elevato e un’immigrazione copiosa di certo sarebbe più facile reperire mani a cui far girare un volante.
Tutto ciò viene confermato dalle prime dichiarazioni del Salvini neo-ministro, concentrate a ribadire un progetto infrastrutturale che funziona un po’ come una bandiera, da agitare nei bar in un modo o in quello esattamente opposto: l’immarcescibile ponte sullo Stretto. Non sto sostenendo che sia o meno da fare, riscontro però che il nuovo capo del ministero di piazza di Porta Pia lo ha consegnato alle cronache, corroborandolo di popolarità allargata per avergli attribuito la potenzialità di creare 120 mila posti di lavoro. Sulla base di quali stime non si sa. E d’altra parte quando navighi sull’onda, ciò che conta è rimanere in superficie, scivolandoci sopra come fa un surfista con la tavola.
Ugualmente esemplare dell’evaporazione rapida dell’attualità è stata pure la polemica sul ministero del Mare, creato e integrato a quello del Sud. Salvini non ha gradito la mossa perché potrebbe restringere il perimetro d’azione del suo dicastero, in particolare rispetto alle politiche migratorie, controllate anche tramite la guardia costiera. E in questo modo è sembrato contrario alla stessa nascita di questo nuovo gabinetto. Eppure, scorrendo il programma elettorale della Lega (a pagina 96) si legge esattamente il contrario. Perché, sulla base del fatto che «l’Italia è al centro del Mediterraneo» e che ciò malgrado «la maggior parte dei 30 milioni di container» in arrivo ogni anno dal Canale di Suez «passa davanti alle nostre coste ma non si ferma», si propone di «ridefinire i compiti del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e creare un ministero del Mare e della Logistica». Proposta concreta e anche molto fondata sulla carta, che però rischia di sciogliersi come neve al sole perché entrata in rotta di collisione con un interesse contingente e preminente.
Ma forse è normale così: anche un programma politico, costruito in vista delle elezioni, resta funzionale fintantoché non si aprono le urne. Poi, può essere messo da parte o sostituito con altro. Ma se così non fosse, visto che sempre nello stesso programma si sostiene (a pagina 101) che la riduzione delle accise sono uno strumento di «importanza fondamentale per garantire all’autotrasporto livelli minimi di competitività », mi permetto di consigliare al nuovo ministro una misura urgente e che diventerà di attualità il prossimo 18 novembre, quando scadrà l’ennesima proroga del taglio delle accise. Il problema, come tutti sanno, è che questa misura funziona «a pioggia», interessando chi viaggia per diletto come chi lo fa per lavoro. E anche rispetto alle aziende di autotrasporto tratta allo stesso modo quelle con veicoli vecchi di trenta anni e quelle con un parco di ultimissima generazione. Il 18 novembre potrebbe essere l’occasione per rimettere a posto questa ingiustizia, contraria al buon senso e alle ragioni dell’ambiente e che soprattutto non garantisce «livelli minimi di competitività » a chi ha investito tanto in tecnologia e sostenibilità e deve soffrire la concorrenza di troppi inquinatori seriali. Ristabilire la condizione precedente, in cui chi disponeva di veicoli euro 5 e 6 pagava le accise meno degli altri, era già un ottimo punto di partenza. Ma faccia lei, ministro: sono convinto che riuscirà a trovare una quadratura apprezzabile, una volta tanto, anche da tante oscure imprese di autotrasporto.