Il mondo dell’autotrasporto si trova nel mezzo di una transizione epocale. L’obiettivo è chiaro: ridurre le emissioni di CO2 e rendere il settore sempre più sostenibile. Contribuendo all’8% delle emissioni totali in Italia, questo settore rientra infatti nei cosiddetti «hard-to-abate», cioè i settori difficili da decarbonizzare a causa di vincoli tecnologici o operativi. Per ridurre le loro emissioni, non basta l’efficienza energetica: sono necessarie soluzioni tecnologiche innovative e investimenti mirati.
In questo contesto, lo studio Zero Carbon Technology Pathways della School of Management del Politecnico di Milano ha analizzato il TCO (Total Cost of Ownership), ovvero il costo totale di possesso per chilometro, delle principali tecnologie disponibili per i camion. Dal diesel tradizionale ai biocarburanti, passando per l’elettrico e l’idrogeno, il rapporto fornisce una panoramica sui costi e sulla sostenibilità di ciascuna soluzione. Vediamo nel dettaglio i numeri.
Diesel: la base di riferimento
Il diesel rappresenta da decenni il carburante di elezione per i camion, grazie a un costo iniziale relativamente basso (che il rapporto stima mediamente intorno ai 120.000 euro per veicolo) e alla capillare rete di rifornimento, che garantisce facilità e rapidità di approvvigionamento in ogni area geografica. Secondo lo studio, il costo totale per chilometro dei camion diesel oscilla – a seconda di un range giornaliero variabile tra i 300 e i 600 km – tra 0,59 e 0,72 euro, rendendoli attualmente l’opzione più economica per il trasporto pesante.
Tuttavia, il quadro normativo europeo sta rapidamente modificando lo scenario economico di questa tecnologia, con un possibile aumento del 10-15% dei costi operativi legati al carburante.
Tale incremento è dovuto all’introduzione del sistema ETS2 (Emission Trading System 2), una misura dell’Unione Europea pensata per ridurre le emissioni di gas serra nei settori del trasporto e in quello residenziale (per intenderci, l’ETS2 funziona come una sorta di «mercato delle emissioni»: i produttori di emissioni, in questo caso chi utilizza carburanti fossili, devono acquistare permessi per ogni tonnellata di CO2 emessa. Questi permessi diventeranno progressivamente più costosi, rendendo meno conveniente l’uso di gasolio tradizionale). In sintesi, sebbene il diesel resti l’opzione più diffusa grazie alla sua accessibilità economica e infrastrutturale, le normative europee potrebbero gradualmente spingere gli operatori a scegliere tecnologie alternative più sostenibili, anche in vista dei sempre più ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050.
HVO e Bio-GNL: costi simili al diesel, ma emissioni ridotte
Se il diesel resta comunque, ad oggi, il punto di riferimento economico, le alternative sostenibili come l’HVO e il Bio-GNL si avvicinano per costi, ma offrono vantaggi significativi sul piano ambientale.
L’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), per esempio, è un biocarburante che può essere usato nei motori diesel senza necessità di modifiche tecniche. In uno scenario di percorrenza giornaliera di 400 km, arriva a garantire un TCO di circa 0,66 €/km, praticamente analogo al diesel. Tuttavia, si distingue per la capacità di ridurre fino al 90% le emissioni di CO2 lungo l’intero ciclo di vita, a seconda delle materie prime impiegate.
Anche il Bio-GNL (Gas Naturale Liquefatto di origine biologica) si distingue per una buona autonomia, rendendolo ideale per il trasporto a lungo raggio. Con un TCO di 0,68 €/km, il Bio-GNL è competitivo non solo economicamente ma anche in termini di sostenibilità, grazie a un impatto ambientale inferiore rispetto al diesel (-84% di emissioni di CO2). I costi iniziali del veicolo sono leggermente più alti (circa 140.000 euro), ma la combinazione tra efficienza e riduzione delle emissioni lo rende una valida alternativa.
Elettrico (BEV): competitivo, ma solo in certi scenari
Passando ai camion elettrici (BEV, Battery Electric Vehicles), sicuramente sono tra le soluzioni più promettenti, ma anche tra le più costose. Con un prezzo iniziale di 320.000 euro (circa 2,7 volte un camion diesel), il TCO varia tra 1,02 e 1,19 euro/km. Questo costo è influenzato dal CAPEX (Capital Expenditures), cioè l’investimento iniziale per l’acquisto, e dalle batterie, che rappresentano il 40% del costo del veicolo.
Quando la distanza giornaliera coincide con l’autonomia della batteria (300-400 km), il TCO si riduce grazie alla possibilità di ricaricare privatamente. Tuttavia, superata l’autonomia, il ricorso a infrastrutture di ricarica pubbliche, più costose, fa aumentare i costi operativi (OPEX).
Idrogeno
Infine, il rapporto prende in considerazione i camion a idrogeno (FCEV, Fuel Cell Electric Vehicles), che rappresentano una tecnologia ancora in fase di maturazione. Con un TCO tra i 2,05 e i 2,90 €/km e un costo iniziale che raggiunge 790.000 euro, questa soluzione è attualmente la meno competitiva. Il problema principale è il costo elevato dell’idrogeno verde, che incide per il 37% del costo per chilometro.
Tuttavia, l’idrogeno offre un grande potenziale di decarbonizzazione e potrebbe diventare una scelta più praticabile in futuro, quando i costi di produzione e l’infrastruttura di rifornimento andranno a migliorare.
In conclusione, lo studio evidenzia che il diesel resta oggi la soluzione più economica, ma le tecnologie alternative stanno guadagnando terreno grazie ai progressi tecnologici e alle normative europee.
Tra le alternative, l’HVO e il Bio-GNL offrono un compromesso tra costi e sostenibilità, mentre il BEV è competitivo solo in scenari specifici. L’idrogeno, invece, rappresenta una promessa per il futuro, ma necessita di significativi investimenti per abbattere i costi e sviluppare un’infrastruttura adeguata.