Cos’è che fa salire e scendere il prezzo del petrolio? È la domanda a cui è più difficile fornire una risposta univoca. Il contesto attuale, in tal senso, è illuminante: in un anno si è assistito a una decisa flessione del prezzo al barile e tra le cause di questo andamento compare una partita logistica su scala internazionale. Proviamo a spiegare.
Partiamo dagli indici. Oggi il petrolio greggio WTI si attesta intorno ai 58 dollari. È stato quotato anche meno, ma negli ultimi giorni il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha preso di mira il Venezuela, minacciando dazi del 25% a partire dal 2 aprile ai paesi che importano negli Usa dopo aver acquistato petrolio da questo paese, e di conseguenza si è registrato un leggero rialzo, destinato comunque a evaporare.
Il cambio di immagine del capo di Stato dell’Arabia Saudita
Il dato interessante è che nell’ultimo anno il prezzo del petrolio è sceso in modo rilevante: costava 84 dollari al barile e oggi è sprofondato ai livelli ricordati. All’origine di questo ridimensionamento c’è l’Arabia Saudita che ha deciso ai primi di marzo di aumentare la produzione di greggio fino al settembre 2026, inducendo otto Paesi dell’Opec+ a fare altrettanto. E quindi più petrolio a disposizione equivale a prezzi più contenuti. Ma è quanto accade in superficie. Per scendere più a fondo bisogna fare mente locale sulla principale iniziativa diplomatica in corso, quella che dovrebbe servire a creare una tregua nella guerra di Ucraina. Trump l’ha voluta organizzare a Riyadh e in questo modo ha affidato all’Arabia Saudita un ruolo atipico di mediatore. Ma soprattutto ha impresso all’immagine del principe ereditario e capo del governo del paese, Mohammed Bin Salman, una decisa spinta in avanti: l’uomo accusato da ONU e Cia di essere il mandante del giornalista Jamal Khashoggi, adesso diventa un campione di diplomazia. Ma quali sono i veri interessi in gioco?
Dal punto di vista di Trump è chiaro che l’interesse a farmi amico Bin Salman risiede tutto nella capacità del principe saudita di poter porre freni all’inflazione. Il presidente americano di fatto ha vinto le elezioni facendo una campagna che picchiava molto su quanto il potere di acquisto degli americani fosse stato depresso dalla crescita dei prezzi (delle uova in particolare). E il fatto di poter beneficiare di una caduta del prezzo del petrolio lo mette al riparo in tal senso.
L’avvicinamento dell’Arabia a Israele e Mumbai
Bin Salman, dal canto suo, oltre a rendere improvvisamente luccicante la sua considerazione internazionale, ha interesse a spingere l’acceleratore su un progetto logistico su vasta scala, destinato a porti come alternativa alla Nuova via della Seta cinese. E le relazioni generate dall’avvicinamento a Trump forniscono la sponda vincente. Il progetto mira a creare un corridoio economico-infrastrutturale che colleghi l’Asia Meridionale all’Europa, passando per la Penisola Arabica, aggirando il canale di Suez. Si chiama India-Middle East-Europe Corridor (IMEC) e di fatto muove dall’India, da Mumbai, passa poi a Dubai, scende ad Haradh, centro desertico saudita dove sorge il giacimento di Ghawar, di proprietà dello Stato tramite Aramco, per arrivare a Riyadh. Il passaggio successivo è verso Haifa, scalo commerciale israeliano da dove si punta dritto, con probabile transito in Giordania, verso il Pireo e quindi in Europa.
Tutto questo poggia essenzialmente sulle relazioni che l’Arabia Saudita sta stringendo con Israele e India, proprio mettendosi all’ombra degli Stati Uniti, proprio attorno alla partita ucraina. In particolare, rispetto a Israele va segnalato che l’Arabia Saudita, proprio per iniziativa degli Stati Uniti, è entrato di recente negli Accordi di Abramo, una relazione diplomatica finalizzata a normalizzare le relazioni di alcuni paesi arabi (Emirati Arabi e Bahrain) con il governo di Tel Aviv, creando dei presupposti pacifici che funzionano come premessa allo sviluppo di traffici commerciali. Detto altrimenti, gli Stati Uniti stanno presumibilmente esercitando pressioni su Riyadh affinché riduca i suoi legami sempre più profondi con la Cina e normalizzi le relazioni con Israele, in cambio di un patto di sicurezza e stabilità politica.
I potenziali benefici del corridoio indoeuropeo
Dal punto di vista dell’India, invece, il governo di Mumbai ha sempre più interesse non soltanto a rendere più solida la sua industria (seppure quest’anno sia cresciuta, dopo qualche stagione al top, soltanto del 6,3%) e a disporre poi di canali commerciali diretti su cui far viaggiare i propri manufatti. Anche perché tra i firmatari dell’India-Middle East-Europe Corridor compaiono, oltre all’Unione europea, anche Francia, Germania e Italia.
La partita è molto rilevante, anche perché sposterebbe una fetta importante dei traffici tra Est e Ovest. Ma soprattutto è rilevante perché, prendendo come buone le stime dei diretti interessati, tramite questo corridoio le merci potrebbero raggiungere l’Europa da Mumbai impiegando circa il 40% in meno rispetto a quella che passa da Suez e ridurre i costi del 30%. Ma prima di ottenere questi benefici bisogna aprire le rotte e, soprattutto, realizzare investimenti importanti per realizzare le infrastrutture che servono.