i veicoli elettrici sono realtà. Appartengono, cioè, al nostro presente. Certo, in giro ce ne sono ancora pochi, ma sempre più case costruttrici, anche di veicoli pesanti, sono giunte a produrli in serie. Per una transizione completa ci vorrà tempo e soltanto nel 2040 la metà circa dei veicoli venduti saranno elettrici. Ma il cammino è intrapreso, la tecnologia è matura ed esiste pure un’offerta variegata di prodotti per andare incontro a diverse esigenze di trasporto. Nel senso cioè che i veicoli funzionanti soltanto a batteria e quindi da ricaricare connettendoli a una rete elettrica, vista la loro ridotta autonomia (2-300 km), sono più indicati per la distribuzione urbana o regionale. Mentre per il lungo raggio è più congeniale un veicolo elettrico che utilizza come carburante l’idrogeno perché, oltre ad aumentare l’autonomia, taglia drasticamente i tempi di carica.
Il problema attuale, quindi, è legato soprattutto al costo di questi mezzi, ancora molto elevato. Tempo 10-15 anni la crescente diffusione e le economie di scala consentiranno di pagare un camion elettrico più o meno quanto uno diesel. E d’altra parte il prezzo delle batterie al litio, cuore tecnologico di questi veicoli, già oggi è del 90% inferiore rispetto a quello di dieci anni fa. Il momento più delicato, quindi, è quello di transizione, che andrebbe tutelato con un impegno delle istituzioni nel sostenere la conversione del parco circolante.
Ecco perché mi ha stupito la polemica sollevata dalle associazioni dell’autotrasporto in piena estate contro il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, attaccato perché intenzionato a livellare le accise del gasolio a quelle più alte della benzina da qui al 2030, eccettuando comunque da questo aumento i veicoli sopra le 7,5 tonnellate. Mi ha stupito un po’ perché nel 2030 già il 15-20% di veicoli saranno elettrici, ma soprattutto perché Costa muove dall’assunto che se lo Stato recuperasse quei sussidi che oggi concede a danno dell’ambiente, potrebbe meglio spenderli per azioni più ecocompatibili. Come quella – appunto – di favorire la diffusione di una mobilità priva di emissioni incentivando l’acquisto di veicoli elettrici.
Ecco perché se veramente una polemica andava fatta doveva servire a strappare al governo la garanzia che quei 2,5 miliardi risparmiati con il taglio dei sussidi nemici dell’ambiente, non andranno a supportare la riforma fiscale, come vorrebbe il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ma saranno trasformati in aiuti finanziari con cui accompagnare la transizione verso una mobilità decarbonizzata, nel momento in cui senza sostegni in pochi avrebbero risorse per incamminarsi verso l’elettrico.
L’autotrasporto, invece, ha mirato altrove, su obiettivi più o meno concreti, ma di profilo dimesso. Tale è apparsa, per esempio, la volontà di creare con la polemica una preventiva azione di disturbo, finalizzata a evitare che il ministro affondasse il coltello dei tagli fin dentro la pancia viva del settore, vale a dire rimuovendo del tutto i rimborsi accise, perché questa prospettiva, oltre che essere negata in modo esplicito nel testo della proposta, è impedita da altre normative. E tale è apparso pure l’intento di difendere da un incremento di costo centesimale le aziende che trasportano con veicoli inferiori alle 7,5 tonnellate, perché guardando ai numeri (operazione – lo scriviamo a p. 20 – non del tutto agevole) parliamo di una platea veramente contenuta. E tale è apparso ancora l’argomento di voler frenare un aumento del gasolio che finirebbe per pesare sulle uscite delle imprese, perché tutti sanno che quell’incremento, seppure fastidioso in epoca di ristrettezze, è comunque momentaneo, perché da lì a tre mesi la stessa quota di sempre di accise versate sarà rimborsata.
E allora, perché una volta tanto non proviamo a volare più in alto, liberandosi magari di gravose zavorre politiche?