Interconnessioni: questa seconda uscita in versione digital del nostro mensile «100 Numeri per capire l’autotrasporto», potrebbe tranquillamente chiamarsi così. Perché descrive la reciproca dipendenza di eventi, a volte apparentemente distanti, a volte sistemati in punti lontani della catena logistica, eppure condizionati l’uno dall’altro in una danza di nessi causali.
La prima interconnessione ci porta in Cina, via Ucraina. Pensate che a Pechino è scoppiata la moda dell’LNG, tanto che il 42% dei camion attualmente venduti è alimentato con questo carburante. Nel 2024 sono stati il 104% in più rispetto al 2023 e il 307% in più rispetto al 2022. Il boom si è innescato quando nel paese si è riversato il gas russo – lo stesso che fino all’invasione dell’Ucraina fluiva verso l’Europa – proposto a prezzi molto contenuti: il 23% in meno rispetto a quelli del gasolio, tanto da far scivolare il costo chilometrico di un camion ad appena 22 centesimi di euro. E come se non bastasse la Cina ha colto la palla al balzo e si è messa a intensificare la sua produzione di gas, così da cercare di contenere la sua dipendenza dal petrolio. Operazione molto delicata: l’ultimo paese che pensò di utilizzare il gas russo a basso costo per spiccare un volo economico, da sospingere anche con le delocalizzazioni verso Est, è stata la Germania. E oggi che il gas va altrove e il reshoring riporta a casa buona parte delle fughe verso Oriente, Berlino è entrata in una profonda crisi.
La seconda interconnessione è marittima. Segue il flusso di un’altra guerra, quella mediorientale che, con il contributo degli Huthi yemeniti, ha surriscaldato le acque del Mar Rosso inducendo le navi in viaggio tra Oriente e Occidente a tornare a doppiare il Capo di Buona Speranza. Così, non soltanto tempi e costi di navigazione si sono moltiplicati (e qui tra i costi vanno inclusi, dall’inizio del 2024, anche gli ETS), ma si sono stravolte le rotte. Perché ormai chi, attraverso l’Oceano arriva da Sud diretto nei porti del Nord Europa, cerca di perdere il meno tempo possibile nel Mediterraneo. Di conseguenza, ci si affaccia quel tanto che basta per giungere a Tangeri o nei porti spagnoli (che infatti crescono a doppia cifra), ma evita di andare molto oltre. E così l’Italia, che già aveva qualche problemino nell’intercettare questi flussi, vede passare senza poter toccare il 50% dei container in viaggio nel mare nostrum. Se non fosse che, proprio dal vuoto lasciato dai container transoceanici, emerge un’altra tipologia di traffico, quello del ro-ro o del corto raggio, molto più adeguato da gestire tramite i porti di casa nostra, in quanto piccoli e più diffusi. Prova ne sia che negli ultimi dieci anni il traffico ro-ro sia cresciuto del 56%, che sette dei nostri porti compaiano nella classifica dei dieci maggiori scali ro-ro del Mediterraneo e che il 57% delle merci relative a tali movimentazioni viaggino, tramite la nostra flotta di traghetti (considerata un’eccellenza a livello mondiale) lungo le autostrade del mare. Non stupisce, quindi, che proprio mentre le rotte intercontinentali arrancano, quelle corte, quelle più naturalmente intermodali (e il ro-ro lo è per definizione), riescano a trovare il modo per continuare a crescere. Di appena lo 0,48%, ma in un anno doppiamente bellico, questo numero va moltiplicato per 10.
Una terza interconnessione è temporale e riguarda le attese. È un tema già analizzato lo scorso mese, quando quantificammo in 5,16 ore il tempo che un camion rimane in coda prima di essere caricato o scaricato. Stavolta, invece, siamo andati a scoprire cosa succede quando questa molla, tenuta così lungamente compressa, viene liberata. E abbiamo verificato che accade proprio ciò che ti aspetti: schizza! D’altra parte è normale: un camion fermo per tutto quel tempo non fattura. E se, dopo questa tardiva consegna, ne aveva un’altra da effettuare, è normale che l’autista – spinto pure dall’azienda – faccia il possibile per arrivare in tempo, così da contenere il perimetro dell’improduttività. Quindi, per prima cosa «mette in cascina» il riposo, posizionando il tachigrafo su «lettino», anche se in realtà è a disposizione. Lo si evince dai numeri: più di un autista su quattro non registra pause tra le 12 e le 14. In quella fascia in cui normalmente si mangia, cioè, molti autisti inghiottono soltanto il tempo perso al carico.