Veicoli - logistica - professione

Home Blog Pagina 241

Errori nella domanda per il credito di imposta sull’Adblue? Correzioni entro il 12 dicembre

Avete presentato domanda per ottenere il credito di imposta del 15% sulla spesa sostenuta per l’acquisto di Adblue? Non siete certi di aver fatto tutto correttamente o, peggio, siete sicuri di aver commesso un errore? Niente paura. L’Agenzia delle Dogane ha comunicato il 30 novembre che è possibile correggere le istanze presentate in modo non corretto allargando i tempi massimi. Per la precisione, malgrado il tempo ultimo per la presentazione sia già scaduto il 29 novembre, adesso viene fatto slittare al 12 dicembre 2022.
In caso di dubbio, comunque, si tenga presente che l’Agenzia delle Dogane provvederà a inviare una mail informativa alle imprese le cui istanze risultano «con presenza di errori nel file fatture».

Iveco consegna cinque S-Way 490 alla Sirio Service

Cinque nuovi Iveco S-Way da 490 CV entrano a far parte della flotta di Sirio Service, azienda fondata a Roma nel 2004 e specializzata in attività ​di corriere, materiali deteriorabili alimentari e servizi postali. La consegna dei mezzi si è svolta a Roma presso la sede della Romana Diesel, storica concessionaria Iveco, che si è occupata anche della fornitura dei cinque nuovi veicoli. Presenti alla cerimonia di consegna Alessandro Cardinali, proprietario e responsabile parco mezzi Sirio Service, Erika Coco, proprietaria della società consociata C.E.R. Transport, Maurizio Coco proprietario e responsabile amministrazione Sirio Service e Marco Tosti, vendite pesanti Iveco Romana Diesel. 

I veicoli consegnati fanno parte di un lotto da 20 mezzi, hanno un passo di 3.800 e sono dotati di cabina Active Space full optional, cambio Hi-Tronix da 12 marce, climatizzatore a regolazione automatica, Parking Cooler, Eco-Roll ed Eco-Switch. 

Per Alessandro Cardinali di Sirio Service, «la scelta di inserire i cinque Iveco S-Way è stata dettata, oltre che dall’efficienza del prodotto, dall’affidabilità consolidata con la concessionaria Iveco Romana Diesel in tanti anni sul mercato e per il rapporto creatosi con l’addetto alle vendite Marco Tosti che ci segue dalla progettazione dell’investimento, alla consegna e nel controllo dell’esercizio dei mezzi attraverso i sistemi IVECO dedicati al TCO».

EDITORIALE | Albo, Ponte e prevenzione: a cosa servono?

Albo autotrasporto, Ponte sullo Stretto e prevenzione nella sicurezza. Tre argomenti distanti, che in questo numero teniamo insieme ponendoci, rispetto a ognuno, la medesima domanda: a cosa serve?
Partiamo dall’Albo. La sua utilità è fuori discussione: dalla sua costituzione, avvenuta alla fine degli anni Settanta, ha di fatto consentito al settore di instaurare un rapporto diretto e continuativo con le istituzioni e di fornire un contributo tecnico alle politiche e alle normative che lo riguardano. In più, dalla partecipazione all’Albo le associazioni di categoria traggono più o meno direttamente quei fondi utili a garantire la formazione e, di conseguenza, la crescita professionale di tanti operatori. Ma proprio perché utile l’Albo deve applicare all’esterno quel metodo di trasmissione tanto caro ai social chiamato «condivisione». Invece, dopo la sentenza del TAR del Lazio che ha riammesso Assotir nel Comitato Centrale e ha obbligato, un po’ come si fa quando torna l’ora solare, a rimettere indietro le lancette dell’orologio, si fatica a comprendere come si andrà avanti. Né c’è qualcuno che voglia provare a spiegare la ragione all’origine di questa strana transizione da compiere in retromarcia. Ma veramente quanto accaduto è la conseguenza della volontà di contenere il numero delle associazioni rappresentate nell’Albo? O serviva invece a rintuzzare i tentativi di accesso da parte di nuove associazioni? O a soddisfare l’esigenza di qualcuno di ribadire che le confederazioni sono gerarchicamente superiori alle associazioni, così come la committenza lo è rispetto all’autotrasporto? In questa fase tacciono tutti. Ci piace pensare che si è aperta la stagione della riflessione silente a cui seguirà quella delle scelte condivise.

Veniamo al Ponte sullo Stretto. Cosa pensino, rispetto alla sua utilità, gli ambientalisti, i benaltristi, gli infrastrutturalisti e anche i sismologi, i geologi, i futurologhi lo sapete già. Noi abbiamo pensato di raccogliere l’opinione degli autotrasportatori, di chi cioè su quell’opera dovrà viaggiare e lavorare tutti i giorni. E al di là del merito delle risposte, ciò che colpisce è la loro forma articolata e ampiamente giustificata. In estrema sintesi, gli autotrasportatori sono convinti che, il poter andare da Messina a Villa San Giovanni tramite una strada, faccia risparmiare tempo. E per chi compra tempo e poi lo vende – ci hanno detto – già questa sarebbe una conquista. Un parere che chi di dovere dovrà mettere insieme agli altri, prima di tradurre il tutto in capitali e comprendere se sia o meno opportuno realizzare l’infrastruttura.

Infine, chiedersi se la prevenzione nella sicurezza sia utile suona un po’ come una petizione di principio. Perché se la sicurezza è un valore da proteggere, è ovvio che tutto quanto eviti di metterla a repentaglio diventi beneaccetta. Speriamo funzioni così anche rispetto ai due diversi casi prospettatici da altrettanti trasportatori, l’uno relativo al trasporto di prodotti chimici, l’altro a quello di rifiuti ferrosi, ma entrambi riferiti a lacune operative ad alto tasso di pericolosità. La prima si manifesta quando si scarica una cisterna e la si attacca a un serbatoio; se il raccordo tra questi due elementi fosse sempre il medesimo, si eviterebbe il rischio di utilizzarne alcuni non congeniali o di creare linee di travaso improvvisate e più esposte a errori. È troppo complicato individuare uno standard? Abbiamo girato la domanda a chi produce, riceve e spedisce la merce in questione. Auspichiamo che la risposta si manifesti mettendo tutte le parti coinvolte attorno a un tavolo per ragionare. La seconda riguarda il malcostume adottato da alcune acciaierie di chiedere agli autisti di scoprire le vasche da scaricare fuori dagli impianti. Vale a dire in luoghi non deputati e dove, in caso di caduta, l’Inail potrebbe anche girarsi dall’altra parte. Qui la domanda è quasi retorica: è così complicato predisporre nelle aree di scarico delle linee vita a cui agganciarsi? Ovvio che la risposta è «no»: basta pagare per realizzarle.

In definitiva, per colmare queste pericolose lacune servono standard e linee vita, da mettere in fretta a disposizione di chi scarica, prima che un raccordo improvvisato faccia cadere prodotto corrosivo addosso a un malcapitato o prima che un autista si faccia male cadendo da un semirimorchio parcheggiato a pochi metri da un’acciaieria in cui lo attendevano per ricevere la merce. Insomma, bisogna «fare prima che». E questo in fondo significa prevenire.

L’insostenibile attraversamento del Brennero

Mentre, nella seconda metà di novembre, le autorità dell’Alto Adige e del Tirolo si incontravano per discutere come alleggerire il traffico dei camion sull’asse del Brennero, le più importanti associazioni delle imprese di autotrasporto, insieme con organizzazioni confindustriali, depositavano un ricorso alla Corte di giustizia europea, imputando alla Commissione il mancato rispetto dell’art. 258 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, per una serie di limitazioni imposte dall’Austria al transito stradale di mezzi pesanti attraverso il valico del Brennero. Questa norma fa carico alla Commissione, quando si reputa che uno Stato membro abbia mancato agli obblighi previsti dal Trattato (nel nostro caso, la libera circolazione delle merci sul territorio dell’Unione), di emettere un parere motivato, e di adire la Corte di giustizia qualora lo Stato interessato non si conformi a tale parere. L’omesso intervento della Commissione nei confronti dello Stato austriaco ha fatto quindi scattare la previsione dell’art. 265, che consente agli Stati membri, e anche a persone fisiche o giuridiche, di rivolgersi alla Corte per contestare a un organo dell’Unione la presunta inadempienza messa in atto. Il ricorso odierno rappresenta l’ultimo atto di una contrapposizione fra Italia e Tirolo austriaco, che si trascina ormai da circa venti anni con alterne vicende e che merita di essere riepilogata nei suoi aspetti più rilevanti.

Nel 2004, quando, grazie alla lungimiranza dell’allora Vicepresidente della Commissione UE e Commissaria ai trasporti Loyola de Palacio, venne a cessare il sistema degli ecopunti per i mezzi pesanti, si riteneva che l’attraversamento del Brennero non fosse più una sorta di incubo per gli autotrasportatori italiani. Non è stato così: le autorità austriache, pur uscite sconfitte dal confronto in sede comunitaria, negli anni successivi hanno via via individuato nuove misure di diverso contenuto per limitare il transito dei veicoli italiani verso il Centro Europa, giungendo a mettere a rischio il principio della libera circolazione delle merci e, di conseguenza, la libertà di concorrenza fra le imprese europee.

Il movente principale delle restrizioni adottate è stato, tutte le volte, la tutela dell’ambiente e della salute umana, che sarebbe stata messa in pericolo (senza peraltro darne dimostrazione) dalle emissioni inquinanti dei camion. Se si esaminano nel merito le due principali limitazioni adottate negli anni, se ne rileva la palese incongruenza rispetto alle finalità dichiarate. Infatti:

  • i divieti settoriali di circolazione su una delle principali vie di comunicazione terrestre (praticamente un percorso obbligato) tra il Nord Italia e il Centro Europa, che colpiscono le merci trasportate piuttosto che i veicoli più inquinanti, sono stati a più riprese bocciati dalla Commissione e dalla Corte di giustizia europea, in quanto considerati di effetto equivalente alle restrizioni quantitative alle importazioni e alle esportazioni fra gli Stati membri, vietate ai sensi degli articoli 34 e 35 del TFUE;
  • il dosaggio dei mezzi pesanti ha provocato lunghe code nei territori che avrebbero voluto preservare dal danno ambientale, determinando maggiori costi e minore operatività per le imprese di autotrasporto. Oltretutto, non va dimenticato come il rinnovo del parco veicolare, con l’acquisto di mezzi di ultima generazione e il sempre più rilevante utilizzo di carburanti alternativi, abbia sensibilmente ridotto le emissioni inquinanti prodotte dal trasporto stradale, tanto è vero che non si registrano superamenti della soglia di emissioni fissata dalle normative europee.

E non solo le associazioni di categoria, ma anche le autorità italiane si sono più volte attivate, a livello formale e informale, nei confronti della Commissione europea, per richiedere misure in grado di impedire allo Stato austriaco di perseverare nell’adozione di limitazioni sproporzionate e dannose per la libera concorrenza delle imprese italiane, di trasporto ma anche di produzione. C’è quindi da augurarsi che, anche in questa occasione, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, peraltro già sollecitato da associazioni di autotrasporto, assuma sollecitamente le opportune iniziative a livello comunitario.

Va da sé, infine, che l’obiettivo primario per diminuire il transito stradale lungo la direttrice del Brennero resta lo spostamento del traffico merci sulla ferrovia (sulla quale passa attualmente il 27% delle merci trasportate), la cui capacità risulterebbe però sostanzialmente già satura. È perciò fondamentale che, in attesa della Galleria di base del Brennero, si pongano in essere interventi coordinati fra i responsabili italiani e austriaci, in tema di standard comuni e di semplificazione, che siano in grado di far crescere il trasporto combinato.

Quando l’appalto ha per oggetto il trasporto

Nello scorso mese di giugno il legislatore ha modificato l’art. 1677-bis cod. civ. in materia di contratto di appalto. La nuova formulazione della norma è oggi rubricata in «Prestazione di più servizi riguardanti il trasferimento di cose» e stabilisce che «se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più  servizi  di  logistica  relativi  alle attività   di   ricezione,   trasformazione,   deposito,   custodia, spedizione, trasferimento  e  distribuzione  di  beni  di  un  altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un  luogo  a  un altro si applicano le norme relative al contratto  di  trasporto,  in quanto compatibili».

Dalla nuova disposizione normativa, dunque, appare chiara l’esclusione dell’applicabilità delle norme in materia di contratto di appalto per la parte «trasporto» che deve, viceversa, essere disciplinata dalle specifiche norme in tema di contratto di trasporto. Tali conclusioni, tuttavia, sembrerebbero essere smentite dalla risposta al recente interpello al ministero del Lavoro (1/2022 dd. 17.10.22), in cui si afferma che «anche nel caso di appalti di più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni, debba continuare a trovare applicazione l’articolo 29, comma 2, del d.lgs 10 settembre 2002, n. 276, senza che la previsione contenuta nell’articolo 1677 bis c.c. possa far venire meno tale generale forma di tutela per queste categorie di appalti».

Il ministero del Lavoro motiva tali conclusioni affermando che:

  • la nuova definizione di contratto di logistica è stata inserita nel più ampio genus dei contratti di appalto ed è, quindi, regolato in via principale da tale disciplina
  • le norme in materia di contratto di trasporto sono state dichiarate applicabili «in quanto compatibili» e, di conseguenza, l’applicazione delle norme sul contratto di trasporto, anziché quelle sull’appalto, farebbe venire meno la responsabilità solidale ex art. 29 d.lgs 276/2003 (che rappresenterebbe una fondamentale tutela per i lavoratori dell’appaltatore).

Si tratta, a mio sommesso avviso, di conclusioni assolutamente non condivisibili che occorrerà, pertanto, riesaminare anche alla luce della giurisprudenza che sarà chiamata a fare chiarezza sui dubbi interpretativi generati dal forte contrasto fra il dettato normativo e la contrastante prassi amministrativa che il ministero vorrebbe introdurre con il richiamato interpello. Per il momento queste sono le considerazioni dalle quali è possibile prendere le mosse per un’analisi critica delle posizioni ministeriali:

  1. È indubitabile che, come afferma il ministero del Lavoro, la nuova definizione e disciplina del contratto di logistica siano state collocate fra le disposizioni in materia di contratto di appalto. Ma è altrettanto indubitabile che, proprio al fine di rimarcare la specialità e la prevalenza delle norme in materia di contratto di trasporto rispetto a quelle in materia di appalto, si è specificata la prevalenza delle prime sulle seconde.
  2. Le norme sul contratto di trasporto si applicano in deroga a quelle in tema di appalto «in quanto compatibili» e nel caso specifico non mi sembra sia ravvisabile alcuna incompatibilità sostanziale, posto che anche nel caso di applicazione delle norme sul contatto di trasporto i lavoratori continuerebbero a godere della «tutela» della responsabilità solidale.
  3. Nel momento in cui si disapplicasse la normativa sugli appalti a quei segmenti di contratto di logistica rappresentati dalle operazioni di trasporto terrestre, si renderebbe configurabile l’applicazione al contratto di logistica di un doppio regime di responsabilità solidale fra appaltanti ed appaltatori del servizio: i) il regime ordinario di responsabilità solidale dell’appaltante previsto dall’art. 29. comma 2 del D.lgs 276/2003, che continuerebbe ad essere applicato alla generalità dei contratti di logistica; ii) la responsabilità solidale prevista dall’art. 83bis del D.L. 25.06.2008 convertito con L. 133 dd. 06.08.2008, che si applicherebbe a quei segmenti di contratto di logistica che prevedano il trasporto terrestre. Si tratta di una forma di responsabilità solidale normata diversamente e forse meno rigida rispetto a quella prevista dall’art. 29 D.lgs 276/2003, ma ci si trova pur sempre in presenza di tale tipologia di tutela a favore dei lavoratori dell’appaltatore.

Gli strumenti di risparmio fiscale nelle SRL

Innanzitutto, un consiglio: valutate bene la distribuzione degli utili delle SRL entro il 31 dicembre 2022. La scelta potrebbe permettere di ottenere un notevole risparmio fiscale. In particolare, mi riferisco ai soci che possiedono partecipazioni qualificate, ovvero partecipazioni in misura superiore al 20% del capitale sociale. Fino al 31/12/2022, invece, sarà possibile distribuire gli utili prodotti fino al 2017, applicando in capo al socio, che detiene una partecipazione qualificata, la vecchia normativa. Quest’ultima non prevede l’applicazione della ritenuta flat del 26% bensì il cumulo fiscale con altri redditi. Nello specifico:

  • gli utili prodotti fino al 2007 cumulano in capo al socio nella misura del 40%;
  • gli utili prodotti tra il 2008 e il 2016 cumulano in capo al socio nella misura del 49,72%;
  • gli utili prodotti nel 2017 cumulano in capo al socio nella misura del 58,14%.

A partire dal 2023, gli utili ricevuti dal socio persona fisica saranno sempre soggetti a ritenuta a titolo d’imposta 26%. Gli utili, quindi, non fanno cumulo con altri redditi e sono tassati flat al 26%.

Entrando nel merito dei quesiti sottoposti, provo a illustrare sei metodi atti a ottenere un risparmio fiscale. Il primo metodo è il compenso amministratore, molto comune nelle piccole SRL o in quelle a matrice familiare in cui l’imprenditore è anche amministratore. In questo caso, però, occorre prestare attenzione a due aspetti:

  • aumentando il compenso dell’amministratore, si riducono le tasse nella SRL ma si aumentano le ritenute sul compenso. Detto altrimenti, aumenta il cuneo fiscale sull’amministratore;
  • attenzione anche a non sovrastimare il compenso riducendo troppo gli utili della società.

Il secondo metodo sono i rimborsi chilometrici concessi al dipendente o all’amministratore che utilizzano un proprio veicolo per effettuare una trasferta di lavoro. Il rimborso viene effettuato in funzione dei chilometri percorsi, sulla base delle tabelle ACI. I rimborsi chilometrici sono deducibili per la SRL e non sono soggetti a tassazione per il dipendente e per l’amministratore. Inoltre, sono più vantaggiosi rispetto all’auto aziendale o ai buoni benzina.

Il terzo metodo è l’indennità di trasferta: oltre al rimborso chilometrico, l’amministratore, collaboratore o dipendente, per ogni giorno in cui si recano fuori dal comune della sede sociale, hanno diritto a 46 euro al giorno, aumentati a 77 euro in caso di trasferta internazionale, a prescindere che questi soldi siano stati effettivamente spesi.

Il quarto metodo sono i buoni pasto. È possibile riconoscere buoni pasto elettronici del valore giornaliero di 8 euro completamente deducibili per l’azienda ed esenti da fiscalità e contributi.

Il quinto metodo è il marchio. Se l’imprenditore registra il marchio e lo concede in utilizzo esclusivo alla sua azienda, le royalties sono un costo deducibile al 100% per l’azienda e parzialmente detassate per l’imprenditore.

Il sesto metodo sono le prestazioni accessorie. L’articolo 2345 del codice civile contempla la possibilità che l’atto costitutivo stabilisca, oltre quello dei conferimenti, l’obbligo per i soci di eseguire prestazioni a carattere accessorio non consistenti in denaro, determinandone il contenuto, la durata, la modalità e il compenso nonché le eventuali sanzioni in caso di inadempimento.

Tempi di guida e di riposo: chiarimenti sulle deroghe

Il regolamento 561/2006, in materia di tempi di guida e riposo dei conducenti di veicoli adibiti al trasporto di merci e di persone, stabilisce anche le possibili deroghe alla disciplina principale. In particolare, il regolamento 1054/2020 definito «Pacchetto Mobilità», in vigore dal 20 agosto 2020, ha aggiunto nuove possibilità di deroghe riferite principalmente al rientro presso la sede o la residenza del conducente al fine di svolgere un riposo settimanale.

La deroga generale, prevista dall’art. 12, prevede per non compromettere la sicurezza stradale, la possibilità di superare i periodi di guida giornalieri o settimanali, le interruzioni nonché i riposi giornalieri o settimanali al fine di raggiungere un punto di sosta appropriato nei limiti necessari alla protezione del conducente, del veicolo e del carico. La disposizione non prevede quindi un limite massimo ma solo un periodo congruo per arrivare a un punto di sosta adeguato. In questo caso il conducente deve effettuare la «stampa conducente» e annotare a mano il motivo della deroga conservandola per 28 giorni a bordo del veicolo, consegnandola successivamente all’impresa per l’archiviazione fino a 1 anno. La stampa e la relativa registrazione devono essere fatte al massimo al raggiungimento del punto di sosta.

La novità riguarda invece la possibilità di derogare, per circostanze eccezionali, dalla guida giornaliera e/o settimanale per il solo rientro presso la sede dell’impresa o il luogo di residenza al fine di svolgere un riposo settimanale regolare o ridotto che deve scattare dopo al massimo 6 periodi di 24 ore dal precedente riposo, ovvero 144 ore.

Le regole sono le seguenti:

  • 1 ora di guida in più sul periodo di guida giornaliero e/o settimanale (e non bisettimanale di 90 ore) per svolgere un riposo settimanale;
  • 2 ore di guida in più sempre sul periodo di guida giornaliero e/o settimanale (e non bisettimanale di 90 ore) per svolgere un riposo settimanale regolare di almeno 45 ore.
    In questo secondo caso, al momento del superamento delle ore di guida è necessario svolgere una pausa aggiuntiva di 30 minuti consecutivi.

Dalla lettura della nuova disciplina è implicito che la deroga è ammessa solo se si inizia un periodo di riposo settimanale e pertanto un conducente non può sfruttarla per il rientro e poi lavorare il giorno successivo.

Anche in questi casi, come per la deroga generale, il conducente ha l’obbligo di effettuare la «stampa conducente» e annotare il motivo della deroga al più tardi al raggiungimento della destinazione. Inoltre, i periodi di guida svolti in più devono essere recuperati entro la fine della terza settimana successiva a quella oggetto della deroga come per il recupero del «riposo settimanale ridotto» (si ricorda che la «settimana» inizia alle 00.00 di lunedì e termina alle 24.00 della domenica).

Come si evince dalle suddette regole, la deroga riguarda solamente la guida giornaliera o settimanale, pertanto, a titolo di esempio, un conducente che si trovi al venerdì con un totale 8 ore di guida ma con «l’impegno» terminato non potrà usufruire della deroga.

Le nuove disposizioni hanno subito creato qualche dubbio interpretativo relativamente alla possibilità o meno di superare il cosiddetto «impegno» ovvero, normativamente parlando, la mancata effettuazione del riposo regolare o ridotto entro 24 ore dal termine del precedente. A tal proposito, il ministero dell’Interno ha emesso 2 circolari (16.03.2021 e 22.09.2022) chiarendo che se l’estensione di guida, come nei casi suddetti, comporta anche la riduzione del riposo giornaliero o settimanale (pertanto il superamento del cosiddetto «impegno») è ragionevole che ciò sia ammesso. Mentre non è ammesso il solo superamento dell’impegno per il rientro presso la sede o la residenza. La deroga è concessa solo sulle ore di guida giornaliero o settimanali. Infatti, la seconda circolare chiarisce che, anche quando i conducenti superano fino a 2 ore il limite massimo di guida giornaliero e settimanale, possono derogare anche dal riposo giornaliero potendolo concludere al massimo nell’arco di 26 ore dal termine precedente. Infine, in presenza della mancata compensazione entro la fine della terza settimana si applicano le medesime sanzioni relative al mancato recupero del riposo settimanale (tra le 4.30 e le 9 ore: 380 euro e 3 punti; sopra le 9 ore: 434 euro e 5 punti).

Accolto dal TAR Lazio il ricorso di Assotir. Attesa la sentenza su quello della Fiap. Albo tutto da rifare

E adesso povero Albo? La domanda, che parafrasa il capolavoro di Hans Fallada del 1932 (E adesso pover’uomo?) è quella che si pone il mondo dell’autotrasporto dopo che il TAR del Lazio ha dato ragione ad Assotir e torto al ministero dei Trasporti (allora delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili) e ha annullato i decreti con cui un anno fa fu ricostituito il Comitato centrale dell’Albo degli autotrasportatori. In virtù di una postilla inserita all’ultimo momento nel decreto legge «Infrastrutture», infatti, ai requisiti che le associazioni di rappresentanza dovevano allegare alla domanda di partecipazione era stato aggiunto che la candidatura doveva essere presentata dalla Confederazione di appartenenza, che poteva proporre una sola associazione.
La conseguenza di quelle cinque righe era stata che Confcommercio, costretta a scegliere tra la storica FAI e i neo adepti Fiap e Assotir oltre alla più piccola Unitai, presenti tramite Conftrasporto, aveva indicato la prima e Confetra aveva fatto lo stesso con Fedit mettendo da parte i traslocatori di Aiti e TrasportoUnito di Maurizio Longo, che però era riuscito all’ultimo momento a rientrare dalla finestra aderendo (anche) a Confesercenti. La motivazione – di avere meno presenze ai tavoli di governo – aveva lasciato molte perplessità, perché la riduzione era minima (da 13 a 11 associazioni), mentre l’Albo perdeva due formazioni storiche e battagliere.

I RICORSI E LA SENTENZA

E proprio Fiap e Assotir avevano reagito duramente, lasciando la prima Unatras e la seconda Conftrasporto, e contestando entrambe, davanti al TAR Lazio, la legittimità dei decreti di nomina del nuovo Comitato centrale. Il giudice amministrativo per ora ha dato ragione ad Assotir, rilevando nel comportamento del ministero quello che in gergo giuridico si chiama «silenzio-inadempimento». In parole semplici, il ministero avrebbe dovuto concludere l’istruttoria per il rinnovo dei componenti del Comitato centrale entro il termine massimo del 21 giugno 2021, mentre di fatto ha atteso l’entrata in vigore della nuova norma sui criteri di accesso (avvenuta l’11 settembre 2021), per azzerare il 14 settembre l’istruttoria in corso e ripartire con nuove regole, portando il 3 novembre alla firma del ministro la nuova composizione del Comitato.
Tanto più che, osserva il TAR, il 4 agosto il ministero aveva comunicato ad Assotir «che i controlli si sono conclusi con esito regolare». Infatti, precisa il giudice, «lo schema del decreto ministeriale di ricostituzione del Comitato era stato trasmesso il 15 giugno 2021, e poi integrato il successivo 24 agosto, mancando soltanto la sua sottoscrizione da parte del Ministro», ma l’integrazione «non può valere a vanificare la data estrema di scadenza del termine di conclusione del procedimento», altrimenti «sarebbe riconosciuto alla pubblica amministrazione un potere di dilatare ad libitum per inerzia i termini di conclusione del procedimento».

GIUBILO E SILENZI

Polemico il comprensibile giubilo con cui Assotir ha accolto la sentenza. «La Magistratura ha messo la parola fine alla scandalosa vicenda della ricostituzione Comitato centrale voluta dal precedente esecutivo», ha dichiarato la presidente Anna Vita Manigrasso. «Ci aspettiamo dal nuovo governo segnali di netta discontinuità rispetto a certe prassi», gli ha fatto eco il segretario generale, Claudio Donati, «interrotte, è utile ricordarlo, solo grazie all’intervento della Magistratura. Per i vari soggetti responsabili di questo disastro, si tratta di una lezione da tenere a mente».

Silenzio, invece, sul fronte delle altre associazioni e dei vertici dell’Albo. Chi parla chiede l’anonimato, ma molto più spesso si trincera dietro un «no comment». Perché il problema vero è che cosa succede adesso. Se ne rende conto il presidente dell’Albo, Enrico Finocchi, che si è limitato ad assicurare tempi rapidi. «Prendiamo atto della sentenza del Tar del Lazio», ha detto, «e i nostri uffici si stanno già organizzando per garantire la funzionalità e la continuità di azione del Comitato».

LE DELIBERE VALGONO

Il che non è semplice. Tant’è vero che Albo e associazioni – ammesse ed escluse – stanno consultando i rispettivi avvocati per capire come muoversi. E sono stati gli avvocati a chiarire subito che la preoccupazione principale sulla validità degli atti deliberati in questo anno e mezzo non ha ragion d’essere, nonostante fossero state prese da un organo dichiarato illegittimo dal TAR con l’annullamento dei decreti di nomina.

La preoccupazione nasceva dal fatto che una delle ultime decisioni, nel settembre scorso, era stata la fissazione delle quote di erogazione dei rimborsi per i pedaggi autostradali, che aveva sbloccato 180 milioni di euro ormai già arrivati alle imprese. Impensabile chiederne la restituzione. Ma gli avvocati hanno spiegato che non necessariamente l’annullamento di un organismo comporta la cancellazione delle sue decisioni; queste possono decadere solo se c’è un contenuto penalizzante, cosa che evidentemente non tocca la questione dei pedaggi.

LA VERIFICA DEI REQUISITI

Ma il nodo più importante da sciogliere resta la ricostituzione del Comitato centrale. La sentenza sul punto è chiara stabilendo la «condanna dell’Amministrazione a concludere il procedimento avviato con il decreto n. 30 del 2021 con un provvedimento espresso». Cioè con i criteri in vigore nel giugno 2021.
È probabile, dunque che – sentiti ancora una volta gli avvocati – il ministero si limiti a chiedere alle associazioni interessate la conferma dei requisiti presentati un anno e mezzo fa, prima di stilare un nuovo decreto con le nomine da sottoporre alla firma del ministro. Perché, in questi 17 mesi qualche requisito potrebbe essere venuto meno. In altre parole, se tutto fosse rimasto come allora, non rientrerebbe solo Assotir, ma anche tutte le altre associazioni che avevano passato la fase istruttoria sulla base delle precedenti regole. Dunque, anche Fiap, Unitai e Aiti e il panel delle associazioni – che si sarebbe voluto ridurre da 13 a 10 – risalirebbe a 14.
Un autogol, si direbbe, che permette a Donati di parlare di «pastette fatte in barba alle leggi» per «mettere l’autotrasporto sotto tutela delle Confederazioni, attraverso una norma preparata – non a caso – in clandestinità e servita su un piatto d’argento (si fa per dire) alla politica».

FIAP E CONFTRASPORTO

È la tesi sostanzialmente condivisa anche da Fiap, l’altra associazione che ha presentato ricorso al TAR e che, in seguito allo sconquasso provocato nel 2021 dai nuovi criteri di partecipazione all’Albo, aveva deciso di uscire polemicamente da Conftrasporto. «È più importante rimanere autonomi, seppure in un contenitore ridotto, piuttosto che far parte di un grande condominio in cui c’è qualcuno dall’alto che detta le regole di convivenza», aveva detto il segretario generale di Fiap, Alessandro Peron, in polemica con Confcommercio che aveva «gradito» le nuove regole. Ma Conftrasporto era lo strumento che conferiva a Fiap il titolo di appartenenza a una Confederazione –Confcommercio appunto – comunque necessario anche con le vecchie regole e la cui mancanza, oggi, priva Fiap di un requisito essenziale.
«Ma non basta controllare solo l’appartenenza a una Confederazione», protesta Peron «ma anche – per esempio – il numero o le sedi territoriali delle imprese iscritte. O si prende a riferimento il 2021 e allora valgono i documenti del 2021 o si chiede l’aggiornamento dei documenti e allora bisogna chiederlo di tutti i documenti. E chiederli a tutti».
E questa probabilmente sarà la strada che percorrerà il ministero, ma dietro l’angolo c’è ancora un’altra insidia. Il ricorso presentato da Fiap è diverso da quello di Assotir. «Abbiamo contestato i controlli e la norma – ricorda Peron – e se il TAR, che già con la sentenza per Assotir ha avuto parole pesanti nei confronti del ministero, dovesse dar ragione anche a noi, di fronte a due atti giudiziari che censurano il comportamento dei dirigenti ministeriali, sarebbe inevitabile chiedersi se non ci sia stata una strategia per far andare le cose in un certo modo e buttar fuori in maniera mirata alcune associazioni. Che hanno subito anche un danno economico a causa di un atto ritenuto illegittimo dal TAR». Insomma, se non si trova una soluzione, ci sarà ancora molto lavoro per giudici e avvocati.

Governo e associazioni. In attesa del primo appuntamento

C’è una trasmissione televisiva – un reality – intitolato «Primo appuntamento» in cui gli autori fanno incontrare, a cena, due persone di sesso (o di orientamento sessuale) diverso, perché si conoscano e, se tutto va bene, tornino a incontrarsi. È, più o meno, ciò che accade tra ministro dei Trasporti e rappresentanze dell’autotrasporto a ogni cambio di governo. Con due differenze: l’incontro non avviene a cena e, soprattutto, anziché andare in onda il martedì sera, bisogna aspettare mesi – nessuno sa quanti – prima di sedersi intorno a un tavolo, guardarsi in faccia e cominciare a conoscersi.

L’attesa media degli ultimi 15 anni è di 53,6 giorni – quasi due mesi – tra i 17 del velocissimo Maurizio Lupi, nel 2013, e gli 82 di Graziano Delrio, nel 2015. Se il nuovo titolare del dicastero, Matteo Salvini (o il suo delegato) dovesse rispettare la media, l’incontro si svolgerebbe il 14 dicembre. Ma dato che il governo in questo periodo è impegnato nella difficile partita di sfornare una legge di Bilancio per il 2023 prudente ma espansiva, che non comprometta i conti dello Stato ma soccorra le famiglie, attenui gli alti costi dell’energia, introduca il cuneo fiscale, ampli la flat tax, sostenga la natalità, rilanci il made in Italy e vari una tregua fiscale, appare difficile che possa dedicare tempo al bistrattato settore dell’autotrasporto, anche se la legge di Bilancio non potrà non contenere misure che lo riguardano.

Dunque, le associazioni di settore premono per un incontro con il governo prima che la partita della legge che decide le spese per il 2023 vada troppo avanti. Per questo Unatras, in mancanza di segnali da Porta Pia, venerdì 11 novembre – un mese dopo l’insediamento di Salvini – ha scritto al nuovo ministro per chiedere un incontro in tempi brevi, mettendo il dito sulla piaga dei costi del gasolio. Alla quale, però, il governo ha dato una prima risposta (a riprova del fatto che, anche in assenza di incontri ufficiali, sottotraccia ci si consulta), ripristinando lo sconto dell’accisa per i veicoli adibiti al trasporto merci al di sopra delle 7,5 ton, a partire dal 1° dicembre, quando lo sconto generalizzato scenderà da 25 a 15 centesimi. Ma è uno sconto parziale, pari alla differenza tra l’accisa generale sul gasolio (467,40 euro per mille litri) e quella sul gasolio commerciale (403,22 euro per mille litri): in pratica uno sconto di 6,41 centesimi al litro. La questione, insomma, è come al solito intricata; per capirla bisogna fare un passo indietro, come nei romanzi d’appendice.

I rimborsi dell’accisa

Dal 23 marzo 2022 il governo per fronteggiare il caro carburanti ha ridotto l’accisa di 25 centesimi per tutti, togliendo contemporaneamente all’autotrasporto (in conto terzi e in conto proprio) il beneficio strutturale della riduzione di 21 centesimi riconosciuto ai veicoli Euro 5 ed Euro 6. Di fatto una penalizzazione per le imprese più attente ai temi ambientali che avevano investito in veicoli più moderni e puliti, anche incoraggiati dal vantaggio fiscale sul carburante.

Per mantenere questa differenza a vantaggio dei vettori più virtuosi, il precedente governo aveva stanziato i famosi 500 milioni attraverso il credito d’imposta del 28% andato in porto da poche settimane. La somma stanziata, di fatto, è servita a coprire i mancati rimborsi del secondo e del terzo trimestre 2022 (abbiamo visto che per quasi tutto il primo era ancora in vigore lo sconto strutturale), ma ora che il governo di Giorgia Meloni ha prorogato il taglio generalizzato fino al 31 dicembre, resta scoperto il quarto trimestre. Cosa ha intenzione di fare il nuovo governo?

Si era anche parlato di un finanziamento complessivo di un miliardo – in pratica altri 500 milioni – ma poi ne sono arrivati solo 85, con il decreto legge «Aiuti ter» (varato dal precedente governo), di cui peraltro non sono stati definiti i criteri di ripartizione – salvo che spetterà solo ai veicoli al di sopra delle 7,5 ton di imprese «con sede legale o stabile organizzazione in Italia» –  e, dunque, la somma non è ancora fruibile dalle aziende. Per questo Unatras chiede nella sua lettera «una adeguata modifica legislativa nel più breve tempo possibile».

La risposta, di certo, non sembra poter essere (soltanto) il ripristino dello sconto per l’autotrasporto, anche se la misura è stata accolta «con favore» da Anita, che l’aveva richiesta da tempo, perché la strategia finora adottata ha avuto «effetti negativi per le imprese di autotrasporto senza produrre un beneficio significativo in termini di contenimento del costo del carburante epenalizzando in modo particolare le imprese che utilizzano mezzi meno inquinanti». Anche la presidente di Assotir, Anna Vita Manigrasso, ha osservato che alcune misure decise dal governo «sembrano andare nel senso da noi auspicato, del ripristino del cosiddetto gasolio commerciale», ma l’associazione sembra condividere solo la direzione di marcia, dal momento che il segretario generale, Claudio Donati, ha ricordato che «il gasolio costa pur sempre 15 centesimi in più al litro e la compensazione riservata al gasolio commerciale sarà di circa 12 centesimi. Per cui, anche il ripristino del gasolio commerciale, al momento, si risolve in un lieve aumento dell’incidenza delle accise sul prezzo finale del gasolio (circa 3 centesimi in più)».

L’ART ci prova e ci riprova

Ma non è solo questione di prezzo del gasolio, anche se è quella che più tocca le tasche dell’autotrasporto. Anche l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) richiede un esborso per il contributo che si ostina a chiedere ogni anno, come un fastidioso tafano, su un settore – l’autotrasporto – liberalizzato e quindi non sottoposto a regolazione. Unatras, anche se non chiede esplicitamente l’esclusione dal contributo, pone il tema all’attenzione del nuovo governo, anche perché quello precedente aveva assunto questo impegno con il protocollo d’intesa del marzo scorso.

Ma, quasi presentando l’odore di un intervento governativo, l’Autorità ha messo le mani avanti, avviando un’indagine conoscitiva sui settori dell’autotrasporto e della logistica, motivata con una serie di argomenti a sostegno della legittimità della sua richiesta di contributo. Al momento, grazie a un blitz anonimo che inserì la norma nel decreto per la ricostruzione del Ponte Morandi, sono obbligate a contribuire all’ART le imprese di autotrasporto che operano con soggetti sottoposti a regolazione (porti, hub ferroviari, interporti, ecc) e il contributo va calcolato solo sulla quota di tali attività rispetto al fatturato d’impresa. Ora l’Autorità sembra voler coprire con il proprio ombrello tutto il settore, con una serie di argomentazioni tra cui, paradossalmente, cita anche i valori di riferimento dei costi d’esercizio delle imprese di autotrasporto pubblicati dal ministero dei Trasporti, a sostegno della propria competenza sul settore in quanto tariffato. Una presa in giro di fronte a un comparto che da anni vorrebbe essere «tariffato» dai «costi minimi della sicurezza», mentre le tabelle ministeriali sono definite ufficialmente «indicative», ma non «cogenti».

Valichi più stretti

IL MENU DEL PRIMO APPUNTAMENTO

E c’è un terzo nodo che si staglia all’orizzonte: le crescenti difficoltà che le merci italiane incontrano nell’attraversare le Alpi. Nel 2019, dei 223 milioni di tonnellate di merci italiane che hanno valicato la catena montuosa, il 70% (più di 156 milioni di tonnellate) ha raggiunto i ricchi mercati dell’Europa centro-occidentale su un camion. Ciò vuol dire che sono stati 11 milioni e mezzo i veicoli pesanti superiori alle 3,5 ton ad attraversare i 15 maggiori valichi o tunnel stradali transalpini, in attesa che la realizzazione del Terzo valico a ovest e del traforo del Brennero a est consentano di aumentare la quota di trasporto merci su ferro. La parte del leone la fanno, come è noto, il Brennero, il Fréjus e il Monte Bianco rispettivamente con 2,5 milioni, 800 mila e 600 mila mezzi pesanti.

Alle continue – e illegittime per la stessa Europa – limitazioni unilaterali decise da Vienna e Innsbruck sul Brennero, si aggiungono oggi i lavori per la ristrutturazione del ponte Lueg, con interventi che potrebbero protrarsi fino al 2025 e la minaccia di una chiusura programmata del Monte Bianco, addirittura per tre mesi l’anno per i prossimi 18 anni. Durissima la protesta delle associazioni. Anita ha definito «inaccettabile pensare di bloccare il traffico delle merci da e verso l’Italia per un periodo così lungo», ha paventato «il rischio di isolamento» del Paese dal resto dell’Europa e ha chiesto a governo e Commissione europea di considerare questa «una priorità», ricercando «ogni possibile soluzione alternativa e funzionale a garantire il regolare transito delle merci nel valico alpino». Parole analoghe sono state usate dal presidente di Conftrasporto-Confcommercio, Paolo Uggè, che si è rivolto direttamente al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini: «Il tema va affrontato rapidissimamente a livello comunitario perché, con i valichi al ralenti, le imprese non saranno in grado di programmare la consegna delle merci».

Anita e Fai (aderente a Conftrasporto), insieme a Fedit, hanno del resto preso un’iniziativa che ha del clamoroso, depositando lo scorso 17 novembre un ricorso presso la Corte europea di Giustizia di Lussemburgo, contro la Commissione europea sulle limitazioni al transito stradale di mezzi pesanti imposte dal Tirolo, senza che i vertici di Bruxelles siano intervenuti se non con qualche lettera di richiamo.

Al primo appuntamento tra governo e associazioni, insomma, il tema dei valichi sarà senz’altro tra i primi punti all’ordine del giorno. Ma che ci sia un dialogo sottotraccia, anche in assenza di incontri formali, lo dimostra il fatto che il giorno dopo la denuncia delle tre associazioni, il vice ministro di Salvini, Edoardo Rixi, ha annunciato di voler incontrare il suo omologo austriaco, dopo un lungo incontro con i presidenti delle province autonome di Bolzano e di Trento, Arno Kompatscher e Maurizio Fugatti, per parlare degli inevitabili intasamenti che si creeranno sulla A22, dove già alla fine di ottobre si è verificata una coda di 100 chilometri a causa di un blocco dei tir deciso per una festività.

Forse per qualcuno, quel primo appuntamento non sarà proprio il primo.

Il ministro Salvini torna a Infrastrutture e Trasporti. Nel nome del ministero

Nomen est omen, dicevano gli antichi Romani: un nome, un destino. Come a dire che nel nome c’è il tocco del fato e, dunque, chi si chiama Bevilacqua dovrebbe essere naturalmente astemio, mentre chi fa di cognome Magnoni dovrebbe abbuffarsi a tavola. Insostenibile se non per il fatto che probabilmente il nome indica una discendenza e dunque Guerrieri può segnalare un’origine familiare bellicosa e Pacifici esattamente il contrario.
Ma è forse quell’illusione di un legame con il fato a far sì che, da qualche tempo, i ministri dei Trasporti italiani non appena insediati, per prima cosa cambino il nome del dicastero un po’ per dichiarare le proprie intenzioni, un po’ nella (segreta) speranza che sarà proprio il fato a confermare quel nome, giacché le loro azioni di governo – spesso interrotte dalla durata dell’esecutivo – difficilmente ci riescono.

Dieci cambiamenti

Di certo anche altri dicasteri hanno festeggiato più di un battesimo, ma quello dei Trasporti, dalla sua nascita, nel 1916 (governo Boselli) con il nome di ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari (che la dice lunga su come stavano le strade all’epoca), ne ha celebrati ben dieci, tormentato fin dall’inizio dalla stretta parentela con le Infrastrutture, che dal canto loro hanno avuto problemi a contendersi la denominazione con i Lavori pubblici. Infatti, nel 1920 (governo Nitti II) il ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari è ribattezzato dei Lavori pubblici, accorpando competenze di trasporti e infrastrutture che, con l’avvento del fascismo, furono a loro volta riunite in un unico ministero delle Comunicazioni, sopravvissuto anche con i primi governo repubblicani.

Fu però inevitabile il ritorno, nel 1944, nell’Italia da ricostruire, di un ministero dei Trasporti separato dai Lavori pubblici. Perché il nome, allora, era assegnato non dalla speranza ma dalla necessità. Durò fino al 1963, quando il presidente del Consiglio, Giovanni Leone, diede vita al ministero dei Trasporti e dell’aviazione civile, vista la crescita dei trasporti aerei, trasferendo ai Trasporti competenze fino ad allora riferite al ministero della Difesa, dove erano allocate quelle dell’aeronautica militare. Finché, nel 1973, Aldo Moro, restituendo le competenze aeree alla Difesa, torna alla dizione di ministero dei Trasporti.

Con o senza Infrastrutture?

Per vent’anni non accade nulla. Poi, nel 1994, Silvio Berlusconi, al suo primo governo, aggiunge le competenze marittime della Guardia costiera e crea il ministero dei Trasporti e della Navigazione. Ma il vero batti e ribatti si ha con il nuovo millennio. Sotto la spinta popolare che chiede di ridurre poltrone e ministeri e che già nel 1993 aveva abolito per referendum quelli di Turismo, Agricoltura e Partecipazioni statali, nel 1999 la legge Bassanini (governo Prodi I) riduce i dicasteri a soli 12, unificando Infrastrutture e Trasporti. Nel 2001 Berlusconi esegue, ma nel 2006, quando Romano Prodi lo scalza da palazzo Chigi, quasi a dispetto del cavaliere (in realtà per accontentare i tanti alleati di governo), spacchetta Infrastrutture e Trasporti. Dura solo due anni, perché quando torna Berlusconi riapplica la legge Bassanini e crea il paradosso di un governo di centrodestra fedele a una legge varata da un governo di centro sinistra che invece, pur avendola creata, l’ha disattesa.

Fatto sta che la denominazione voluta da Bassanini e attuata da Berlusconi resiste 13 anni, finché Enrico Giovannini (governo Draghi) entra a Porta Pia e per prima cosa annuncia il nuovo nome: ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili. Più che una denominazione un programma. Un anno dopo, Matteo Salvini fa lo stesso: appena insediato comunica che il ministero torna a chiamarsi delle Infrastrutture e dei Trasporti, ottenendo il plauso del presidente di Conftrasporto, Paolo Uggè. A condizione che non ci si fermi al nome.

close-link