Esaminiamo oggi una sentenza che può fare da esempio per tutte quelle controversie sul lavoro il cui oggetto è l’individuazione e la quantificazione di quello che è dovuto al lavoratore/autista in caso di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Questa decisione del Tribunale di Napoli (n. 8921/2024) affronta appunto alcuni aspetti (retribuzione, straordinari, indennità per ferie non godute, ecc.), evidenziando il diritto del dipendente a ricevere quanto gli spetta, ma anche limitando la somma laddove non sia giustificata e giustificabile dal punto di vista della legge.
IL FATTO
Il ricorrente – inquadrato come viaggiatore piazzista part time – dichiarava di essere stato dipendente di una società dal 14 gennaio 2021 al 21 luglio 2021, anche se il rapporto di lavoro era stato formalizzato soltanto fino al 14 luglio con contratto a tempo determinato. Affermava inoltre di aver ricevuto esclusivamente le somme scritte nelle buste paga allegate, senza nessuna retribuzione nel mese di luglio 2021, compresa la settimana dal 14 al 21 luglio dove aveva continuato a lavorare con le identiche modalità. Inoltre queste modalità lavorative, dal giorno dell’assunzione fino alla cessazione del rapporto, avevano a suo dire comportato un orario di lavoro ben più ampio rispetto a quello contrattualmente previsto, ovvero dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 23 senza alcuna interruzione, se non qualche minuto per una veloce pausa pranzo.
Cosa faceva in concreto il nostro lavoratore? Guidava l’automezzo aziendale, alternandosi con un collega, ma ogni giorno doveva anche smaltire l’olio esausto presso i siti indicati. Ancora: durante l’intero periodo di lavoro non aveva goduto di nessun giorno di ferie, non aveva ricevuto nulla a titolo di lavoro straordinario svolto né come TFR e neppure somme relative alla cessazione del rapporto di lavoro (indennità per ferie, permessi e riduzione dell’orario di lavoro non goduti).
Quali le richieste dunque del ricorrente? In sostanza di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro e lo svolgimento dello stesso durante gli orari indicati, con il pagamento delle differenze retributive spettanti, tenuto conto della quantità del lavoro svolto in relazione alla paga mensilmente percepita. La somma richiesta era di oltre 20 mila euro o di quella calcolata dal giudice o, in ogni caso, di condannare la società al pagamento della retribuzione di luglio 2021 e delle spettanze di fine rapporto.
La replica dell’azienda si basava in sostanza sull’infondatezza del turno di lavoro di 14 ore svolto quotidianamente senza alcuna interruzione, osservando anche che le attività di prelievo, talvolta di pochi chili, non erano affatto quotidiane, così come il conferimento degli oli esausti presso il centro di raccolta, e che l’attività di carico/scarico non avveniva per più giorni consecutivi, ma solo una volta nel corso dell’intera giornata. Si contestavano poi i conteggi del dipendente, basati – secondo la società – su un’errata applicazione del CCNL, confermando invece la mancata percezione della retribuzione del mese di luglio, «non corrisposto per mancanza di interlocuzione con il ricorrente stesso».
LA DECISIONE
Il Tribunale partenopeo ha deciso di accogliere, anche se solo in parte, la domanda del ricorrente. Vediamo come.
Premessa: spetta al lavoratore che chiede il pagamento di differenze retributive provare il suo diritto per cui chiede tutela e, prima di tutto, la natura subordinata del rapporto di collaborazione dedotto in giudizio, che dei diritti retributivi è il presupposto logico-giuridico.
In questo caso la durata del rapporto di lavoro subordinato è pacifica, ma gli orari e l’inquadramento no. Il lavoratore ha però portato in aula due testimoni che hanno avvalorato la sua versione dei fatti sia per quanto riguarda l’attività lavorativa svolta e la lunghezza dell’orario, sia per la pausa di 10-15 minuti per mangiare qualcosa, sia per il ritiro e lo smaltimento degli oli esausti non saltuario, sia infine per il mancato pagamento degli straordinari.
La retribuzione mancante – Da qui alcune certezze della Corte. Sicuramente esisteva un contratto di lavoro a tempo determinato, con la qualifica di viaggiatore piazzista part time tra il 14 gennaio e il 14 luglio 2021. Ed è inoltre attendibile, sulla base delle dichiarazioni del teste che con lui lavorava e dei formulari lavoro esibiti in udienza, che l’attività fosse proseguita anche nella settimana dal 14.7.21 al 21.7.21. È assodato infine che il ricorrente prelevasse l’olio esausto dai ristoratori e per un paio di volte al mese lo sversasse in discarica.
Mancando quindi la prova dell’esatto adempimento dell’obbligazione retributiva, il Tribunale riconosce al nostro autista/impiegato oltre 8.480 euro di retribuzione aggiuntiva, compreso il famoso mese di luglio,
L’orario di lavoro e lo straordinario – Per l’orario, visto che manca un contratto part time su carta, occorre ricostruire l’orario di lavoro ordinario. Dalle buste emerge che il ricorrente ha lavorato per una media di circa 40 ore settimanali, in relazione alla quale è stato retribuito, per cui il lavoro straordinario sarà quello che va oltre queste 40 ore. Cosa che potrebbe essere, visto che – secondo il lavoratore – l’attività lavorativa partiva dalle 9 del mattino per 5 giorni alla settimana.
La giurisprudenza, in caso di lavoro discontinuo, come quello svolto dal ricorrente come autista adibito a trasporto merci, afferma che si può parlare di lavoro straordinario solo quando sia prefissato un preciso orario di lavoro ed il relativo limite risulti in concreto superato, occorrendo che venga fornita la prova su modalità e tempi del servizio prestato, in modo da consentire di tenere conto delle pause di inattività. Secondo il Tribunale napoletano, sulla base delle deposizioni, il ricorrente avrebbe svolto lavoro straordinario dalle 9 fino alle 22.30 per una media di due volte la settimana, con una pausa pranzo di mezz’ora. Quindi un orario inferiore rispetto a quello prospettato dal nostro autista. La pretesa del lavoratore viene dunque accolta solo in parte per un importo di circa 3.250 euro, come da conteggi fatti dall’organo giudiziario.
Il contratto collettivo viaggiatori piazzisti – Il CCNL è stato preso come modello per calcolare la somma inserita nel ricorso. Ora il contratto collettivo si applica ovviamente a chi vi aderisce, ma tale adesione può essere desunta implicitamente dalla ricezione di clausole della disciplina collettiva da parte del datore di lavoro non iscritto, tipo il riconoscimento di benefici tipici di una determinata disciplina in materia di ferie e di mensilità supplementari; la richiesta di avviamento al lavoro; la corresponsione dei minimi retributivi, ecc.
Nel caso specifico il giudice ritiene che il contratto collettivo possa essere la fonte di disciplina giuridico-economica del rapporto dedotto in giudizio, poiché il ricorrente ha provato che da parte dell’azienda, pur non iscritta, vi è stata un’adesione esplicita o implicita alla disciplina del CCNL.
Le indennità sostitutive per ferie o altro – Il giudice ha invece respinto la domanda di condanna al pagamento di somme a titolo di indennità sostitutiva di ferie, festività, ecc. poiché manca la prova dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa nei giorni ad esse destinati. Per il TFR la somma riconosciuta è di quasi 1.100 euro.
LE CONSEGUENZE
Alla fine complessivamente l’azienda è stata condannata al pagamento, in favore del lavoratore subordinato, di una somma di 12.818,97 euro, più gli interessi sulle singole componenti del credito dalla data di maturazione di ciascuna di esse al saldo. La società è stata poi condannata al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro, nonché a metà delle spese di lite (2.450 euro).
Volendo dunque trarre una sorta di lezione dal caso specifico abbiamo due indicazioni finali. La prima che occorre in primis accertarsi che tra il ricorrente e la società resistente sia intervenuto un rapporto di lavoro subordinato nel periodo presentato in ricorso. La seconda che, una volta verificata l’esistenza del rapporto, per quantificare le spettanze si dovranno guardare i conteggi calcolati dalla parte ricorrente, che però andranno controllati e riformulati dal giudice.