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«La distribuzione cambia in modo paradossale: ecco perché e come attrezzarsi»

Negli ultimi vent’anni, il trasporto merci su strada in Italia ha subito un’evoluzione sorprendente: mentre il numero di autocarri è cresciuto del 50,6% (vedi anche l’articolo che spiega il dato), il volume complessivo delle merci trasportate è calato sensibilmente, con una riduzione del 13,5% delle tonnellate movimentate e del 21,5% delle percorrenze espresse in tonnellate-km. Un paradosso? Non proprio. Dietro questi numeri si nasconde un cambiamento radicale nelle modalità di distribuzione, spinto da nuovi modelli di consumo e da un’economia sempre più orientata verso l’e-commerce.

L’esplosione dell’ultimo miglio

La chiave di lettura di questa apparente contraddizione risiede proprio nella natura delle consegne. Negli ultimi anni, la logistica dell’ultimo miglio, ovvero quel tratto finale del viaggio che porta i prodotti direttamente nelle case dei consumatori, è esplosa. Il boom degli acquisti online ha rivoluzionato il mondo del trasporto merci: al posto dei grandi carichi trasportati su lunghe distanze, ora assistiamo a una frammentazione delle spedizioni, con autocarri più piccoli che attraversano le città per consegnare pacchi sempre più frequentemente. Inoltre, le tabelle rivelano che gran parte del parco veicolare attuale è composto da autocarri leggeri, molti dei quali immatricolati prima del 2007. Questi veicoli, meno efficienti dal punto di vista ambientale, sono però perfetti per affrontare i brevi tragitti urbani. Se da un lato il numero di autocarri cresce, dall’altro diminuiscono il carico medio e le percorrenze su lunghe distanze.

Più camion, meno merci

Un altro fattore chiave è la crescita del numero di veicoli, che tuttavia non corrisponde a un aumento delle merci trasportate. Al contrario, vediamo una riduzione. Come mai? Questo fenomeno può essere spiegato dal miglioramento delle tecnologie logistiche, che consentono di ottimizzare le rotte e di ridurre il numero di viaggi. Inoltre, molte aziende preferiscono frazionare le spedizioni, rendendo i trasporti più frequenti ma con carichi più piccoli.

L’invecchiamento del parco veicolare

In tutto questo, un aspetto non trascurabile è l’invecchiamento del parco veicolare. Più della metà degli autocarri attualmente in circolazione è stata immatricolata oltre 15 anni fa. Questo implica una minore efficienza in termini di consumi e maggiori emissioni, sebbene la prevalenza di veicoli leggeri possa in parte attenuare questo impatto.

Il futuro del trasporto merci

Questa trasformazione ha importanti implicazioni per il futuro della mobilità urbana e delle infrastrutture. Il continuo aumento delle consegne a breve distanza richiede una pianificazione accurata per evitare il congestionamento delle strade urbane e per ridurre l’impatto ambientale di un parco veicolare sempre più numeroso, ma non sempre efficiente. La sfida, dunque, sarà rendere il trasporto merci più sostenibile, modernizzando il parco mezzi e puntando su soluzioni innovative che possano conciliare l’efficienza logistica con la necessità di ridurre le emissioni inquinanti. Un cambiamento che appare inevitabile se si vuole mantenere la crescita del settore senza compromettere la qualità dell’aria nelle nostre città.

«Digitale e collaborazione per massimizzare l’impatto ambientale dei servizi green»

Cresce la domanda di servizi green, ma come misurarli? Lo abbiamo chiesto a Damiano Frosi, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano. “Tecnologia e collaborazione di filiera – spiega – per misurare l’impatto ambientale dei servizi offerti e avere dati sempre più puntuali e di dettaglio per gestire al meglio la transizione energetica”. 

Come è possibile misurare l’impatto ambientale dei servizi offerti? 

La transizione green è efficace solo se accompagnata da una misurazione dell’effettivo impatto ambientale. Per fare questo, viene a supporto tutto il tema della transizione digitale, in cui soluzioni software come i TMS avanzati, sempre più performanti aiutano ad ottenere un dato puntuale, la sua corretta gestione e allocazione, anche nel dettaglio, come per esempio per l’impatto ambientale dei mezzi utilizzati. Un secondo aspetto cruciale è l’importanza della collaborazione tra le diverse parti della filiera per garantire quella che è la trasparenza, chiarezza e visibilità dei dati stessi. 

Le soluzioni a disposizione per la transizione ambientale sono spesso complesse e rischiano di aumentare l’incertezza e la confusione. Come è possibile intervenire?

In primis occorre lavorare sulla chiarezza delle soluzioni tra fonti di energia e tipo di alimentazione dei veicoli. C’è bisogno di far comprendere che attualmente le soluzioni non sono tutte allo stesso stadio di sviluppo e di adozione da parte degli utenti. Il che vuol dire che non c’è una sola soluzione, ma bisogna attingere dalle varie a disposizione, tenendo in considerazione lo sviluppo che le sta caratterizzando. Altro aspetto da tenere in considerazione è ancora una volta la collaborazione di filiera che deve essere un tema chiave in questo momento di transizione. 

+50,6%: è la crescita degli autocarri in circolazione dal 2000 al 2023: trasportano meno merce e la metà ha più di 15 anni

Gli autocarri in circolazione immatricolati in Italia per il trasporto delle merci sono più che raddoppiati in 23 anni. E le merci? Sono diminuite: del 13,56% se si prendono in considerazione le tonnellate e del 21,57% in termini di percorrenze tonnellate/Km. E non è tutto: quasi la metà dei 4.473.640 mezzi registrati nel 2023 sono stati immatricolati prima del 2007, ovvero hanno come minimo 15 anni. Il dato emerge incrociando alcune tabelle pubblicate nel Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti 2022-2023 che il Ministero di Porta Pia ha reso diffuso nei giorni scorsi e alcuni approfondimenti pubblicati dall’ACI.

Il parco mezzi cresce e invecchia

Nel 2000 il parco destinato al trasporto delle merci era costituito da 2.971.050 esemplari. Il dato, verificato con l’ACI che è anche la fonte delle tabelle ministeriali, comprende tutte le categorie di mezzi, dai più piccoli, entro le 2,5 tonnellate fino a quelli con massa superiore alle 32 tonnellate. Questo contingente, 23 anni dopo, era cresciuto del 50,6%, arrivando a contare 4.473.640 mezzi, di cui quasi la metà (2.093.659 unità) ha una massa tra le 2,6 e le 3,5 tonnellate, ovvero si tratta dei van per le consegne nei centri urbani e l’ultimo miglio in generale. 

Andando a guardare da vicino un’altra tabella, sempre di fonte ACI, quella che descrive l’anno di immatricolazione del parco autocarri circolante nel 2023 e l’alimentazione, si scopre che quasi la metà, ovvero il 48,49% – che in termini assoluti fanno 2.169.330 veicoli – sono veicoli immatricolati prima del 2007, ovvero marciano da 15 anni, come minimo. Le alimentazioni? Qui il conto è più facile: il gasolio vince ancora su tutta la linea con il 90,3% della diffusione.

Le merci e le percorrenze diminuiscono

Se i veicoli aumentano, in questi 23 anni le merci sono diminuite. Nel 2000, stando alle tabelle ministeriali, ne circolavano 1.205.117.000 tonnellate, nel 2023 sono scese a 1.041.654.000 tonnellate (-13,56%). Merci più leggere? Certo è possibile, conseguenza dell’evoluzione delle produzioni industriali con i settori pesanti come l’acciaio e il siderurgico sostituiti da produzioni più leggere, come l’agroalimentare e il fashion. Ma il calo è confermato anche sulle percorrenze in termini di tonnellate-Km che si riducono in questi 23 anni del 21,57% a riprova che i mezzi viaggiano, ma mai troppo pieni. Leggi anche il commento di Massimo Marciani.

21%: è la percentuale dei magazzini GDO che riceve merce dopo le 13, ma l’AI cambierà la prenotazione degli slot

Il dato di partenza è sorprendente. Se è cosa nota che la maggior parte dei magazzini della GDO riceva le merci in ingresso durante la mattina – tra le 6.30 e le 13.00, su un unico turno di lavoro – è sicuramente meno scontato che solo il 21% arrivi dopo le 13.00, generando a monte la necessità di organizzare le consegne nell’arco di circa 6-7 ore, con evidenti conseguenze in termini di congestione e di tempi di attesa

Lo rivela un’indagine di GS1 Italy, condotta in collaborazione con LIUC Università Cattaneo e Politecnico di Milano, sull’estensione delle finestre di ricevimento. La ricerca si è concentrata, in particolare, sui risultati di dieci progetti pilota che hanno coinvolto un campione di distributori, produttori e vettori logistici. I dieci progetti hanno posto in essere delle best practice basate su cinque indicatori di prestazione (KPI): puntualità in partenza dal magazzino, in consegna da parte del trasportatore e allo scarico presso il centro di distribuzione (Ce.Di.); tempi medi di attesa da parte del trasportatore allo scarico e di scarico dall’ingresso del trasportatore nel Ce.Di all’uscita.

Confrontando i valori medi di tutti i progetti prima e dopo l’estensione delle finestre di consegna al pomeriggio, si è osservato un miglioramento della puntualità di consegna da parte dei trasportatori (dal 77 all’84%), mentre i tempi di scarico sono passati da 73 a 60 minuti. Di contro si segnala un lieve peggioramento sul fronte della puntualità sia al carico da parte dei trasportatori, sia nel rispetto dell’orario di scarico da parte della GDO. Inoltre, nella maggior parte dei casi i produttori non hanno segnalato lamentele da parte dei propri vettori per i ritorni serali (tranne il venerdì), a fronte del rischio di superamento del numero di ore di guida settimanali degli autisti.

E nel tentativo di ridurre le attese per il carico e scarico, sempre GS1 ha da poco lanciato un gruppo di lavoro, coinvolgendo committenza, infrastrutture e vettori, per studiare come l’Intelligenza Artificiale possa migliorare l’accesso dei trasportatori nei magazzini, tecnologie e processi per lo slot booking 2.0. Detto sinteticamente, si tratta di creare un sistema di prenotazione dei tempi di scarico che, grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, sia in grado di rimodulare gli appuntamenti in base alle condizioni del traffico, alle esigenze del Ce.Di. e ai tempi di guida e riposo dell’autista, esaminando la situazione nella sua completezza e fornendo un aiuto concreto a dimezzare i tempi di attesa.

43: sono i progetti di mobilità con droni in Italia, il 93% riguarda la consegna di merci

Merci pigliatutto nel delivery con i droni. Secondo uno studio dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata del Politecnico di Milano, aggiornato fino a ottobre 2024, la logistica è uno dei settori in prima linea quando si parla di velivoli senza pilota. Tra il 2019 e ottobre 2024 l’Osservatorio guidato da Paola Olivares ha censito 1.601 progetti nel mondo e 462 in Italia, di cui 43 progetti nell’area Innovation air mobilty and delivery. 

La mobilità con i droni rappresenta quindi il 9% del totale dei progetti rilevati in Italia, il 93% di questi riguarda la consegna delle merci. Solo il 3% sono già operativi, ma il settore – secondo il Politecnico – è destinato a crescere in particolare nell’ambito della consegna di materiale sanitario. Sempre rimanendo nella logistica, il 5% dei progetti ha rappresentato un’esperienza una tantum, in attesa di essere perfezionata, mentre il 57% è rappresentato da iniziative ancora a livello di sperimentazione, infine il restante 35% è rappresentato da casi e progetti per il momento solo annunciati. 

La logistica si posiziona come terzo settore per la mobilità con i droni: con 40 progetti viene dopo la pubblica amministrazione (215 esperienze) e la salvaguardia ambientale (68 casi). La maggior parte dei progetti riguarda il trasporto di materiale sanitario (67%) tra cui spiccano dispositivi medici (33%), sangue e campioni biologici (30%), medicine e altre casistiche come organi, tamponi vaccini. Sul versante delle merci generiche abbiamo il 77% dei progetti orientati al trasporto di beni di consumo, il 15% per pacchi postali e solo l’8% per carichi pesanti. Tra le realtà attive nel mercato del delivery col drone, spiccano tra le altre, Amazon Prime Air, Leonardo, Poste Italiane, Telespazio e Techno Sky. 

80%: è la percentuale dei committenti che chiede servizi green

Network, magazzino, packaging e trasporto. Sono questi gli ambiti sui quali l’80% delle aziende committenti sta lavorando attualmente per rinnovare la propria domanda di logistica. Il 57% dei fornitori e autotrasportatori sta rispondendo utilizzando più di 3 soluzioni tecnologiche. Il dato, in anteprima assoluta per la prima uscita di “100 numeri”, emerge dall’ultimo studio dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Polimi e verrà presentato durante l’evento annuale in programma il prossimo 12 novembre a Milano. Si tratta dell’indicazione di una vera e propria rivoluzione in ambito logistico che sta interessando tutta la filiera, compreso il trasporto su gomma, e che fornisce il peso del cambiamento in atto: la stessa indagine condotta dall’Osservatorio 10 anni fa rivelava un tasso di impegno sul fronte della green logistics tra la committenza pari al 13%. 

Una crescita dovuta alla spinta che l’obbligatorietà dei parametri ESG sta avendo in molte grandi realtà e, di conseguenza, la richiesta di sostenibilità che si ripercuote su tutta la filiera. È in questa ottica che il Politecnico ha indagato anche la reazione da parte del trasporto su strada. Come sta rispondendo? In modi diversi, verrebbe da dire per sintetizzare. L’indagine ha riscontrato l’utilizzo in contemporanea di diverse tecnologie dovuta alla disponibilità sul mercato di molte opportunità che rischiano di aumentare la confusione e l’incertezza da parte dei decisori. E che sta portando gli operatori a fare scelte plurime in fatto di alimentazione del veicolo e fonte energetica utilizzata. Infatti, il 57% di un sotto-campione di fornitori di logistica e trasportatori attivi nella transizione green analizzato dall’Osservatorio ha dichiarato di utilizzare più di 3 soluzioni contemporaneamente per rispondere alla richiesta di green logistics, tenendo presente un diverso grado di sviluppo della filiera.

Leggi anche l’intervista a Damiano Frosi.

4 secondi: il tempo che può salvare una vita sul camion

Nel mondo del trasporto su strada, la sicurezza è un tema che non può essere trascurato, soprattutto quando si parla di mezzi pesanti. Uno degli aspetti chiave per la sicurezza degli autisti e degli altri utenti della strada è il mantenimento della giusta distanza di sicurezza.

Ma la sappiamo calcolare? Tutti conoscono la formuletta «velocità/10 moltiplicato 3», ma vi chiedo: una volta che conosco quanti metri dovrei tenere come minimo dal veicolo davanti, come li misuro?

L’occhio umano non ha, purtroppo per noi, un laser per misurare lo spazio con precisione e il risultato molto spesso è disastroso perché «a occhio» riteniamo sufficiente ciò che non lo è affatto.

Molto più facile usare come metro di misurazione non lo spazio, ma il tempo. Perché contare è alla portata di chiunque e, dato che la velocità si può declinare anche in metri al secondo, risulta che, mantenendosi a 4 secondi dal veicolo davanti, si rimane sempre entro un buon margine di sicurezza, in quanto si conserverà sempre una distanza proporzionale alla propria velocità.

Facciamo un esempio: a 80 km/h percorro 24 m/s, per cui se sto a 4 secondi la mia distanza sarà 96 metri. Se andassi a 90 km/h (27 m/s) sarebbero 108 metri e se andassi a 60 km/h sarebbero 72: tutto, quindi, viene calcolato non soltanto in proporzione, ma in riferimento a una totale sicurezza.

Ma perché quattro secondi e non una distanza in metri?

In autostrada, in buone condizioni, «4» è il numero da ricordare perché permette di interpretare la situazione, di reagire, di consentire l’inizio della frenata e di arrestare il veicolo. 

Partiamo dal concetto che si impara per tentativi e insuccessi fino a ottenere i successi dai tentativi. Per cui per allenare l’occhio a una distanza sufficiente dovrei continuare a provare e sbagliare fino a capire quale sia la distanza giusta. Ma arrivare a tamponare per «provare» non è esattamente il massimo, non vi pare?

Ecco perché tanto vale seguire un metodo diverso e calcolare la controprova della mia distanza valutata ad occhio in questo modo: prendiamo un punto di riferimento fisso, tipo un cavalcavia in autostrada e, non appena il veicolo davanti a noi ci passa sotto, iniziamo a contare quanti secondi impieghiamo per arrivare nello stesso punto. Se arriviamo a «4» significa che siamo alla distanza giusta, se il conteggio si ferma prima è il sintomo che siamo in una condizione di pericolo e quindi bisogna aumentare il margine, facendo una controprova alla successiva occasione e così di seguito. 

Una volta “allenato” correttamente l’occhio ci accorgeremo che i 4 secondi diventeranno una misura automatica. Non a caso, anche i sistemi di sicurezza elettronici – i famosi ADADS – ragionano in secondi. Lo sapevate?

Ultima precisazione; se il fondo stradale o la condizioni ambientali diventano più critiche anche la distanza va aumentata in modo proporzionale. In ogni caso il «4» va considerato come un mantra. Sotto a quella soglia non si può scendere.

300: sono i lavoratori della logistica internalizzati da GranTerre, coop modenese del parmigiano. È la fine dell’outsourcing?

Anche la produzione comincia a internalizzare la logistica. È di questi giorni la notizia che GranTerre, il gruppo nato dall’unione di Grandi Salumifici Italiani e Parmareggio, che distribuisce marchi molto noti come Casamodena, Teneroni e Senfter, ha internalizzato 300 lavoratori, impiegati nel magazzino situato nell’interporto di Bologna con un precedente appalto. Dal 1° ottobre è nata GranTerre Logistica, la settima società del gruppo con 330 dipendenti, 300 internalizzati e 30 provenienti dal ramo d’azienda per la gestione informatica della movimentazione delle merci. «Abbiamo ragionato sull’evoluzione del mondo degli appalti – ha spiegato a Uomini e Trasporti Niccolò Passerini, responsabile della logistica del Gruppo – e abbiamo capito che il magazzino rappresenta un asset fondamentale per il nostro business: è il nostro 19° stabilimento da dove passano le leve del controllo per la distribuzione».
Sembrano lontani i tempi in cui la logistica non veniva considerata “core” ed esternalizzare rappresentava una soluzione ovvia per tagliare i costi aziendali. «Abbiamo capito – continua Passerini – che al di là dei costi, abbiamo bisogno di gestire direttamente la logistica in magazzino perché in casa conosciamo meglio il nostro business e siamo in grado di ottimizzarne i processi». E per la distribuzione? «Ci affidiamo a una ventina di grandi flotte – racconta Passerini – che servono sia l’Italia che l’estero», ma GranTerre sta testando anche altre modalità come il ferroviario con un progetto pilota che abbiamo raccontato in un altro articolo

Insomma, forse anche in conseguenza delle inchieste che hanno portato in tribunale molti grandi gruppi della logistica protagonisti di appalti ed esternalizzazioni “selvagge”, sembra che il tempo dell’outsorcing a tutti i costi stia tramontando. Dall’interporto di Bologna sta partendo anche l’internalizzazione dei lavoratori di DB Schenker Italia che, dopo aver firmato la Carta Metropolitana per la logistica etica con il Comune del capoluogo emiliano, ha avviato lo scorso aprile l’assunzione delle risorse impiegate nei magazzini. Anche Fedex, grazie a una serie di accordi sindacali, l’ultimo siglato il 4 marzo 2024, ha internalizzato le attività di movimentazione delle merci nelle filiali con un processo iniziato nel 2021 che ha interessato 1.200 lavoratori su tutto il territorio nazionale. E analogamente ha fatto DHL Express che a febbraio 2023 ha firmato un protocollo per l’internalizzazione di un’ottantina di lavoratori impiegati nelle attività di handling negli aeroporti di Napoli e Venezia, mentre è prevista l’assunzione di altre 300 risorse nei prossimi anni. Stessi discorso per DHL Supply Chain che ha internalizzato tra il 2021 e il 2024 circa 2.000 lavoratori su tutto il territorio nazionale.

Altre operazioni hanno interessato il sito logistico di Santa Palomba vicino Roma, mentre a Pavia la società francese ID Logistics ha assunto, lo scorso aprile, circa 200 operatori impiegati nel magazzino di Amazon. Fino ad arrivare a BRT, la controllata di GeoPost interessata da una ristrutturazione aziendale imposta dal Tribunale, che l’aprile scorso ha sottoscritto un accordo per l’internalizzazione di 80 lavoratori e si appresta ad avviare la seconda fase che interesserebbe 350 lavoratori. Infine, anche il gruppo Arcese, uno dei big dell’autotrasporto italiano, sarebbe in procinto di firmare un accordo di internalizzazione per le risorse impiegate nei magazzini.

49%: è la percentuale di camion elettrici che in Cina sostituisce la batteria invece di ricaricarla

L’elettrico o il mondo dell’inatteso. È inatteso, per esempio, che lo scorso anno su scala globale siano stati venduti più camion elettrici che bus. Visto il contesto urbano in cui sono chiamati a muoversi molti autobus, infatti, si sarebbe indotti a pensare al contrario. Invece no: per la prima volta nel 2023, con un trend ribadito anche nel 2024, i camion hanno superato i bus arrivando a quota 54 mila.

La risposta a questa domanda non propone nulla di inaspettato: il paese della Grande Muraglia fa la parte del leone non soltanto in termini di vendite, con percentuali variabili negli ultimi 5 anni tra il 70 e l’85% sul totale globale (dati IEA), ma anche rispetto ai modelli e alle versioni proposte. Pensate che attualmente se ne contano più di 840. E ovviamente più allarghi l’offerta, più ti metti in condizione di intercettare una domanda. L’Europa arranca e non soltanto nei segmenti pesanti, ma anche in quelli leggeri. Nel 2023 a fronte di 150 mila van elettrici venduti in Europa, la Cina ne ha messi in fila più di 240 mila. 

La cosa curiosa, l’altro numero che impone una riflessione è un altro. Per comprenderlo bisogna fare una premessa. In Europa, così come negli Stati Uniti, il mercato dell’elettrico viene approcciato in due modi: uno, già maturo, si affida alla ricarica delle batterie, l’altro, ancora in fase di test, le alimenta tramite celle a combustibile. La prima strada, giudicata energeticamente più efficiente, richiede lo sviluppo di un’infrastruttura considerevole. Per realizzarla, secondo calcoli McKinsey, serviranno 500 miliardi di dollari fino al 2040. Tra questi investimenti bisogna includere anche la diffusione del Megawatt Charging System (MCS), utile per contenere i tempi di ricarica a circa un’ora. I principali costruttori – Daimler Truck, Traton Group e Volvo Group – hanno dato vita a una joint venture, chiamata «Milence», per diffondere quanto più possibile tale tecnologia, convinti che potrebbe fornire un sostanziale aiuto nell’aggirare quello che di fatto è uno dei principali freni alla diffusione dell’alimentazione elettrica.

La Cina, invece, batte anche un’altra strada. Perché, accanto ai sistemi di ricarica, a quelle latitudini si stanno diffondendo le stazioni per la sostituzione delle batterie tra veicoli pesanti. In questo modo, con una sosta di 5-10 minuti, l’autista può ripartire con una batteria completamente carica. La cosa spiazzante, però, la mostra questo grafico:

Nel 2023 poco meno di un camion elettrico ogni due viaggiava sostituendo le batterie, con un trend in crescita costante. In termini assoluti significa che, se nel 2020 nel paese asiatico più popoloso al mondo c’erano 555 stazioni, nel 2023 sono diventate la bellezza di 3.567. A dominare letteralmente il mercato delle batterie sostituibili c’è CATL, in quanto fornitore dell’85% dei costruttori che hanno deciso di battere questa strada. Peraltro, se prima il sistema più utilizzato era quello di sfilare la batteria dal retro del veicolo, da circa un anno la stessa CATL commercializza una batteria che si tira via lateralmente. Una tecnica, questa, che almeno sulla carta sembrerebbe anche più compatibile con i camion europei.

In ogni caso va tenuto presente che il presupposto della diffusione della sostituzione della batteria è la creazione di uno standard. E in un mercato in cui un solo costruttore di questo componente è fornitore dell’85% di chi opta per tale tecnologia non può che facilitarla.

Inoltre, a innescare l’effetto moltiplicatore della rete cinese sono stati i conti: i primi bilanci di queste realtà nascenti, infatti, disegnano un business più che sostenibile. E il ciclo “produttivo” del servizio appare lineare anche dal punto di vista tempistico: quando la prima batteria sostituita viene smontata, infatti, la si mette in carica e si procede alla sostituzione delle altre sfilate dai vari camion in coda. Quando si arriva a cambiare l’ottava batteria, la prima è di nuovo carica.

Sarà sufficiente tutto questo per favorire l’approdo della sostituzione anche da noi?

5,14 ore: è il tempo di attesa media di un camion al carico/scarico

Di persone disposte a fare l’autista ce ne sono poche. Le ragioni di questa distanza sono tante, ma forse non viene sufficientemente considerato un fattore: ogni giorno mediamente un camion attende 5,14 ore per riuscire a caricare o a scaricare la merce. I numeri, raccolti tramite la banca data Districò del Gruppo Federtrasporti, prendendo in esame 95 mila giornate lavorative, sono freddi. Ma come vi sentireste se foste costretti per essere accolti in un ufficio a fare un’anticamera per più di mezza giornata? Cosa provereste se, intrapresa una carriera perché desiderosi di guidare un veicolo, poi per la maggior parte delle giornate lavorative foste costretti a girare i pollici più che il volante? E parliamo soltanto di una delle tante conseguenze devastanti generate dall’attesa sulla psicologia dell’autista. Poi bisognerebbe quantificare anche il mancato fatturato prodotto dall’attesa sui bilanci delle aziende. Tre anni fa Uomini e Trasporti lo quantificò in circa tre miliardi

Ma stiamo al presente, anche perché paradossalmente è più fosco rispetto al passato. Lo dicono i numeri: il tempo di attesa che nello scorso triennio si attestava a 4,35 ore, nel corso del 2024 è addirittura aumentato di ben 40 minuti, salendo alla soglia delle 5,14 ore. Le ragioni di questo incremento dell’attesa possono essere tante, ma di certo alcune le principali appaiono:
1) i rallentamenti infrastrutturali dovuti ai tanti interventi manutentivi e costruttivi in corso;
2) le problematiche legate agli accessi nei porti che, in particolare in Liguria, sembrano aggravate rispetto a qualche anno fa;
3) il funzionamento troppo statico e poco flessibile degli slot di prenotazione per il carico e scarico, nel senso cioè che questa semplice soluzione digitale che fissa in anticipo il tempo obbligato in cui presentarsi per caricare e scaricare il camion, lasciando una finestra di tolleranza abbastanza ridotta, finisce per scontrarsi con i tanti imprevisti e le tante variabili che si incontrano viaggiando per strada.
Come si vede, quindi, sono tre fattori in qualche modo circolari, perché le code dovute ai cantieri poi per un verso accentuano le difficoltà di accedere ai porti, per un altro rendere meno efficiente il sistema di prenotazione on line.

Andiamo ad analizzare il resto dei numeri con una chiave comparativa con il passato.

Faccio l’autista, ma per lo più attendo

Un autista inizia mediamente a lavorare poco dopo le 6 del mattino (di media, perché il 46% in realtà parte prima di quest’ora) e termina intorno alle 17.30. Per essere più precisi, nel triennio precedente si iniziava un quarto d’ora prima e si terminava la giornata lavorativa 6 minuti dopo. Quindi, aveva un impegno di una ventina di minuti superiore. In ogni caso sempre sopra alle 11 ore. È un arco temporale straordinariamente lungo, sia se rapportato alla guida effettiva, che dovrebbe essere il “cuore” dell’attività di un autista, che era ridotta a 6,49 ore nel triennio scorso e oggi scivola a 5,50 ore. La distanza tra «guida» e «attesa» si riduce ormai a circa una mezzoretta.

Da 444 a 336 km: il crollo delle percorrenze medie giornaliere

Lo scorso triennio aveva un dato particolarmente positivo, riferito ai chilometri medi giornalieri, che erano 444, percorsi grazie a una velocità media passata di 61,18 km/h. Merito per lo più di una contingenza molto particolare, creatasi nell’anno 2022, quando, in un momento post pandemico, l’autotrasporto spinse clamorosamente sull’acceleratore perché per la prima volta la domanda di trasporti, rimbalzata dopo il covid, era superiore all’offerta, gravata per di più dalla fuga di tanti autisti dal settore (quelli di cui parla in questo numero Laura Broglio nella sua rubrica video) e dai tempi di consegna dei veicoli esageratamente allungati. Ma quei 444 km nel 2024 sono diventati una sorta di miraggio, visto che con un crollo verticale di produttività di ben il 24,3 % oggi la percorrenza media di un camion si ferma a 336 km. E la ragione è stata già anticipata: le code, i cantieri, i rallentamenti delle rete sono evidenti nella velocità media, scesa di quasi l’11% fino agli attuali 55 km/h.

Un terzo degli autisti sceglie il riposo ridotto per «rincorrere» le attese

Ma i condizionamenti più faticosi per la qualità del lavoro dell’autista derivano da altri numeri. Il primo è 36,49% e rappresenta la percentuale di coloro che, nella loro organizzazione lavorativa, osservano un riposo ridotto. In pratica, più di un terzo degli autisti malgrado abbia la possibilità di osservare nell’arco delle 24 ore un riposo regolare di 11 ore, si accontenta di quello ridotto per tre volte tra due riposi settimanali proprio perché deve rincorrere il tempo perso nel corso delle attese.

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Se l’attesa si «mangia» la pausa pranzo

Il secondo riguarda la percentuale di conducenti che, invece di pranzare in trattoria o in un’area di servizio (questi ultimi, ormai, sono meno del 5%), si porta il cibo da casa. I dati Federtrasporti raccolti nel 2010 contenevano questo numero al 19%. In un successivo rilevamento, effettuato nel 2018, la stessa percentuale era già salita oltre il 30%, mostrando un trend che tutto lascia presupporre che, al momento attuale, per ragioni essenzialmente economiche, abbia superato anche il 50%. Ma ancora più interessante è il fatto che almeno un autista su quattro, vale a dire il 25%, salta il pranzo o lo consuma mentre guida. E anche qui è evidente che l’attesa prolungata al carico/scarico finisce letteralmente per “mangiarsi” la pausa pranzo, che molti decidono di cancellare nel tentativo di correre alla ricerca del tempo perduto.

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