Oggi ci occupiamo dei test antidroga che vengono utilizzati dalle Forze di Polizia dopo l’introduzione della nuova riforma Salvini del 2024, che ha comportato modifiche significative al reato di guida sotto l’effetto di stupefacenti (art. 187 del Codice della Strada). Le maggiori discussioni al riguardo si sono concentrate sulle perplessità in merito a «falsi positivi» e sull’effettiva attendibilità dei test.
IL FATTO
La riforma infatti ha reso sufficiente la sola positività al test antidroga per l’incriminazione penale, senza la necessità di dimostrare l’effettiva alterazione psicofisica del conducente. Il problema è che con questo approccio si potrebbero condannare persone che, pur risultando positive al test, non presentano alcuna alterazione delle capacità di guida, vedi coloro che fanno uso di droghe a scopo terapeutico o che hanno assunto sostanze molto tempo prima del controllo.
Ora la Cassazione, con la recente sentenza n. 2020/2025, è intervenuta per fare chiarezza e fornire indicazioni utili alle Forze dell’Ordine e ai conducenti. Ringraziamo al riguardo il sito «La legge per tutti» per la segnalazione della pronuncia. La sentenza – va precisato – si riferisce a una vicenda anteriore alla riforma, ma i giudici supremi indicano comunque una metodica valida anche per i problemi successivi alla modifica normativa.
LA DECISIONE
Qual è dunque la soluzione proposta dagli Ermellini? In pratica quella di ricorrere all’esame del sangue. Tra i diversi test antidroga, l’esame del sangue sarebbe quello più affidabile per dimostrare l’assunzione recente di droghe e, di conseguenza, l’effettiva alterazione psicofisica del conducente. L’esame del sangue rileva infatti la presenza attuale della sostanza stupefacente nel circolo sanguigno, a differenza dell’esame delle urine, che può risultare positivo anche a distanza di giorni o settimane dall’assunzione.
Inoltre la Cassazione ha rimarcato l’importanza di una valutazione globale del comportamento del conducente al momento del controllo. Gli agenti delle forze dell’ordine devono cioè considerare diversi fattori, come l’eloquio, la coordinazione dei movimenti e lo stato di agitazione o euforia, per accertare l’effettiva alterazione psicofisica.
In sostanza, l’esame del sangue diventa la prova principale per dimostrare l’alterazione psicofisica, mentre l’esame delle urine e la valutazione del comportamento assumono un ruolo complementare.
LE CONSEGUENZE
Ricapitolando, la Cassazione ha stabilito che l’esame sanguigno è il test più attendibile per dimostrare l’assunzione recente di droghe; che la valutazione globale del comportamento del conducente resta fondamentale per accertare l’alterazione psicofisica; che la sola positività al test antidroga non è sufficiente per la condanna, se non supportata da altri elementi di prova.
In pratica, i giudici hanno interpretato il nuovo art. 187 secondo un’ottica molto vicina alla vecchia formulazione. In questo modo si risolverebbe il problema di incriminazioni penali per soggetti che, pur facendo uso di droga o di cannabinoidi, hanno ormai acquistato la piena capacità delle proprie reazioni a causa del decorso del tempo dall’assunzione della sostanza stupefacente o psicotropa.
Insomma, per la Cassazione il test della droga dovrà verificare l’effettiva «vicinanza temporale» tra il controllo e l’uso della sostanza.