Parliamo oggi di cessioni intracomunitarie, una materia certamente complicata che cercheremo di rendere più «maneggiabile».
In particolare, in questo caso, si tratta dell’esenzione dal pagamento dell’Iva, relativamente ad una vendita con clausola franco fabbrica (ovvero con il ritiro della merce presso lo stabilimento del cedente). Il contribuente – colui che è tenuto a pagare le imposte di legge – deve fornire la prova documentale dell’effettivo trasferimento della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o comunque di fatti secondari, da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza. Nel caso poi in cui la documentazione necessaria sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, deve dimostrare di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario (ovvero l’acquirente), l’obbligo di consegna del documento e, a fronte dell’altrui inadempimento, di aver agito con ogni mezzo in sede giudiziaria.
La questione è quindi se, nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova del trasferimento possa essere fornita con altro documento idoneo a dimostrare che le merci siano state inviate in altro Stato membro.
Ciò premesso, passiamo al caso concreto.
IL FATTO
La società tedesca SKF aveva fatto ricorso contro l’avviso di accertamento con il quale, in relazione ad alcune operazioni di cessione intracomunitaria, l’Agenzia delle Entrate italiana aveva recuperata la tassazione l’Iva per l’anno 2011. La Commissione Tributaria Provinciale di Pescara aveva accolto parzialmente il ricorso, annullando il provvedimento dell’AE limitatamente alle operazioni – non tutte quindi – per le quali erano stati prodotti i CMR (ovvero le lettere di vettura internazionali) e i DDT (documenti di trasporto).
L’appello della società estera contribuente – che evidentemente riteneva di non dover pagare alcuna tassa – trovava però il rigetto della CTR (Commissione Tributaria Regionale) dell’Abruzzo. Tale decisione si basava su tre argomenti:
– l’effettiva consegna dei beni nello Stato UE di destinazione doveva essere provata dal CMR o dal documento di trasporto;
– in mancanza del CMR, è applicabile il principio per le cessioni extracomunitarie, secondo il quale la prova dell’esportazione non può essere fornita da documentazione di origine privata;
– la documentazione fornita dalla contribuente, in relazione alle operazioni per le quali il primo giudice non aveva annullato l’atto impositivo, non era sufficiente a provare che la merce avesse raggiunto lo Stato membro destinatario.
L’azienda tedesca però non si dava per vinta e ricorreva in Cassazione (con l’Agenzia delle Entrate che resisteva in controricorso). Con quali argomenti? Vediamoli.
La ricorrente affermava innanzitutto la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 DL 331/1993. Secondo la società la CTR aveva applicato erroneamente alle transazioni intracomunitarie il diverso regime della prova della fuoriuscita delle merci dal territorio dello Stato, previsto per le cessioni all’esportazione (art. 8 Dpr 633/1972). Diversamente, infatti, la disciplina delle cessioni intracomunitarie non prescrive alcuna modalità o adempimento specifico, in capo al cedente nazionale, per provare l’avvenuta consegna dei beni nello Stato membro di destinazione. E questo soprattutto quando, come nel caso in esame, il trasporto a destinazione avviene a carico dei clienti finali stabiliti nell’UE, che ritirano la merce presso lo stabilimento del cedente (clausola ex works o franco fabbrica). Quindi la mancanza del CMR firmato non può pregiudicare la dimostrazione del trasporto intracomunitario, sempre che il cedente sia in grado di fornire documentazione probatoria equipollente, non necessariamente di una pubblica autorità. Un’interpretazione che è oltretutto conforme all’art. 45-bis del Regolamento di esecuzione 282/2011 che recita: la cessione intracomunitaria con trasporto a cura del cessionario è presunta allorquando il cedente sia in possesso di un documento che attesti la spedizione in altro Stato membro, unitamente a una dichiarazione scritta dell’acquirente, che certifica che i beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente o da un terzo per conto dell’acquirente e identifica lo Stato membro di destinazione dei beni.
In particolare la CTR avrebbe sbagliato nel ritenere non idonea la prova costituita dalle dichiarazioni della cessionaria BMW AG (Goods Receipt Ackonowledgment – GRA), con le quali è stata confermata l’avvenuta consegna dei beni oggetto delle fatture elencate.
LA DECISIONE
Cosa ha deciso la Corte Suprema? Che le motivazioni della società tedesca contribuente erano fondate.
La non imponibilità delle cessioni intracomunitarie di beni è prevista infatti dall’art.138 della Direttiva 2006/112/CE. Inoltre l’articolo 41, DL 331/1993, considera non imponibili ai fini IVA «le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti d’imposta o di enti, associazioni ed altre organizzazioni (…)». In sostanza, la tassazione avviene nello Stato membro di destinazione, secondo il principio per cui il gettito fiscale va trasferito tendenzialmente allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti.
Come più volte ribadito dalla Cassazione l’onere di provare l’esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, cioè colui che invoca detta deroga. L’esenzione dall’Iva della cessione intracomunitaria di un bene deve poi soddisfare – dice la Corte – tre condizioni: il potere del fornitore di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente; il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro; in seguito a tale spedizione o trasporto, il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione.
Ma quali sono i documenti che debbono essere esibiti per provare il trasferimento all’estero della merce? La Direttiva 2006/112/CE e il suo Regolamento di attuazione, infatti, non forniscono alcuna indicazione in merito, rinviando sul punto ai singoli ordinamenti nazionali. E nemmeno l’art. 41 li indica, per cui occorre riferirsi – spiega la Cassazione – alle decisioni dell’’Amministrazione finanziaria e in particolare alle risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate.
In una di queste – n. 345/2007 – si chiarisce che, ai fini della dimostrazione dell’invio dei beni in altro Stato dell’Unione Europea, può costituire prova idonea l’esibizione del documento di trasporto da cui si deduce l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario, conservando il contribuente sia la documentazione bancaria delle somme riscosse, sia la copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali.
Con una successiva risoluzione – n.477/2008 – viene tuttavia precisato che il riferimento all’esibizione del documento di trasporto deve intendersi effettuato a titolo meramente esemplificativo e chiarito che, nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro.
In seguito una terza risoluzione – n.19/E/2013 – ha esteso la valenza probatoria del documento di trasporto cartaceo anche a quello elettronico, mentre una quarta – n.71/2014 – infine, che riguarda l’ipotesi di cessione di un’imbarcazione, ha stabilito che, quando non è possibile esibire il documento di trasporto, sono ammissibili altri mezzi di prova idonei, con l’avvenuto trasferimento del bene in altro Stato membro derivante insomma da un insieme di documenti.
La questione sulla prova dell’effettività del trasporto della merce tra due operatori UE è stata affrontata anche dalla giurisprudenza dell’Unione e di legittimità. Ebbene in tema di onere probatorio che incombe sul cedente, si è precisato che «il documento di accompagnamento della merce è surrogabile anche con un documento commerciale contenente le stesse informazioni e la sua terza copia (l’esemplare che deve essere rinviato allo speditore per appuramento, cosiddetta copia di ritorno per il cedente) è idonea a comprovare, ai fini del beneficio dell’esenzione IVA, l’effettività del trasferimento della merce in altro Stato membro». (Cassazione n.28831/2019). La CTR invece ha ritenuto erroneamente che l’unico documento idoneo a comprovare la cessione fosse il CMR, sebbene si trattasse di vendite con clausola «franco fabbrica», e ha applicato sbagliando alla cessione intracomunitaria il regime di prova delle esportazioni, omettendo di valutare gli altri documenti offerti in produzione dalla ricorrente.
LE CONSEGUENZE
Effetto di questi ragionamenti giudiziari: la sentenza della Commissione Tributaria Regionale abruzzese va cassata e il giudizio va rinviato alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione e per un nuovo esame, anche relativamente alle spese del procedimento in Cassazione.
Cosa emerge dunque dalla pronuncia della Corte Suprema? Due certezze. Primo: che il documento di accompagnamento della merce – la lettera di vettura internazionale – è surrogabile anche con un documento commerciale contenente le stesse informazioni. Secondo: che anche la sua terza copia, l’esemplare che deve essere rinviato allo speditore per appuramento, cioè la copia di ritorno per il cedente, è idonea a comprovare, ai fini del beneficio dell’esenzione Iva, l’effettività del trasferimento della merce in altro Stato membro.
In sostanza, un chiarimento che dovrebbe facilitare l’identificazione del luogo dove applicare le tassazioni territoriali.