Serata quasi storica quella trascorsa a cavallo tra il 28 e il 29 giugno. Il Consiglio dei ministri dell’Ambiente dei Paesi dell’Unione europea ha deciso a Lussemburgo di procedere nell’attuazione del piano «Fit for 55» adottando otto misure (ne parliamo in altri articoli del sito) finalizzate a ridurre entro il 2030 le emissioni complessive del 55% rispetto ai livelli del 1990 e poi conquistare la piena neutralità carbonica entro il 2050. Il contributo richiesto ai trasporti stradali indica per ora un obiettivo ambizioso: ridurre le emissioni di CO2 del 55% per le auto e del 50% per i veicoli commerciali medi e leggeri entro il 2030, mentre l’arresto definitivo delle vendite di nuove vetture e furgoni a benzina e diesel avverrà a partire dal 2035. Se questi traguardi vi suonano già familiari, sappiate però che dal testo approvato ieri sera emerge una novità sostanziale, che di fatto potrebbe cambiare il corso delle cose. Il riferimento è a questo passaggio testuale:
«Nel 2026 la Commissione valuterà i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del 100% delle emissioni e la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici, anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l’importanza di una transizione fattibile e socialmente equa verso le emissioni zero».
Cosa vuol dire? In pratica nel 2026 verrà effettuato un test di verifica degli obiettivi ricordati e laddove emergessero dati negativi o fosse riscontrata la difficoltà di sostenere in modo equo la transizione, l’opzione assoluta della motorizzazione elettrica potrebbe anche relativizzarsi. E quindi potrebbero essere riprese in considerazione tecnologie alternative, quali appunto gli ibridi plug-in o i carburanti sintetici, laddove dimostrassero di poter azzerare le emissioni di gas serra. Tutto ciò, quindi, può essere letto come una sorta di invito a chi progetta e realizza le tecnologie ricordate per invogliarli a muoversi ora per riuscire entro il 2026 a oltrepassare lo scoglio della neutralità carbonica. Perché a quel punto nulla vieterebbe di considerare altre motorizzazioni come opzioni possibile. Insomma, l’elettrico va avanti, ma la tecnologia corre e se da qui a quattro anni fosse in grado di dimostrare forme di alimentazione zero-impattanti, l’offerta di motorizzazioni per arrivare al traguardo finale fissato al 2050 potrebbe anche arricchirsi.
A margine, c’è da segnalare – malgrado non interessi direttamente i van – l’approvazione dell’«emendamento Ferrari», vale a dire la concessione di una proroga di cinque anni (quindi fino al 2035) dell’esenzione dagli obblighi di Co2 a vantaggi di quei costruttori che non raggiungono nell’arco di un anno una produzione di 10 mila veicoli.
Inoltre, Il Consiglio ha deciso di porre fine al meccanismo di incentivi normativi per i veicoli a zero e basse emissioni a partire dal 2030.
A questo punto, dopo che il Consiglio ha concordato le sue posizioni sulle proposte della Commissione, iniziano i negoziati con il Parlamento europeo per raggiungere un accordo sui testi giuridici finali.
Un testo frutto di mediazione
Dietro al testo approvato dal Consiglio dei ministri dell’Ambiente esiste ovviamente un compromesso. Tante, infatti, erano state le iniziative per cercare di modificare lo stop assoluto delle vendite di veicoli a motore termico al 2035. Compromesso che la Germania aveva cercato già al proprio interno avendo due anime molto diverse. Già nell’esecutivo, infatti, esiste la posizione della ministra dell’Ambiente, Steffi Lemke, che è perfettamente allineata alle posizioni più fedeli al piano Fit for 55. Posizioni ambientaliste espresse anche in Italia da parte di Greenpeace che ha detto a chiare lettere – per bocca di Federico Spadini – che interrompere la vendita di veicoli alimentati a combustibili fossili «è la cosa giusta da fare, ma il 2035 è troppo tardi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi e ci tiene ancora fortemente legati a una dipendenza dal petrolio che finanzia le guerre e fa ricadere i costi economici sui consumatori».
Però poi ci sono le posizioni del ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, che pretende che i motori funzionanti con combustibili privi di CO2 siano comunque inclusi tra le tecnologie ancora in vita dopo il 2035. Così come c’è l’Italia che ha presentato una proposta formale, sostenuta insieme a Bulgaria, Portogallo, Romania e Slovacchia, per posticipare l’eliminazione dei motori a combustione dal 2035 al 2040 e per ridurre le emissioni di Co2 del 90% (anziché del 100% come proposto dalla Commissione europea e dall’Europarlamento) nel 2035.
Federmetano, Assopetroli e Assogasmetano: il fronte dei preoccupati
In più, esistono posizioni variegate ed espressive di tutto quell’universo che vive degli attuali motori e carburanti e che vede l’accelerazione verso lo stop alle vendite di veicoli a motore termico estremamente veloce. In questo universo si muovono anche Federmetano, Assopetroli e Assogasmetano che, tramite una lettera congiunta inviata al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri Cingolani e Giorgetti, hanno reiterato il grido d’allarme sollevato nei mesi scorsi in merito alle drammatiche ripercussioni che le misure europee sulla messa al bando del motore endotermico al 2035 avranno sul sistema distributivo, economico, industriale e occupazionale del nostro Paese. Per queste associazioni cioè il governo avrebbe dovuto «rinegoziare una soluzione che lasci aperte più vie percorribili per raggiungere i medesimi obiettivi di tutela dell’ambiente, difendendo l’eccellenza italiana ed evidenziando le debolezze e le inadeguatezze della proposta della Commissione».