Gli aumenti di prezzo nel mondo dei semirimorchi non sono più un’ipotesi, ma una certezza. Una tendenza ormai consolidata che accompagna ogni segmento della filiera produttiva, con dinamiche diverse a seconda del tipo di veicolo, della componentistica e della provenienza geografica.
Ma cosa sta davvero facendo lievitare i listini? Non sempre è questione di materie prime. Talvolta, a incidere maggiormente sono fattori meno visibili, ma non meno determinanti: l’aumento del costo della manodopera, dell’energia e dei processi produttivi.
Meno pesa, meno costa
I veicoli più semplici, poveri di accessori e componenti, hanno subito rincari più contenuti. È il caso dei portacontainer. Anche qui, però, le eccezioni non mancano: «Componenti come le rotocelle per la produzione dei polimeri o l’impianto elettrico per la pompa del ribaltamento sono aumentati di prezzo. Si tratta di oscillazioni: salgono, poi scendono», spiega Iacopo Giop della toscana Number One. «Un portacontainer, rispetto a un centinato, ha meno materiale – niente legno, tela, nylon, stecche in alluminio o struttura paracabina – e per questo ha subito rincari più contenuti. I centinati, invece, sono aumentati anche del 30%. Per questo motivo vengono lanciate offerte e campagne commerciali su trailer entry-level standardizzati, che oggi si vendono a circa 27.000 euro. Lo stesso vale per gli isotermici, dove l’incremento è stato intorno al 15%: prendendo una base di 50.000 euro, parliamo di un aumento di 7.500 euro. Al contrario, i piani mobili, che avevano raggiunto i 70.000 euro, sono scesi a 60.000. Sempre sopra i livelli pre-crisi, ma in modo più contenuto. Se però si punta a un centinato più performante, il rincaro arriva al 25-30%. Detto ciò, negli ultimi 18 mesi i prezzi di materiali come alluminio, acciaio e vetroresina – utilizzati negli isotermici – si sono ridimensionati».
Gli accessori, invece, non seguono lo stesso andamento. Freni, pneumatici e impianti vari – tutto ciò che ruota attorno alla struttura portante – continua a pesare sui costi finali. «Sui componenti il discorso cambia», interviene Alberto Maggi, CEO della cremonese Multitrax. «Se la fornitura arriva da filiere collegate agli Stati Uniti, l’aumento è quasi certo. Tuttavia, non stiamo ancora risentendo di questi rincari sui mezzi importati da paesi come l’Olanda o la Germania».
Anche la dimensione dell’azienda fa la differenza: quelle più strutturate riescono a gestire meglio i turni e a limitare l’impatto dei rincari. Per le medio-grandi con molta manodopera, invece, il margine di manovra è più stretto. E nei Paesi dove licenziare non è semplice, il rischio è di trovarsi senza personale formato nel momento in cui la domanda riparte.
La guerra delle offerte
«Le materie prime hanno registrato un rialzo, ma siamo ben lontani dai picchi del 2022», osserva Alfredo Spinozzi, CEO della marchigiana TMT. «Il vero problema sono i costi di produzione, che risultano sicuramente aumentati. Lo scorso anno, per esempio, abbiamo subito un incremento dovuto al rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Va detto, però, che l’impatto di questi aumenti si è fatto sentire più sui costruttori italiani che su quelli europei. E quando i concorrenti esteri sono più competitivi, non solo perdi competitività nei loro paesi, ma anche nel tuo».
Una strategia che molti stanno adottando è quella di anticipare i listini. «Gli importatori di piani mobili, per esempio – prosegue Spinozzi – hanno definito i prezzi del 2025 già a dicembre 2023. Questo li rende oggi particolarmente competitivi. I costruttori nazionali, invece, subiscono maggiormente le variazioni di prezzo a breve termine».
Nel frattempo, la competizione sui prezzi si fa sempre più accesa. «Il mercato è in attesa, ma c’è una vera e propria guerra dei prezzi in corso, alimentata da un’aggressività esasperata. Nessuno oggi ne trae beneficio», aggiunge Maggi. «I grandi marchi sono ancora più agguerriti, perché vivono di volumi. E questo clima competitivo si estende anche ai segmenti più di nicchia: dai portacontainer ai piani mobili, fino alle cisterne. Tutto si muove seguendo l’onda dei centinati e degli isotermici».
Uno scenario in rapida evoluzione, che potrebbe sfociare in una concentrazione del mercato. Ne è convinto Michele Mastagni, AD di Koegel Italia: «Entro pochi anni si dovrebbe arrivare a un accorpamento di 4-5 grandi allestitori in tutta Europa, con più marchi a disposizione per i diversi Paesi in cui si esportano i trailer». Questo permetterebbe economie di scala e maggiore potere contrattuale sugli acquisti di materie prime.
Ma intanto la crisi colpisce duramente anche i giganti: «La crisi in atto sta colpendo duramente anche i grandi costruttori, soprattutto quelli tedeschi», continua Iacopo Giop. «Chi produceva 40.000 mezzi l’anno è sceso a 20.000, e chi ne faceva 10.000 si è dimezzato. I grandi marchi hanno dimensioni tali da essere costretti a scontare i mezzi pur di superare la crisi. Ma mentre le materie prime – come ferro e alluminio – sono diminuite, componenti come assali e pneumatici sono aumentati. Una piccola-media impresa può sopravvivere passando da 2.000 a 1.500 trailer all’anno. Per un colosso, invece, è molto più complicato».
Dalla Schmitz arriva una conferma ulteriore: «Negli ultimi anni, la difficile situazione e il persistente aumento dei prezzi dei materiali hanno contribuito a far salire i prezzi dei rimorchi. L’indice dei prezzi alla produzione per i prodotti industriali in Germania è superiore circa del 40% rispetto al 2021 e la situazione economica attuale non indica una ripresa, considerando gli aumenti salariali, dei costi energetici e dei materiali».
Un equilibrio (ancora) da trovare
In sintesi, il quadro è chiaro: i prezzi continuano a salire, spinti da un aumento generalizzato del costo del lavoro e dei beni. Il problema, però, è che il mercato non riesce ancora ad assorbire questi aumenti. «Nel frattempo ci siamo ‘mangiati’ i risparmi per stare al passo con i rincari», conclude Maggi. «Da qui l’ulteriore necessità di aumentare gli stipendi, innescando però un circolo vizioso. Tutti i contratti lavorativi nazionali sono aumentati e questi costi devono essere assorbiti, prima dal committente e poi dal cliente finale».