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Emissioni camion: la roadmap dei tagli entro il 2040

Quali sono i veicoli ed entro quando (e di quanto) dovranno ridurre le loro emissioni per raggiungere gli ambiziosi target fissati dall'Unione Europea? In questo articolo un'utile panoramica sul «calendario dei tagli» ratificato dal Regolamento degli standard di C02 per i mezzi pesanti relativo ai prossimi 16 anni. Anche se, come vedremo, il cammino verso il 2040 appare ancora pieno di incognite

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Lo scorso aprile, poco prima di sciogliersi per la scadenza quinquennale del mandato, il Parlamento europeo ha approvato definitivamente il Regolamento degli standard di C02 per i veicoli pesanti. Ciò vuol dire che entro il 2040 i mezzi commerciali e industriali che superano le 7,5 tonnellate di portata dovranno ridurre le loro emissioni del 45% entro il 2030, del 65% entro il 2035 e del 90% entro il 2040. Dovranno essere ridotte anche le emissioni di rimorchi (7,5%) e semirimorchi (10%), ma a partire dal 2030.

Detta così la strada sembra segnata: fra 16 anni le case non potranno praticamente più costruire veicoli pesanti con motori a combustione e – in attesa che maturino i tempi per quelli a idrogeno – tutti i mezzi di nuova produzione dovranno avere una trazione elettrica. E gli autotrasportatori dovranno scegliere se rinnovare il proprio parco acquistando veicoli che costano più del doppio di quelli a combustione o continuare a circolare con i vecchi veicoli finché glielo permetteranno.

In realtà, la ratifica definitiva del Parlamento europeo giunge alla fine di un cammino tormentato, con votazioni controverse che hanno mostrato i dubbi crescenti all’interno dell’Assemblea, sulla soluzione che si andava prospettando, con frequenti capovolgimenti della maggioranza. Alla fine, le forze più sensibili a un ambientalismo solo elettrico hanno imposto la loro visione complessiva, ma hanno dovuto accettare che «l’efficacia e l’impatto del Regolamento modificato sui suddetti obiettivi saranno riesaminati dalla Commissione nel 2027».

Anche perché i dubbi emersi durante la lunga discussione del Regolamento sono gli stessi che sempre di più circolano tra i costruttori che pure inizialmente avevano appoggiato l’elettrificazione dei trasporti, investendo massicciamente nella progettazione e nella realizzazione di nuovi modelli a batteria. «Non possiamo continuare a fissare obiettivi ambiziosi per i produttori di veicoli e aspettarci che ne segua un’implementazione rapida e agevole», ha commentato Sigrid de Vries, direttore generale di Acea, l’associazione dei costruttori europei. «Senza un quadro favorevole per sostenere la domanda di modelli a emissioni zero, raggiungere gli obiettivi sarà impossibile, soprattutto con il calendario previsto». Il quadro favorevole richiesto dalle case è il solito e de Vries lo ha ribadito: «Infrastrutture per la ricarica elettrica e il rifornimento dell’idrogeno, programmi completi di tariffazione del carbonio e misure di sostegno significative affinché gli operatori dei trasporti possano investire rapidamente».

Bastano due conti per capire e Acea li ha fatti: «Per raggiungere gli obiettivi entro il 2030, dovranno circolare sulle strade più di 400.000 veicoli elettrici e a idrogeno e almeno un terzo di tutte le nuove immatricolazioni dovranno essere modelli a emissioni zero. L’Europa ha bisogno di almeno 50.000 stazioni di ricarica adeguate (la maggior parte sono sistemi di ricarica da megawatt) e almeno 700 stazioni di rifornimento di idrogeno per far funzionare l’equazione ». Il fatto è che tutto il dibattito sulle emissioni zero è stato trainato dalle automobili, dove gli interessi in gioco, a livello globale, sono di dimensioni enormi. E la battaglia per la decarbonizzazione è diventata una battaglia per la trazione elettrica, ignorando i carburanti bio – sostenuti soprattutto dall’Italia – e permettendo su pressione tedesca solo quelli sintetici che sono costosi e di difficile fabbricazione.

Questi due tipi di alimentazione, infatti, da una parte sono – a determinate condizioni – carbon neutral nel loro ciclo di vita (nel senso che emettono CO2 dal tubo di scarico, ma in quantità uguale e talvolta inferiore a quella che annullano nella loro produzione), dall’altra possono essere impiegati anche con i motori a combustione più moderni. È evidente, allora, che se viene consentito l’uso dei biocarburanti di seconda generazione (quelli che utilizzando rifiuti e materiali di scarto, non mettono a repentaglio la produzione agricola destinata all’alimentazione), sarà assai difficile che gli automobilisti accettino i costi di un’autovettura elettrica.

Quella verifica al 2027, tuttavia, apre uno spiraglio ai biocarburanti, soprattutto se si considerano altre due normative europee: la Direttiva RED III e il Regolamento Count Emission. La prima (RED sta per Renewable Energy Directive), in vigore dallo scorso novembre, aumenta la quota di produzione dei biocarburanti avanzati da destinare al settore trasporti. Il secondo – approvato dalla Commissione Trasporti dell’Europarlamento, ma ancora da sottoporre alle altre istituzioni europee – stabilisce che le regole di calcolo delle emissioni di CO2 devono essere basate sul ciclo well-to-wheel (dall’origine alla ruota) e non tank-to-wheel (dal serbatoio alla ruota).

Il che vuol dire, da una parte, rimettere in discussione lo stesso elettrico la cui produzione è ancora in gran parte alimentata da carburanti fossili e, dall’altra, rivalutare la neutralità carbonica dei biocombustibili. Il Regolamento Count Emission, però, non farà in tempo a essere approvato da questo Parlamento europeo. Tutto, perciò, sarà nelle mani delle nuove istituzioni che usciranno dal voto del 6 giugno. Quelle che dovranno condurre la verifica del 2027.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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