Incontro casualmente un amico frequentatore di queste pagine di buon cibo e bella compagnia che qualche mese addietro mi diede un prezioso consiglio per quei locali per camionisti che mi diletto ad illustrare in questa rubrica. Si tratta del nostro Marcello Bonifacio, 25 anni, pugliese di Altamura, che lavora per la Ciccimarra Trasporti, azienda della sua città natale.
Mentre chiacchieriamo Marcello è così cortese da indicarmi un altro locale che frequenta nei suoi spostamenti di lavoro, il Focolare, a Fabro, in provincia di Terni: «È un po’ il tempio della carne – mi racconta – che fanno alla brace su una bella griglia. Ma ottimi sono anche i primi, come ad esempio il mio piatto preferito: le pappardelle al cinghiale». «I titolari sono persone molto disponibili – aggiunge Bonifacio – e un altro vantaggio è che sono aperti pure la domenica a pranzo. Insomma, proprio un bel locale». Aggiungo che anche la location è particolarmente comoda e suggestiva: immersa nel cuore verde dell’Umbria, ma all’uscita dell’A1 al km. 428. Il ristorante si trova subito svoltando al casello a sinistra, a meno di 20 mt.
RISTORANTE IL FOCOLARE
Contatto dunque uno dei due titolari, Andrea Zazzi, per avere qualche informazione in più. Con grande gentilezza e disponibilità Zazzi mi racconta che sono ormai 33 anni che gestisce il ristorante insieme alla sua socia, Enrica Castorri.
Il menu del Focolare è alla carta, ma agli autotrasportatori, che costituiscono buona parte dei clienti più assidui, applicano uno sconto in modo da far spendere loro 20-22 euro (ovviamente con portate «normali», con fiorentina e costata il prezzo si alza).
«Variamo abbastanza il nostro menu – mi informa Andrea – a seconda delle stagioni, quindi i piatti più richiesti cambiano a loro volta. C’è il periodo della zucca e quello del cavolo nero e così via. Però penne all’arrabbiata e pappardelle al cinghiale rimangono grandi classici». In più il ristorante è servito da un ampio parcheggio che può contenere 30-35 veicoli e che è abbellito da un’iconica fontana. Al locale è collegato un hotel in cui potersi riposare.
E i rapporti con i camionisti? «Beh, non vorrei vantarmi – si schernisce Zazzi – ma ancora vedo conducenti che vengono da noi che sono gli stessi che ci vennero a scoprire nel 1990 quando aprimmo. Abbiamo un bellissimo rapporto ed è una cosa di cui siamo particolarmente orgogliosi. Non è solo questione della bontà del cibo, ma del fatto di trovare un’atmosfera familiare». Insomma, al Focolare i camionisti trovano un… «focolare casalingo».
Quali sono le caratteristiche richieste dalla committenza?
Dal magazzino al consumatore: questo è l’e-grocery, servizio dove la logistica è tutto perché i beni alimentari non passano in negozio, ma arrivano direttamente sulla porta di casa del consumatore. Qui conta know how ed esperienza, ma anche innovazione e tecnologia per tenere ritmi altalenanti e risposte immediate. «Abbiamo sviluppato i sistemi di pianificazione insieme ai nostri partner», racconta Gerardo Cardone alla guida del gruppo Futura SpA, realtà nata in Friuli e presente su tutto il territorio nazionale affiancando il trasporto alla gestione magazzini e anche all’esperienza nell’e-grocery per varie insegne dalla grande distribuzione e del grocery. «Nel 2023 abbiamo superato il milione di spese preparate e consegnate – dice Cardone – nel Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. I numeri sono nettamente in crescita per il 2024, grazie a nuovi progetti e all’espansione in aree finora non coperte, come Friuli-Venezia Giulia e dorsale adriatica».
Competenza e flessibilità. La somma di esperienze maturata in ambito distributivo e di gestione diretta dei Ce.Di. è stata propedeutica per sviluppare il know how necessario per operare nell’e-grocery. Abbiamo sviluppato con i nostri partner sistemi di pianificazione della delivery adatti a questo settore, integrandoli con i principali WMS (Warehouse Management System, ndr) per migliorare le performance. Siamo specializzati nella gestione dei dark store, che sono veri e propri punti vendita chiusi al pubblico dove gestiamo il flusso logistico fino alla consegna finale, ma siamo presenti anche nei punti vendita guidando le medesime attività.
Quali sono le complessità di questo servizio?
Tra le principali c’è l’andamento della richiesta: non parliamo solo di stagionalità, ma del fatto che la domanda nel corso della settimana può variare con oscillazioni anche del 100%. Per questo, far viaggiare all’unisono delivery e handling è la strada da seguire.
Come si organizza la catena del freddo della spesa a domicilio per la GDO?
Il dark store non si differenzia molto da un punto vendita tradizionale. La merce arriva in colli dal Ce.Di. e viene allestita sugli scaffali per essere prelevata a pezzi. A differenza dei punti vendita, però, la merce a temperatura controllata non è stoccata sui banconi, ma direttamente nella rispettiva cella frigorifera, divisa per categoria merceologica. Una volta pianificata la missione, la merce viene prelevata e assemblata, direttamente smistata a bordo del mezzo dedicato. I veicoli che utilizziamo sono di diverse tipologie, ma tutti gestiscono le due temperature necessarie per l’espletamento del servizio secondo le normative Atp. La consegna, secondo appuntamento e/o fascia oraria, avviene nel modo più rapido possibile collocando in appositi contenitori la merce fresca e surgelata sino all’uscio di casa del destinatario finale.
Tra le principali c’è l’andamento della richiesta: non parliamo solo di stagionalità, ma del fatto che la domanda nel corso della settimana può variare con oscillazioni anche del 100%. Per questo, far viaggiare all’unisono delivery e handling è la strada da seguire
Com’è cambiato questo servizio dopo la pandemia?
Dopo quasi dieci anni di attività nel settore, sono convito che è vincente per i nostri committenti offrire un servizio multicanale. Essere stati operativi prima del covid ci ha permesso di inseguire con meno fatica le esigenze del mercato, ma non nascondo che il periodo pandemico ha generato numeri che hanno portato al limite anche le migliori organizzazioni. Guardando all’oggi e al prossimo futuro, confermo che il trend è stabile, in crescita in alcune aree del paese dove il servizio è molto richiesto. Il nostro ruolo dovrà necessariamente evolvere e per questo stiamo lavorando ad alcuni progetti che ci consentiranno di offrire copertura più ampia del servizio, automazione di alcuni processi e maggiore flessibilità di delivery.
Questo articolo fa parte del numero monografico di ottobre/novembre 2024 di Uomini e Trasporti: uno speciale di 68 pagine interamente dedicato al trasporto a temperatura controllata.
I volumi diminuiscono e il valore aumenta. È in sintesi l’andamento del mercato dell’agroalimentare negli ultimi anni in Italia, dopo lo shock pandemico, che ha cambiato le abitudini degli italiani avvicinandoli alle consegne di cibo fin sulla porta di casa, e dopo le impennate dell’inflazione, che hanno ridotto via via le quantità nel carrello della spesa a dispetto di uno scontrino sempre più consistente. Un mercato che nel complesso, considerando agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione, nel 2022, secondo le stime di The European House Ambrosetti, valeva 586,9 miliardi di euro, nel quale l’export ha sempre tenuto: nel 2023 è aumentato del 6% per un valore complessivo di 64 miliardi (dati Coldiretti), ma sconta, oltre al calo dei consumi, anche flessioni nella produzione, come quella agricola in ribasso dell’1,8% nel 2023.
Grandi cambiamenti
Insomma, un andamento incerto, segnata da importanti cambiamenti nei consumi. Dopo la pandemia è mutata la domanda dei consumatori, più orientati su prodotti salutari e bio con maggiore richiesta di referenze fresche e freschissime, decretando la definitiva promozione dell’e-commerce che, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, ha conservato una crescita stabile per tutto il periodo con un incremento dell’8% nel 2024 e un valore complessivo di 4,6 miliardi. Tutto ciò ha chiaramente impattato sulle catene di approvvigionamento: ai flussi di domanda continua e stabile, si sono sostituiti picchi di richiesta poco prevedibili, che richiedono maggiore flessibilità di risposta da parte degli operatori logistici, ma anche maggiore massa critica per soddisfare le richieste di un mercato instabile e mutevole.
Aziende più grandi e più virtuose
Un processo reso evidente dall’analisi dei dati. In soli tre anni le aziende che dispongono di veicoli ATP per il trasporto di alimenti a temperatura controllata sono aumentate del 3,3%, passando da 61.632 del 2021 a 63.672 del 2024, ma a crescere moltissimo sono le realtà di medie dimensioni, quelle che dispongono da 11 a 50 mezzi, aumentate negli stessi tre anni del 150%, passando da 395 a 988. Seppure circa i 2/3 delle imprese risulta avere ancora una struttura monoveicolare, sono in crescita le grandi flotte, quelle con un parco superiore ai 100 camion, passate dal 2021 al 2024 da 28 a 33 unità, con un incremento del 17,8%. Un segnale in linea con la tendenza generale che evidenzia una crescita dimensionale delle imprese di autotrasporto e logistica, ma che in questo settore risponde a un bisogno evidente di servire un mercato complicato e in grande evoluzione. Dove il cliente è molto spesso una multinazionale o un’insegna della GDO alle prese con rigidi riferimenti della normativa sulla sostenibilità ambientale e che richiede vettori all’altezza della domanda, con mezzi e procedure performanti. Ecco spiegato anche l’avvio del rinnovo delle flotte: in soli tre anni gli Euro 6 con certificazione ATP sono quasi raddoppiati, passando da 26.459 a 48.941 veicoli (+84,9%), mentre gli ante-Euro 4 sono diminuiti del 12%.
L’exploit dell’ultimo miglio
Altro dato importante da considerare per capire come sta evolvendo il settore è il grande incremento delle flotte fino a 3,5 tonnellate, passate da 77.976 a 93.310 veicoli in regime ATP con una crescita di quasi il 20%. L’esercito di furgoni a temperatura controllata è essenzialmente impiegato per consegne a domicilio del food, seguendo la tendenza in atto dopo la pandemia, che porta con sé un’evoluzione di procedure e di servizio agli operatori. «La modalità di consegna a casa dell’agroalimentare differisce completamente rispetto alla consegna di un qualsiasi altro oggetto – spiega Massimo Marciani, esperto di logistica dell’ultimo miglio e Presidente del Freight Leaders Council– Innanzi tutto, il costo è molto diverso: la consegna di agroalimentare può costare tre volte in più rispetto a un collettame qualsiasi. Questo perché ci sono anche obblighi di legge da rispettare che riguardano la condivisione del medesimo spazio del furgone con oggetti diversi. L’agroalimentare non può andare con prodotti che non siano compatibili, cosa che invece non succede con collettame e merce varia con i quali si riesce a ottimizzare carichi e giri, operazione invece più complessa con il food». Proprio per questo è richiesto un maggiore sforzo agli operatori, sia in termini di risorse che di tecnologia. In quale direzione lo si può cogliere facilmente se si considerano i grandi nomi che stanno già aggredendo questo segmento di mercato. Uno su tutti: Amazon Fresh.
UN CERTIFICATO PER IL TRASPORTO ALIMENTARE
Per poter trasportare generi alimentari deperibili un autoveicolo isotermico deve essere munito del certificato ATP. La sigla è l’acronimo del francese Accord Transport Perissabile, vale a dire un’intesa internazionale per regolamentare il trasporto di alimenti in condizioni di temperatura controllata, raggiunta nel 1970 a Ginevra da cinque paesi: Francia, Germania, Jugoslavia, Spagna e Svizzera. Oggi vi aderiscono 51 Stati, tra cui l’Italia che l’ha ratificata dal 1977 e l’ha estesa al territorio nazionale, a differenza di altri paesi – come la Grecia – che al proprio interno hanno normative diverse. L’accordo indica – precisandone le temperature di trasporto – le derrate surgelate e congelate (ma anche non congelate e non surgelate) per il cui trasporto il veicolo deve essere obbligatoriamente fornito del certificato ATP: latte alimentare; latte concentrato parzialmente disidratato; latte fermentato destinato alla stabilizzazione col calore; latte aromatizzato; latte pastorizzato; bevande a base di latte; creme di latte; sangue destinato alla produzione di proteine plasmatiche; burro; burro anidro liquido; carni fresche e congelate; prodotti ittici freschi; tutti gli alimenti congelati e surgelati (compresi gelati, succhi di frutta, uova sgusciate); frattaglie, pollame, selvaggina, molluschi; formaggi freschi; ricotta. Inoltre, i veicoli isotermici (la cui carrozzeria è costituita da pareti termoisolanti in grado di limitare lo scambio di calore con l’esterno) sono suddivisi in quattro tipologie, ciascuna distinta in varie categorie, a seconda delle temperature raggiungibili dai loro apparati di raffreddamento (o di riscaldamento), calcolate in base a una specifica relazione matematica che ne calcola il rendimento termico (K): Isotermico. Possono raggiungere i -20°. Frigorifero. Possono raggiungere i -30°, anche con temperature esterne elevate. Refrigerante. Possono raggiungere e mantenere entro un massimo di 12 ore una temperatura interna fino a -20°. Calorifero. Possono raggiungere e mantenere per non meno di 12 ore una temperatura interna non inferiore ai 12°, con temperatura esterna fino a -20°. Frigorifero e calorifero. Possono alzare o abbassare la temperatura e mantenerla costante. L’attestazione ATP – la cui sigla di riconoscimento va riportata sulla carrozzeria del veicolo insieme alla data di scadenza – ha una validità di sei anni e può essere rinnovata per due volte per tre anni (per i mezzi termici più potenti anche tre volte), in modo che la durata complessiva dell’attestato non superi i 12-15 anni. Inizialmente il certificato ATP comprendeva anche la parte igienico sanitaria, ma dal 1984 è stata trasferita ad ASL e Regioni che rilasciano il certificato di idoneità da rinnovare oggi due anni.
FRC sta per «Frigorifero Rinforzato Classe C».Questi sistemiutilizzano materiali compositi basati su una matrice cementizia additivata con altre fibre, integrabili con armatura ordinaria o da precompressione. I numeri invece si riferiscono alla scadenza. In questo caso riferita al settembre del 2030
Questo articolo fa parte del numero monografico di ottobre/novembre 2024 di Uomini e Trasporti: uno speciale di 68 pagine interamente dedicato al trasporto a temperatura controllata.
Dopo una prima fase di test, è stato attivato un nuovo collegamento intermodale ferroviario tra il porto di Venezia e Montirone, in provincia di Brescia. Più in particolare, la tratta connette le banchine del terminal Vecon-PSA Venice, a Marghera, e il terminal intermodale della cittadina bresciana, uno dei nodi principali su cui opera il Gruppo MIS – Magli Intermodal Service per lo sviluppo della propria offerta di servizi multimodali.
La Magli è azienda leader nella logistica integrata di prodotti metallici, siderurgici e rifiuti industriali. Il servizio è stato realizzato in collaborazione con GME Metals, società di trading che fornisce ferroleghe e additivi per impianti siderurgici in tutta Europa, con il gruppo portuale Psa Italy e con l’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico Settentrionale, che comprende i porti di Venezia e Chioggia.
23 carri a convoglio per 50 treni all’anno
Il treno è formato da 23 carri da 60 piedi, con una capacità di carico di 46 container. Inizialmente i convogli saranno 50 all’anno in andata e ritorno, ma con l’impegno di tutti gli attori coinvolti ad aumentare la frequenza del servizio intercettando altri carichi containerizzati. Il collegamento infatti non solo serve uno dei distretti economici più importanti del Nord Italia ma, grazie alla tratta già attiva tra Montirone e Rotterdam, operata sempre dal gruppo MIS con la trazione di SBB, potrà essere sfruttato dai clienti di questo nuovo servizio per estendere il proprio mercato di riferimento fino al Benelux e alla Gran Bretagna. Il tutto risparmiando ore ed emissioni di CO2 rispetto al tempo di transito dei servizi da e verso Oriente che passano da Suez e proseguono oltre Gibilterra per Nord Europa, Regno Unito, Irlanda e Scandinavia.
Disponibile il trasporto per l’ultimo miglio
Sia per i traffici su Montirone che per quelli internazionali, MIS può inoltre offrire servizi di trasporto di ultimo miglio grazie ad una flotta di mezzi di proprietà che ha superato le 140 unità, con oltre 160 semirimorchi. I camion hanno un’anzianità media inferiore a 3 anni, con autisti che fanno parte dell’organico del Gruppo.
«Il nostro obiettivo è quello di accompagnare i clienti nei loro progetti di trasferimento modale – ha spiegato Paolo Magli, presidente del Gruppo MIS – Siamo grati per la fiducia che GME Metals ha voluto accordarci e siamo certi che insieme al partner Vecon-Psa Venice potremmo ulteriormente sviluppare la frequenza del servizio oltre il raggio di azione del porto di Venezia».
«Abbiamo deciso di ridurre il trasporto su gomma, un percorso iniziato già da tempo con la consegna a clienti attraverso spedizioni intermodali, soprattutto verso i Paesi a lingua tedesca – ha aggiunto Andrea Quaresmini, amministratore delegato di GME Metals – Con questo collegamento ritiriamo via treno dal Porto di Marghera materiale da stoccare nel nuovo magazzino di Montirone dirimpetto al dry port (terminal intermodale interno direttamente collegato al porto marittimo) gestito da MIS. L’Europa ci chiede di ridurre l’emissione di CO2 e noi scegliamo da un lato fornitori che soddisfino maggiormente questa necessità e dall’altro utilizziamo il più possibile il trasporto su rotaia per avere ferroleghe con bassa carbon footprint».
«Perché trasportare 40 container via camion dal Porto di Venezia a Brescia quando si può fare un treno blocco? – si è poi chiesto Daniele Marchiori, general manager di Psa Venice-Vecon – In questo modo abbattiamo l’anidride carbonica, creiamo maggiore sicurezza sulle strade e aumentiamo la certezza dei transit time».
«Negli anni la modalità ferroviaria nel Porto di Venezia è costantemente cresciuta – ha concluso Fulvio Lino Di Blasio, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Settentrionale – Nel 2023 abbiamo registrato una movimentazione di oltre 2 milioni di tonnellate e da gennaio a settembre 2024 abbiamo già superato 1,6 milioni di tonnellate, con un incremento, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, del 6%. Per questo l’Autorità continuerà ad investire nella modalità ferroviaria, come i lavori già iniziati del nuovo ponte ferroviario sul canale ovest, opera da 24 milioni di euro, e di razionalizzazione del traffico in via dell’Elettricità, dal valore di 19 milioni. Altri interventi previsti a breve sono la risoluzione del nodo di Via della chimica per 15 milioni di euro e la piattaforma intermodale la cui progettazione prevede un importo pari a 1,2 milioni».
Un parco veicolare vetusto fa la gioia delle officine, perché un mezzo che ha alle spalle tanti anni necessita di più frequenti interventi di riparazione. Una società in cui la fascia di popolazione anziana è preminente fa la gioia delle case farmaceutiche, perché il bisogno di medicinali è direttamente proporzionale alle primavere che ci si lascia alle spalle. Ma più aumenta la domanda di farmaci, più serve una logistica che si metta al suo servizio.
A maggior ragione se il nostro paese scopre nel settore una crescente vocazione produttiva sospinta dall’export. Nel 2013 i farmaci realizzati in Italia generavano 26,9 miliardi e di questi 19,6 prendevano la strada dell’export; nel 2023 la produzione è schizzata a 52 miliardi, grazie ai 49,1 che portiamo oltre frontiera. Tutti prodotti, cioè, che dovendo percorrere tanta strada, hanno bisogno di qualcuno che li accompagni. Compito impegnativo, esposto a rischi, perimetrato dalle regole e sopportabile soltanto da aziende dotate di organizzazione e dimensione. Prova ne sia che in Italia, a supportare quello che sulla nostra bilancia commerciale è il settore con il secondo saldo positivo con l’estero (dopo la meccanica), sono una trentina di società di autotrasporto, in genere solide e gratificate da un’immagine decisamente superiore alla media del settore.
Anche nell’alimentare, l’altro grande settore di trasporto gestito con allestimenti a temperatura controllata, si è giunti a un risultato analogo ma per vie diverse.
Qui ad accelerare i processi di cambiamento è stata la pandemia, incrementando sia la domanda per i cibi bio e per tutto ciò che appare strumentale al benessere, sia il ricorso agli acquisti on line. In questo modo un settore tradizionalmente statico, tranquillizzato dall’adagio secondo cui «bisogna comunque mangiare», ha scoperto sia una leggera contrazione dei consumi, indotti dall’aumento dei prezzi, sia uno stravolgimento dei flussi, con picchi verticali in alto e in basso non da una stagione all’altra, ma da un giorno all’altro. E siccome nessun piccolo trasportatore può riuscire a gestire tanta instabilità, in quel tappeto aziendale del settore, composto per i 2/3 da un pulviscolo di piccole realtà, sono spuntate e cresciute imprese strutturate, protagoniste anche di un’accelerazione del ricambio veicolare.
Lo dicono i numeri: negli ultimi tre anni gli Euro 6 con certificazione ATP sono quasi raddoppiati, passando da 26.459 a 48.941.
Nell’autotrasporto c’è sempre un’altra faccia, meno pulita e luccicante. La persona più titolata a rappresentarla è l’autista di 59 anni, dipendente di un’azienda con filiale a Torino ma con quartier generale altrove, costretto a lavorare 50 ore a settimana per distribuire merci alla grande distribuzione. E quando, all’ennesima assegnazione di un numero spropositato di consegne, ha fatto notare che fossero troppe, dall’altra parte come risposta gli hanno mollato uno schiaffo
Tutto questo è trend, la direzione in cui si muove l’avanguardia del trasporto refrigerato. Ma nell’autotrasporto c’è sempre un’altra faccia, meno pulita e luccicante. La persona più titolata a rappresentarla è l’autista di 59 anni, dipendente di un’azienda con filiale a Torino ma con quartier generale altrove, costretto a lavorare 50 ore a settimana per distribuire merci alla grande distribuzione. E quando, all’ennesima assegnazione di un numero spropositato di consegne, ha fatto notare che fossero troppe, dall’altra parte come risposta gli hanno mollato uno schiaffo. Un’umiliazione resa ancora più insopportabile dalla dimensione pubblica, consumata davanti agli occhi di altri colleghi. Nel cinquantanovenne, già presumibilmente provato dai ritmi stressanti, qualcosa si è rotto. E qualche giorno dopo, malgrado fosse ormai prossimo alla pensione, ha deciso di farla finita. I familiari, che tante volte l’avevano sentito manifestare il proprio malessere per quei turni infiniti e quegli orari insopportabili, hanno denunciato tutto alla procura di Torino. Oggi, dopo un anno e mezzo di indagini, l’amministratore delegato della società e la persona delegata a stabilire i turni lavorativi, sono stati iscritti sul registro degli indagati per omicidio colposo determinato dalla violazione delle norme su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Siamo nelle fasi precedenti al processo ed è quindi impossibile prevedere come terminerà. Intanto però una persona non c’è più. E soltanto il sospetto che all’origine del suicidio ci possa essere una situazione di sfruttamento, obbliga a guardare in controluce i megatrend. Perché ci sarà pure qualcosa di buono in giro, ma perché si consolidi bisogna liberare il terreno da tanto marcio. Di aziende divenute grandi macchiando la propria crescita spremendo forza lavoro sono pieni i tribunali.
Chi muove i primi passi nell’autotrasporto, quasi subito si troverà di fronte qualcuno più esperto che gli rivelerà una verità indiscutibile sulla più significativa differenza con il mondo dell’automobile: non esiste un camion uguale a un altro. Pesi, dimensioni, allestimenti, accessori, dotazioni creano combinazioni praticamente infinite per fornire al trasportatore la risposta più adatta, funzionale, efficace – e a norma di legge – per svolgere la propria attività. È una verità che diventa lampante nel settore del trasporto a temperatura controllata, dove la necessità di consegnare la merce con le caratteristiche originali deve misurarsi con i tempi e le distanze da percorrere, gli sbalzi di temperatura nelle fasi di carico e scarico, il microclima dei magazzini, le vibrazioni del veicolo, la sicurezza degli imballaggi, le consegne finali anche a domicilio: tutte condizioni che, rischiando di alterare la merce trasportata, finiscono per riversarsi sul veicolo, sul conducente, sull’impresa di trasporto e per condizionare tutta la supply chain che accompagna il prodotto dall’uscita dalla fabbrica al consumatore finale. E si tratta di un ventaglio di merci variegato e molteplice – dagli alimentari ai farmaci, dai fiori e piante alle opere d’arte, dai materiali sensibili destinati all’industria aerospaziale alle strumentazioni micrometriche – che richiedono temperature costanti, ma diverse a seconda del tipo di prodotto trasportato: da arance, uva e ciliegie che viaggiano tra 0° e 2° con un’umidità tra il 95% e il 100% a banane, avocado e mango che non amano il freddo e devono essere trasportati a 13-15° e l’85-90% di umidità. Perché si tratta di trasporti esclusivi che possono caricare solo un’unica tipologia di merce per mantenerla alla sua temperatura mirata.
Quanti veicoli?
Anche per questa sua complessità il mondo del trasporto a temperatura controllata è difficile da quantificare. Un riferimento è la certificazione ATP, che però è obbligatoria soltanto per i veicoli isotermici adibiti al trasporto di alcuni generi alimentari deperibili (ATP è l’acronimo di Accord Transport Perissable) dal latte e i suoi derivati, come il burro e i formaggi, alle carni fresche e congelate, dai prodotti ittici freschi a tutti gli alimenti congelati e surgelati. Ma non per l’olio e il vino e neppure per i farmaci. Ciononostante, sono molti gli autotrasportatori – anche nel settore del trasporto farmaci per i quali l’ATP non è necessario, ma valgono altri regolamenti – che chiedono per i propri veicoli il certificato ATP che ne attesta i range di temperature interne (anche positive), spesso per garantirsi una certificazione ulteriore che costa poche decine di euro, talvolta per la confusione che l’attuale normativa – complessa e sovrapponibile – genera negli operatori.
Inserire un mondo così variegato, complicato e confuso nell’arida rigidità delle statistiche è come cercare un ago in un pagliaio. Quanti sono i veicoli isotermici circolanti in Italia? Chissà. Il database della Motorizzazione civile, al 17 settembre di quest’anno ne registra 132.158. L’Automobile Club d’Italia, per il 2023, ne conta 156.436, ma non fornisce ulteriori dettagli (Certificati ATP? Trainati? Pesi? Tipo di trasporto?). L’Albo degli autotrasportatori – a fine 2023 – ne indica 153.596 (salendo a 160.793 a fine giugno 2024), ma sono solo veicoli ATP di aziende che effettuano trasporti in conto terzi, mentre l’Osservatorio interdisciplinare trasporto alimenti e farmaci (OITAF), che ha prodotto due anni fa un ampio e accurato studio sul settore elaborando dati della Motorizzazione, di ATP ne conta soltanto 135.847, sommando ai 77.976 veicoli leggeri e ai 40.342 tra medi e pesanti anche 17.529 trainati (15.091 semirimorchi e 2.438 rimorchi) e comprendendo anche il conto proprio. C’è da dire, però, che la cifra è in linea con quella fornita dall’Albo per il 2021, quando registrava 133.051 ATP tra le imprese professionali. C’è sempre questa disomogeneità relativa al conto proprio, ma troppo non si può pretendere in un mondo in cui, come diceva Winston Churchill, «le uniche statistiche in cui possiamo credere sono quelle che abbiamo appena falsificato».
Le imprese e le tipologie di veicoli
Al di là delle battute icastiche del grande statista inglese, l’incertezza del dato generale si riverbera sulle imprese e sulle tipologie dei veicoli, rendendo difficile la comprensione del settore. Anche il numero delle imprese in possesso di veicoli con certificato ATP risente delle stesse rilevazioni parziali o incomplete: il dato generale sembra coincidere. La Motorizzazione – sempre al 19 settembre scorso – ne indica 63.672, OITAF (ma nel 2021) ne riscontra 61.632, l’Albo ne dichiara 62.291 a fine 2022 (63.711 oggi), ma resta il fatto che quest’ultimo dato non comprende il conto proprio. Che è, invece, predominante nel settore, così come i padroncini.
Il dettaglio della ricerca OITAF relativo alle flotte dotate di ATP, rileva che il 76,5% sono monoveicolari e il 19,6% non supera i cinque veicoli (in totale è il 96,1%), mentre solo lo 0,1% ha più di 50 veicoli, ritraendo un mondo legato evidentemente al trasporto di breve raggio, quasi un navettaggio tra la produzione dei campi e i mercati agricoli (ma lo stesso vale per i prodotti ittici) da smerciare rapidamente, in giornata, che corrisponde al sistema indicato da quelle cifre elevate del numero dei veicoli nel Sud d’Italia. L’Albo non fornisce il dettaglio delle imprese fornite di ATP, ma il confronto delle percentuali di imprese iscritte per numero di veicoli mostra come al di sotto dei 5 mezzi ci sia il 66,5% delle aziende, e che sopra i 50 la percentuale sia del 3%.
Decisamente impossibile, infine, identificare la quantità delle tipologie dei mezzi isotermici in circolazione. È sempre l’ATP a venirci incontro dividendo i veicoli temperatura controllata in isotermico normale (con carrozzeria costituita da pareti isolanti), isotermico refrigerato (con una fonte di freddo), calorifero (con fonte di riscaldamento), coibentato (se l’isolamento è realizzato all’interno). Ma dare una cifra a ciascuna di queste tipologie è aleatorio. L’Aci – all’interno dei suoi 156.436 veicoli isotermici – parla di 17.840 frigoriferi e 17.052 isotermici o coibentati idonei al trasporto alimentare con o senza gruppo refrigerante. L’Unrae stima (a maggio 2024) 47 mila «veicoli frigo». Stop.
Due mondi separati
Pur con le sue contraddizioni e omissioni, tuttavia, le statistiche mostrano un mondo dinamico, ma tranciato in due mondi separati: quello delle imprese che crescono cercando di migliorare la qualità del servizio e quello di chi resta ancorate al piccolo trasporto locale e giornaliero, quasi di sopravvivenza, ignorando la complessità della catena logistica del freddo e limitandosi al trasporto. Per questo le criticità che questi due mondi si trovano di fronte sono soprattutto due: per il primo tutte quelle fasi che lungo la filiera rischiano di alterare le caratteristiche organolettiche o chimiche del prodotto trasportato; per il secondo la necessità di rinnovare un parco che, secondo stime Unrae, ha mediamente 16,4 anni di vita.
Difficile in tali condizioni far fronte ai «nemici» che le imprese più strutturate tentano di combattere con l’organizzazione logistica e la tecnologia: lo sbalzo di temperatura e le vibrazioni. Dalla fase di caricamento del prodotto (si pensi alla raccolta del vino presso le piccole cantine disseminate nella campagna) a quella di raccolta (con i magazzini che devono avere sezioni isotermiche a diverse temperature), a quella della distribuzione (dove le aperture e le chiusure della cella durante le consegne incidono sulla temperatura interna), fino al nemico più insidioso: l’ultimo miglio. Il momento della consegna – in un negozio o al cliente privato – è certamente quello che richiede il maggiore impegno da parte del trasportatore.
Un fenomeno dilatato dall’esplosione dell’e-commerce di alimenti e medicinali dopo la pandemia. «La fase di consegna delle merci nell’ultimo miglio», ha scritto il presidente del Freight Leaders Council, Massimo Marciani, nello studio dell’OITAF, «rappresenta circa il 70% del costo totale della logistica nel segmento e-commerce e la consegna dei prodotti freschi presso il domicilio dei clienti costituisce pressoché l’unica modalità di consegna, al netto di qualche esperimento pilota di lockers a temperatura controllata».
La risposta a cui guardano con maggiore interesse gli operatori del settore è la digitalizzazione: tenere sotto controllo la temperatura in tutte le fasi del trasporto diventa fondamentale per garantire – e certificare – l’integrità del prodotto. Pianificare le spedizioni, ottimizzare i percorsi, tracciare i viaggi in tempo reale è già possibile. L’intelligenza artificiale potrà prevedere tempestivamente necessità di approvvigionamento e organizzare di conseguenza lo stoccaggio. Nuovi materiali consentiranno di migliorare sempre di più gli imballaggi, in modo da proteggere il prodotto non solo dagli sbalzi di temperatura ma anche da urti, vibrazioni, sobbalzi, dotandoli anche di sensori in grado di garantire un tracciamento costante.
D’altra parte, cosa sono i cassoni isotermici, già esistenti sul mercato in molteplici formati e dimensioni, se non dei mega imballaggi? Validi soprattutto per i trasporti a lunga distanza, la loro modularità li rende facilmente trasportabili da veicoli normali, ma sono anche personalizzabili, ecologici (è più facile agire con energie rinnovabili su un modulo ridotto) e dotati di sensori per il tracciamento. Il futuro è dietro l’angolo, anche per la catena del freddo. Ma quell’angolo bisogna girarlo.
Questo articolo fa parte del numero monografico di ottobre/novembre 2024 di Uomini e Trasporti: uno speciale di 68 pagine interamente dedicato al trasporto a temperatura controllata.
Si chiama indice di frequenza infortunistica il valore con il quale l’Inail mappa le conseguenze di un incidente sul lavoro ogni 1000 addetti. In questa classifica, il trasporto e il magazzinaggio è al terzo posto con un indice di 23,39, dopo Sanità (42,95) e gestione rifiuti e forniture d’acqua (32,15), ma molto sopra la media del macrosettore Industria e servizi che per il triennio 2019-2021 fa registrare un indice di 15,26. A renderlo noto è la relazione annuale dell’Inail, presentata questa mattina in Parlamento, con una fotografia del 2023 con ancora con luci ed ombre per il trasporto che risulta uno dei settori più colpiti per infortuni e morti sul lavoro. L’indice di frequenza infortunistica per il 2023 per il trasporto e magazzinaggio è determinato da un valore pari a 21,24 per l’invalidità temporanea, 2,07 per l’invalidità permanente e lo 0,08 per la mortalità, un dato – quest’ultimo – superiore solo in agricoltura (0,15) e nelle costruzioni (0,09).
A livello generale, le denunce di infortunio nel 2023 sono state oltre 590mila, in calo del 16,1% rispetto alle circa 704mila del 2022 (113mila casi in meno) e dell’8,4% rispetto alle quasi 645mila del 2019. Gli infortuni con esito mortale denunciati sono stati 1.147, ovvero 121 in meno (-9,5%) rispetto ai 1.268 del 2022 e 95 in meno (-7,6%) rispetto ai 1.242 di cinque anni prima. A influenzare il calo degli infortuni in complesso nel 2023 è stata l’effetto finale della pandemia, ancora molto presente nel 2022 in termini di contagi professionali denunciati. La riduzione reale, al netto dell’effetto Covid, si attesta infatti al -0,6%.
Tra i più colpiti, il trasporto e magazzinaggio. Nella gestione degli infortuni, il settore ha determinato il 12% degli incidenti e arriva dopo la manifattura che evidenzia un quarto degli eventi, la sanità (14%) e le costruzioni (13%). Mentre sul fronte dei decessi, i trasporti sono al secondo posto con 125 decessi nel 2023, 17 in meno rispetto al 2022, e arrivano solo dopo le costruzioni che contano 176 casi, in linea con i 175 del 2022.
C’è una nuova borsa noli attiva in Italia. Nuova non soltanto perché si affaccia per la prima volta sul nostro mercato, seppure sia una filiazione della borsa francese B2PWeb attiva già da 18 anni, ma anche perché viene alimentata, analogamente alla sua casa madre, da una filosofia gestionale inedita: creare un servizio per gli operatori del trasporto merci facendolo gestire direttamente dagli operatori stessi. Come a dire, «da e per» gli autotrasportatori. Traccia evidente di questa presenza la si riscontra già nella compagine sociale di Resta Italia, la realtà nata per essere il partner esclusivo in Italia di P2BWeb e composta – come ci spiega il direttore commerciale Roberto Pezzi – «per il 25% da H2P, holding francese creata dalla collaborazione di quattro raggruppamenti e presente anche nel capitale della borsa francese, per il 20% da Astre Italia, mentre i suoi singoli soci partecipano con una quota del 2%. In più ci sono due entità particolari: una è Astre Plus, la realtà che all’interno del raggruppamento si occupa della gestione dei bancali, l’altra è Federtrasporti, la cui partecipazione è importante perché, insieme ad Astre, rappresenta la più grande aggregazione societaria nell’autotrasporto italiano. E proprio per questo era essenziale che ci fosse, perché ci consente di replicare per quanto possibile il modello vincente utilizzato in Francia».
Roberto Pezzi, direttore commerciale di Resta Italia
La molla del modello francese, in pratica, era una sorta di aggregazione al quadrato. P2B, infatti, nasce tramite la volontà collaborativa di quattro realtà, che già al loro interno erano frutto di un’aggregazione: Astre, Flo, Evolutrans e Tred Union. E proprio questo tipo di collante aiuta a comprendere una delle peculiarità fondamentali della nuova borsa noli. Ma cerchiamo di comprenderne altre direttamente dalle parole del suo direttore commerciale.
Cosa differenzia B2PWeb da altre analoghe attività?
Il tratto maggiormente distintivo riguarda la mutualità. A capo di Resta Italia, infatti, non c’è una persona, un singolo manager, come può avvenire in altre borse noli, ma un gruppo di professionisti del trasporto. Non a caso B2P è l’acronico di «Borsa dei Professionisti». Poi è ovvio che queste aziende si sono messe insieme per creare un servizio che porti valore aggiunto, ma non è una società a scopo di lucro. Il suo scopo è di rendersi utile a far lavorare tutti, a far lavorare meglio, a far lavorare di più. Poi, non pensiamo di inventare nulla, ma siamo sicuri che la nostra proposta rappresenterà una ventata di aria nuova, data appunto dalla filosofia che ha ispirato l’operatività di B2P e che poi è la stessa che ha fatto nascere Resta Italia.
C’è stata una personalizzazione nazionale della borsa?
Ovviamente la borsa noli è stata del tutto tradotta in italiano. E anche l’assistenza, seppure verrà seguita direttamente dalla Francia, viene affidata a persone madrelingua italiane che lavorano in Francia.
A questo proposito, quante persone lavorano per questa realtà?
Ci sono 160 dipendenti e 42 agenti sul territorio.
Qual è la motivazione che dovrebbe spingere ad accedere a un servizio di questo tipo?
Innanzi tutto, avendo la fortuna di avere fra i soci dell’azienda trasportatori e spedizionieri, avremo nell’immediato una grande mole di carichi. Poi, sappiamo che essenzialmente il trasportatore nelle borse cerca un carico di ritorno. In base ai dati elaborati dalle associazioni di categoria, infatti, nel 20% dei casi il trasportatore dispone di un carico di andata che gli ha commissionato il suo committente, ma gli manca quello per tornare indietro. In media, per esempio, ogni 20 carichi in andata che riesce a gestire in un mese è privo di quattro viaggi di ritorno. Possono sembrare pochi, ma in realtà diventano tanti se si calcolano gli importanti costi che gravano un camion. E di conseguenza poterli contenere anche per una percentuale modesta fornisce un aiuto sostanziale all’azienda. Poi, è ovvio che perché una borsa noli funzioni ci deve essere un incontro, deve funzionare – diciamo così – come una bilancia che ha su un piatto i carichi offerti e sull’altro i trasportatori disponibili.
Trasportatori che però l’utente della borsa non conosce. Perché si dovrebbe fidare?
Lì interveniamo noi, facendo leva sull’assoluta affidabilità del sistema. In termini pratici, significa che, prima di poter avere accesso alla nostra borsa, il potenziale cliente viene sottoposto a una sorta di radiografia. Magari, se viene presentato o sponsorizzato dai soci, tutto diventa più facile. Ma se così non è noi andiamo a verificare tutto: atti pregiudizievoli, protesti, possesso delle licenze, iscrizione all’albo degli autotrasportatori, coperture assicurative, ecc. Ma la cosa che ci distingue è che questi controlli non vengono fatti una volta per tutte, come avviene in altre borse, ma in maniera sistematica, andando a controllare la persistenza nel tempo dei requisiti necessari per poter operare sulla nostra borsa. A fornirci un supporto in tal senso sono i nostri agenti sul territorio, in quanto vivono dentro al settore del trasporto e quindi ne conoscono perfettamente gran parte degli attori. Per questo possiamo affermare che per noi l’affidabilità è una pietra miliare.
Una nutrita rappresentanza della compagine societaria di Resta Italia
Il viaggio di ritorno è la principale lacuna da colmare. Ma un un carico accettato su una borsa noli quali altre opportunità può generare?
Le opportunità che si possono aprire sono tantissime, dal trovare nuovi corrispondenti, seri e affidabili e che quindi possono diventare per un’azienda un concreto valore aggiunto, fino al trovare i cosiddetti carichi di completamento. Penso in particolare al caso in cui si viaggia con un carico ma non del tutto completo, nel senso che si ha qualche metro di spazio libero per sistemare qualche bancale. Carichi di questo tipo non si cercano e non vengono neppure offerti, ma se si possono trovare lungo l’itinerario si conquista un altro strumento per contenere i costi.
Questa dinamica collaborativa non è la riproposizione dello schema aggregativo presente nel DNA di B2P?
Sicuramente. D’altra parte, una borsa noli funziona bene quando tutti gli aderenti sono persone non soltanto serie, ma anche animate da uno spirito di collaborazione. E la nostra borsa presenta questo tratto in maniera naturale perché, come dicevo, intende migliorare la condizione delle aziende coinvolte facendo leva sulla collaborazione. In più va anche ricordato che questa borsa ha alle spalle una realtà che contempla come scopo sociale proprio la possibilità di inserire nuovi soci. Quindi, è aperta in modo strutturale alle relazioni con altre aziende.
Una borsa noli si basa su un software; quanto quello di Resta Italia è interoperabile con altri software che il trasportatore ha già in uso?
In Francia hanno già creato un’integrazione tra la borsa noli e tutti i principali gestionali utilizzati in quel paese. Noi stiamo lavorando per fare altrettanto con quelli presenti in Italia.
Avete fatto un calcolo di quanto traffico serve per alimentare in maniera sostenibile una borsa noli?
Abbiamo calcolato che nell’immediato avremo a disposizione qualcosa come 400-500 carichi al giorno, soltanto grazie ai carichi che inseriranno i soci. E quindi contiamo di raggiungere i 700-800 carichi giornalieri – vala a dire la soglia psicologica da ottenere per poter lavorare bene – veramente presto.
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NUMERI PER CAPIRE
202 Sono le persone che ogni giorno lavorano per B2PWeb: 160 come dipendenti diretti e 42 in veste di agenti territoriali
30.000 e 18 milioni di euro Sono rispettivamente il numero di clienti e il fatturato di B2P
4-500 Sono i carichi giornalieri già offerti da Resta Italia sulla piattaforma P2BWeb, rispetto a un target fissato di 7-800
5 Sono i paesi europei (Francia, Belgio, Italia, Spagna e Portogallo) in cui è presente B2PWeb, raccogliendo i carichi di ognuno all’interno di un unico data base.
Esiste un target privilegiato a cui fate riferimento?
In generale ci rivolgiamo agli spedizionieri che forniscono i carichi e ai trasportatori che dispongono dei mezzi per movimentarli. Però, consideriamo tutti i tipi di trasportatori, almeno dal punto di vista dei settori merceologici. Perché l’esperienza insegna che chi si avvicina a una borsa noli tendenzialmente fa trasporto industriale. Difficilmente, invece, viene frequentata da chi opera nel cisternato. E anche dal punto di vista della dimensione aziendale non facciamo discriminazioni: andiamo dal padroncino monoveicolare fino alla grande azienda, anche se pure poi sul mercato è più facile trovare aziende da 7-10 camion che grandi flotte da 10.000.
Ultima cosa: in tempi recenti B2P è sbarcata anche in Spagna e in Portogallo. Per quale ragione in questi paesi è stata scelto, contrariamente che in Italia, di gestire direttamente l’attività?
P2B è sempre stata legata ad Astre a doppio filo. Nella penisola iberica, però, questo raggruppamento non è molto forte, mentre in Italia è fortissimo, visto che raccoglie la crema degli autotrasportatori nazionali. Quindi è stato logico rivolgersi ad Astre Italia per commercializzare la borsa nella nostra penisola e che a tale scopo questo raggruppamento creasse una società – Resta – il cui nome non è altro che l’anagramma di Astre.
Ispettorato che vai, interpretazione che trovi. È il caso della nuova patente a crediti, ovvero il meccanismo introdotto dopo l’incidente dello scorso febbraio in un mega-cantiere fiorentino con lo scopo di innalzare i requisiti delle aziende edili in termini di sicurezza sul lavoro. In vigore dal 1° ottobre, la normativa porterebbe a interpretazioni multiple nei confronti degli autotrasportatori che lavorano con l’edilizia. Con ispettorati del lavoro che a livello territoriale avanzano ipotesi di inclusione delle aziende che effettuano servizi utilizzando benne, forche e pinze per trasportare e scaricare materiali pesanti e ingombranti. Un contesto poco chiaro e soggetto a differenti visioni della normativa che sta mettendo in agitazione le non poche aziende di autotrasporto in conto terzi che interagiscono con l’edilizia. Tanto che la Fita-Cna ha indirizzato al Direttore generale dell’Ispettorato del Lavoro, Paolo Pennisi, un interpello (che Uomini e Trasporti ha potuto leggere) per chiedere maggiore chiarezza e un’interpretazione univoca a livello nazionale. “Crediamo fermamente – spiega Mauro Concezzi, Responsabile nazionale della Fita-Cna – che l’autotrasporto in conto terzi sia escluso da questa normativa a prescindere dalla strumentazione installata sui mezzi, ma chiediamo un chiarimento per una corretta e omogenea applicazione della norma a livello nazionale”.
Le interpretazioni della normativa
D’altra parte, la norma parla chiaro. L’articolo 27 del decreto legislativo 81/2008 (sicurezza sul lavoro), riformulato all’inizio dell’anno, introduce il meccanismo della patente a crediti (30 crediti iniziali che vengono scalati in base a una serie di criteri legati a carenze dal punto di vista della sicurezza nei cantieri) per “imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all’articolo 89, comma 1, lettera a), ad esclusione di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale”. Quindi, sembrerebbe chiaro che la novità non interessi i fornitori delle aziende edili, quindi in questo caso i trasportatori in conto terzi. Ma stando ad alcuni ispettorati regionali la norma andrebbe interpretata in modo estensivo, ovvero verificando quale tipo di trasporto e di scarico sia effettuato nel cantiere. Per esempio, il caso del calcestruzzo. Se l’impresa di trasporto di calcestruzzo con betoniera si limita a scaricare il materiale (ad esempio nei silos appositamente predisposti), si tratta di mera fornitura – si legge in uno dei pareri rilasciati a livello territoriale – Qualora, invece, il calcestruzzo venga posato in opera, ovvero scaricato dall’operatore dell’autobetoniera direttamente nelle aree da realizzare in cemento, si tratta di lavoro edile soggetto alla richiesta della patente a crediti”. Insomma, un punto di vista che cambia a seconda della prospettiva da cui si guarda.
I controlli e la normativa già prevista per l’autotrasporto
Per questo la Fita-Cna ha chiesto spiegazioni all’Ispettorato centrale, inviando anche una serie di indicazioni che riguardano la specificità di questa professione. “I mezzi utilizzati – si legge nell’interpello – sono funzionali, non all’esecuzione dell’opera, bensì al carico e allo scarico sicuro dei prodotti e dei materiali”. Insomma, in primis, l’autotrasporto in conto terzi nell’ambito di un cantiere rimane in sostanza un fornitore e non un esecutore, ma se ciò non dovesse essere sufficiente, si potrebbe ricorrere alla normativa ad hoc del settore che già tutelerebbe – stando a quanto scrive Fita-Cna – la sicurezza dei lavoratori e la correttezza delle aziende. Infatti, l’interpello ricorda che esiste una normativa che impone dei “requisiti specifici (capacità professionale, idoneità finanziaria, onorabilità e stabilimento) per garantire che i trasportatori operino in modo responsabile e professionale, contribuendo alla sicurezza e all’efficienza del settore dei trasporti su strada”. Inoltre, i conducenti sono in possesso di una patente specifica, ovvero la CQC che “attesta che il condecente ha ricevuto una formazione specifica in materia di sicurezza, igiene e norme di circolazione”. Infine, si ricorda l’attività dell’Albo degli autotrasportatori che, in collaborazione con Inps, Inail e CCIAA, “effettua verifiche periodiche sulle imprese di autotrasporto”. In altre parole, secondo Fita-Cna, “gli obiettivi che si intendono conseguire con l’introduzione della “Patente a crediti”, sono pertanto da tempo ampiamente previsti dalla specifica normativa che regolamenta l’autotrasporto di merci per conto di terzi”. Ora però si faccia chiarezza anche a livello territoriale.